12 ottobre 2009
«Lasciami andare!» Cercai di urlare con tutto il fiato che avevo in gola, inutilmente.
«Stai zitta troia» Prese di nuovo quel coltello, tracciando con la lama la mia pancia.
Poi passò alle cosce, e infine con le unghie mi graffiò le braccia.
Il mio corpo si coprì di rosso scuro, e le mie urla di dolore sembravano farlo sorridere.
Poggiò un dito su una delle numerose ferite fresche, sporcandolo con il mio sangue.
Lo mise sulle lacrime intente a rigarmi il volto, mischiando i due liquidi e poi succhiando il dito.
Mi voltai, era così disgustoso.
Uscì da quella porta, lasciandomi senza nemmeno uno spiraglio di luce.
Non potevo scappare, ero ormai lo sfogo della sua pazzia.
Il suo gioco, la cavia di ogni cosa gli passasse per la testa.
Caddi a terra, debole, pallida, e completamente sfregiata.
Sfregiata non solo esteticamente, ma anche nell'anima. Non ero più nessuno, rinchiusa e continuamente sfruttata.
Ignorata dal mondo intero.
Continuavo a chiedermi se qualcuno si ricordasse di me, e se, prima o poi, mi avrebbero salvata.