Non appena i camerieri iniziarono a servire le prelibate pietanze, i ragazzi assalirono i piatti con voracità, mentre parlavano del Jaanch, tanto per cambiare.
Aditi, Nina e Hilo discutevano animatamente sui test logici come "Lingua e Grammatica", "Logica e Deduzione" e "L'Adlox", l'esame che Ak odiava più di tutti: un discorso pubblico grammaticalmente corretto e molto convincente. L'ideale per una ragazza timida, quale lei era.
I fratelli Kanai e Aukai, assieme ad Ajit, parlavano invece delle prove fisiche come "Corpo a corpo", "Sopravvivenza" e "Combattimento armato" e da soli bastavano a mantenere molto alto il volume di chiasso della sala.
L'unico a rimanere zitto era ovviamente Krishna, il gemello di Aditi e Ajit.
Non assomigliava per niente ai due: un po' scuro di pelle, i capelli corvini perennemente legati con una coda, gli occhi neri e profondi, che sembravano ingoiare tutto quello che li circondava, come due immensi e freddi buchi neri. Fortuna che l'effetto agghiacciante del suo sguardo era smorzato da un lungo ciuffo che gli copriva completamente un occhio. Non c'era da stupirsi che fosse sempre schivo e taciturno: la gente lo vedeva come un demone, sia a causa dei suoi occhi e di quell'aria oscura che sembrava emanare ma soprattutto per colpa della sua gamba. A seguito di un brutto incidente avuto da bambino, Kris (così lo chiamavano gli amici) aveva una protesi alla gamba sinistra, oggetto di molti scherzi, che lui detestava, da parte dei coetanei, primo tra tutti suo fratello.
Il frastuono di una risata fece voltare Ak e non appena si rese conto dell'accaduto, odiò con tutta se stessa la sua mancanza di attenzione: Ajit aveva detto una battuta divertentissima, o almeno questo traspariva dai volti degli amici. Come potesse quel ragazzo essere fratello di Kris, Ak non lo sapeva: alto, biondo, capelli lunghi e sempre spettinati, occhi di un verde mozzafiato con piccole sfumature ambrate, perennemente vivaci e folli, che rispecchiavano alla perfezione l'animo del giovane. Molte ragazze erano affascinate da Ajit, ma Ak non aveva mai pensato di mettersi con uno così, con il rischio di far saltare la casa due giorni sì e il terzo pure. Ed era proprio a causa della sua spericolatezza che alla tenera età di otto anni si era procurato quella orribile e gigantesca cicatrice sul braccio destro che continuava a essere visibile nonostante il ragazzo, come i gemelli, avesse compiuto i diciassette anni.
Quando ebbero terminato di degustare il dolce, nella sala calò il silenzio e, all'unisono, tutti i ragazzi si alzarono in piedi rispettosamente mentre gli Aldux entravano nel Refettorio per comunicare i voti della giornata.
La tensione nella stanza era palpabile: da quel test sarebbe dipeso l'esame "Sopravvivenza", l'ultimo e il più difficile; solo se riuscivi a stupire gli esaminatori ti munivano di oggetti che agevolavano notevolmente la prova sopracitata. Non appena iniziarono a chiamare i ragazzi, Ak osservò le loro reazioni: chi sospirava, chi ritornava a respirare, chi piangeva, chi si disperava e, in tutto quel marasma di emozioni, Ak notò con rabbia la totale indifferenza degli Aldux, alcuni sembravano addirittura divertiti: creature che provavano piacere nell'uccidere e nel provocare dolore nell'animo di innocenti. Come poteva esistere un popolo così malvagio?
Quando un alieno chiamò Akenehi, la ragazza, domandandosi il perché del suo stupido nome, si alzò e si diresse a recuperare gli esiti, con il cuore fremente e galoppante nel petto, come a ricordarle che voleva sopravvivere, che voleva continuare a battere contro quelle costole, che non poteva fermarsi, non sotto la volontà e il potere di altri. Voleva essere libero, proprio come lei, nonostante si trovasse in una gabbia naturale, compresso tra i polmoni che cercavano di regolarizzare il respiro, per non tradire quel organismo che agli occhi di tutti era fiero e coraggioso.
Non appena si ritrovò davanti al suo esaminatore, la creatura le consegnò un foglietto che la ragazza si rifiutò di guardare finché non ebbe raggiunto il tavolo; a quel punto la curiosità vinse sulla paura, lo sollevò e tirò un sospiro di sollievo: 10/10, come sempre.
Fortunatamente, notò la giovane, nessuno dei suoi amici aveva un'espressione disperata; d'altronde, Akamai nella lingua hawaiana significa "abilità" e solo un matto avrebbe scelto una particolarità in cui era debole, visto che dall'altro piatto della bilancia vi era l'esecuzione capitale.
Dopo che tutti i ragazzi ebbero ricevuto gli esiti e salutato rispettosamente gli Aldux, si avviarono verso le rispettive camere. Ak, Aditi e Nina diedero la buonanotte ai ragazzi, dato che i due sessi erano divisi per piani, ed entrarono nella camera che condividevano da ormai undici anni.
Ak si arrampicò sul letto a castello e iniziò ad ascoltare gli ultimi residui dei discorsi delle amiche, troppo stanca per intervenire; stavano parlando di Aukai, il ragazzo più carino di tutta Manaol grazie ai suoi affascinanti occhi blu oltremare, il fisico possente e perfetto, l'anima ribelle (nonostante gli Aldux vedessero con mal occhio quelli come lui, il ragazzo aveva un orecchino e un lungo e sottile codino sulla schiena, che terminava con perline colorate) e quell'aria sempre triste, come se dovesse sostenere sulle sue spalle un peso enorme e impossibile da sopportare; chiunque ragazza avrebbe pagato una cifra immane per poterlo consolare e vedere quel viso incorniciato dal suo meraviglioso sorriso, evento assai raro.
Ma gli occhi della ragazza stavano iniziando a chiudersi e il suo quotidiano tormento le bussava alla porta dell'anima, ricordandole che anche quella notte l'avrebbe infastidita nei sogni; così, mentre Aditi rivelava qualcosa a proposito di Aukai e Ak, la ragazza si addormentò.
Da subito le si presentò l'incubo che la tormentava da quando ne aveva memoria; lei piccolina, a casa, che parlava e giocava con un uomo alto, dai lineamenti indefiniti e senza volto: suo padre Akamu, come Ak lo ricordava.
I due scherzavano e si rincorrevano, quando la piccola uscì dalla baracca e si ritrovò dinnanzi a un muro immenso (il Muro che circondava Manaol), pieno di graffiti e disegni, la cui sommità era oscurata dalle nubi.
La bimba si voltò verso il padre, ma ebbe appena il tempo di ruotare la testa per vedere la mostruosa costruzione muoversi come un'onda verso Akamu e inghiottirlo tra i suoi mattoni, mentre lei urlava il suo nome e tentava di salvarlo. Non appena il muro tornò nella posizione consona, di suo padre non vi era nemmeno l'ombra; decise allora di arrampicarsi, eppure, più si avvicinava alla luce che scorgeva sulla sommità, più l'altezza del muro aumentava, finché non intravide due grandi occhi bianchi e tutto divenne nero.
Akenehi si svegliò di soprassalto, con i sudori freddi e un urlo incastrato in gola, quando si rese conto di trovarsi nella sua stanza, a notte inoltrata.
Era stato solo un sogno, un orribile sogno che racchiudeva tutta la sua infanzia.
Un sogno che mostrava tutta la sua paura più nascosta e il suo più ardito desiderio; ma era impossibile, non c'era nulla oltre il Muro, non vi era luogo fuorché Manaol, quella era la prima informazione che le avevano tatuata nella mente.
Eppure suo padre ci aveva creduto e l'aveva abbandonata per un posto inesistente.
STAI LEGGENDO
Epoh-Il Muro
FantasyManaol non è una terra felice. Da tempo i crudeli Aldux, dopo aver instaurato una feroce dittatura, governano il regno e, ogni anno, tutti i ragazzi di età compresa tra i 5 e i 20 anni appartenenti ai popoli Epoh e Gupdia sono sottoposti al Jaanch...