Beginning

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Capitolo uno: Inizio

"Sai perché i tuoi genitori ti hanno chiamata Hope?" Chiese Rebekah alla ragazza di fronte a lei, seguita da qualche attimo di silenzio.

Ci fu una pausa. "No" rispose la ragazza. "Non so molte cose"

Le sue parole erano vere.

Solo un'ora prima Rebekah aveva steso sua nipote sul divano per andare a preparare l'acqua per il bagno.

Ma un pomeriggio calmo non era nel suo futuro, perché Hope si era svegliata qualche minuto dopo su quello stesso divano, nuda e apparentemente di molti anni più grande di quanto era prima.

La confusione nell'aria era evidente.

Stanca di giocherellare con le sue dita Hope si alzò in piedi e si portò fino allo specchio appeso al muro.

Al posto delle guance rotonde adesso c'era una mandibola lievemente pronunciata e degli zigomi alti. Invece di ciuffi sottili, una cascata di capelli dorati le ricadeva sulle spalle. E il suo corpo... non era il corpo di una bambina. Era il corpo di qualcuno che aveva vissuto ben oltre la tenera età di un anno.

Ad ogni modo, gli occhi che stava guardando erano gli stessi che aveva sempre avuto, erano l'unica cosa che rimaneva della bambina.

Adesso c'era una ragazza confusa con molta poca conoscenza di se stessa.

Si ricordava, però, il suo nome, dove fosse, e che la donna seduta davanti a lei era Rebekah. Un vampiro.

Ma quando cercò di pensare a come lo sapesse, da dove venissero questi ricordi, si guadagnò solo una seria emicrania.

La maggior parte della sua memoria era selettiva. Si ricordava solo cose poco importanti per la situazione attuale.

"Ti hanno chiamata Hope perché non eri possibile." Rebekah la guardò Hope, i loro occhi si incontrarono nello specchio.

"Hai riavvicinato la nostra famiglia."

L'Originale disse le parole che Hope non voleva sentire, lei era importante. Le toccò il cuore in un modo che non poteva spiegare. Chi avrebbe voluto una figlia che non si ricordava il suo passato, la sua età?

E lì Rebekah le diede una breve sintesi di quello che doveva sapere per il momento, ovvero la sua famiglia, le sue zie e zii. I suoi genitori.

Era nata a New Orleans più di un anno prima e mosti di tutti i tipi avevano provato a ucciderla, quindi i suoi parenti avevano finto la sua morte e l'avevano mandata via con Rebekah per la sua sicurezza, sapendo che probabilmente non li avrebbe mai più rivisti.

L'unica cosa che Rebekah non sapeva su Hope era in che modo era lì, così.

"Devi capire che la tua famiglia ti vuole bene. Così tante persone a New Orleans ti vogliono bene."

Provò a comprendere che alla sua sicurezza era stata data la maggiore importanza ed era per questo che era stata mandata via.

"Io..." disse, tentando di trovare le parole giuste. "Non so se ci credo."

Si girò verso le scale, il pressante bisogno di muoversi ebbe la meglio su di lei, ma la voce di Rebekah la fermò.

"Hope," la chiamò con voce sottile, alzandosi in piedi.

Hope si fermò sui suoi piedi, guardando solo da sopra la sua spalla per fa sapere a Rebekah che stava ascoltando.

"Sto per chiamare tuo padre e tua madre, così come i tuoi zii e le tue zie. C'è qualcosa che vuoi dire?"

La paura prevalse, molto probabilmente, quindi scosse la testa, in religioso silenzio.

Col quello, la ragazza salì le scale e andò verso la cameretta che era stata la sua solamente un giorno prima. Alzò la sua mano esile e giocherellò con il cristallo appeso sopra alla culla; Rebekah le aveva detto che aveva decorato la stanza come quella che era stata pianificata a New Orleans.

Il suo cuore batteva forte, un segno che interpretò come rabbia. Non le piaceva, ma pensò che aveva tutte le ragioni per essere turbata.

Sapeva che la colpa non era della sua famiglia. In qualche modo, si sentiva come se fosse stata tradita. Non meritava di crescere in modo così repentino e, onestamente, non sapeva come prenderla. Come avrebbe dovuto sentirsi?

A questo punto, Hope sapeva molto poco del sangue che le scorreva nelle vene, la disastrosa connessione tra creature soprannaturali. Si sentiva come se fosse un mostro. Forse lo era. Il mostro di Frankenstein.

Quel pensiero le ronzava nella testa.

Frankenstein, che strano che sapesse che fosse. Forse aveva le conoscenze di tutto ciò che avrebbe imparato se fosse cresciuta normalmente.

Sapeva che fosse stato il primo presidente degli Stati Uniti, la regina d'Inghilterra e le tabelline. Sembrava che avesse le conoscenze di una persona normale alla sua età, o perlomeno, l'età che presumeva di avere.

Hope poteva dire tutti e sette i continenti, riconoscere un quadro di Van Gogh e cucinare le uova strapazzate.

Ciò che non sapeva era qualsiasi cosa riguardasse lei stessa, e quella era la cosa che la spaventava di più.

Si girò verso lo specchio dall'altra parte della stanza e lo raggiunse mettendo la mano sul muro vicino allo specchio. Continuava a trovare specchi per riflettercisi.

Poteva sembrare un gesto vanitoso, continuare a osservare la propria immagine. Ma Hope non si sentiva così. Non stava solo cercando la sua immagine, voleva vedere lei stessa.

Degli occhi limpidi e blu come le foglie di tè la fissavano, così grandi e pieni di emozioni che era difficile pensare che potessero ingannare chiunque, considerando la loro ovvia capacità di ritrarre ogni piccola emozione.

Un naso ordinario era posizionato al centro del viso. Delle labbra rosa e carnose avevano la parte sinistra impercettibilmente curvata verso l'alto per la concentrazione. Il viso a forma di cuore incorniciava questi lineamenti.

"A chi assomiglio?" Mormorò curiosa.

A sua madre? A suo padre? Riusciva a vedere la somiglianza tra lei e Rebekah, ma non era eclatante, era semplicemente lì.

Avrebbe dato tutto per conoscere la sua famiglia, per sapere com'erano i suoi genitori.

Prese un respiro profondo, si raddrizzò e si allontanò dallo specchio di cristallo con tutte le intenzioni di correre di sotto per dire a sua zia che voleva vedere il resto della sua famiglia.

Aveva bisogno di loro.

The Twisted Life Of Hope Mikaelson (Traduzione Italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora