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Il gruppo di dieci persone messe insieme apparentemente senza alcun senso, stava attraversando un lungo corridoio con numerose porte. Erano tutte uguali e, per quel che riuscì a capire Gilbert aprendole, conducevano tutte a camere contenenti due letti singoli.
Il silenzio era di nuovo calato tra di loro e grazie a questo fu possibile capire che erano gli unici in quella "casa". In effetti era una vera e propria abitazione, provvista di una cucina accessibile tramite delle scale, due bagni e le camere.
«Questa sarà la nostra nuova casa?» disse flebilmente Matthew. Nessuno lo degnó di uno sguardo ad eccezione del capo che, ogni volta che qualcuno prendeva parola, si rincuorava sapendo di non essere circondato da sordomuti che, a suo parere, erano molto più loquaci di quelle persone. Gilbert gli poggiò una mano fra i capelli e li scompiglió, notando solo allora una ferita non troppo grave ancora aperta appena al di sotto della mascella. Lasció allora la sedia di Antonio e si inginocchia accanto al bambino.
«Chi ti ha fatto questo?»
«Non lo ricordo»
La risposta del bambino non convinse l'albino che prestó capì che aveva mentito. Lo guardó con un lieve sorriso e notó alle spalle qualcuno che gli porse un fazzoletto. Si voltó e vede subito i lunghi capelli di Francis, riconoscendolo di conseguenza.
«Usa questo, puó essere utile»
Francis spostó Gilbert e prese in braccio il piccolo biondo, sollevandolo da terra e cominciando a tamponargli la ferita con il fazzoletto.
«Non sono cattive persone» osservò Antonio con la testa inclinata, mandando uno sguardo all'albino.
«Io credevo che i nemici mi avessero catturato» disse con voce quasi spaventata ma poi scosse la testa, ritornando "in sè". «Peró ho pensato che nessuno poteva catturare il magnifico me. Poi questi sono... Troppo strani»
«Grazie» Antonio ridacchió subito dopo avergli risposto, notando subito l'espressione imbarazzata del compagno che lo spingeva.
«Chiariamo, tu sei l'unico a non essere strano»
Il bruno annuì sorridendo e continuó a farsi spingere finché non raggiunsero gli altri alla fine del corridoio, accanto alle scale che conducevano in cucina.
«Allora, uomini, non c'è nessuno oltre a noi?»
«Siamo soli e, a quanto pare, l'unica porta che che conduce all'esterno è quella in cucina, che è chiusa» disse fermamente Ludwig. Sembrava più sicuro di pochi minuti prima e questo lo poterono constatare tutti visto che era sceso lui in cucina, accompagnato dal ragazzo con il ricciolo rosso.
«Qualcuno quindi ci ha rinchiusi in questa casa» disse arrendevole Gilbert, guardandoli tutti, uno ad uno, cercando di sviare lo sguardo quando gli toccó il ragazzo con la camicia di forza. «Spero che sia uno scherzo anche se ne dubito, siamo in tempi di guerra!»
Gli altri nove lo guardarono interrogativi quando parló della guerra. Nessuno parlò e capirono che era meglio non soffermarsi troppo.
«Forse è un esperimento per vedere se impazziamo restando chiusi qui»
Tutti sobbalzarono quando sentirono quelle parole provenire dalla bocca del ragazzo dell'angolo. Mentre altri erano sorpresi per il fatto che parlasse, altri erano preoccupati sul contenuto della frasa: analizzando i soggetti poteva anche essere vero. Gilbert era tra i primi, infatti cercava in tutti i modi di non pensare al perché li avessero rinchiusi ma al modo per andarsene. Essendo stanco e non avendo voglia di fare ragionamenti complessi, si passó una mano tra i capelli come per far andare via tutti i pensieri e puntó il dito contro il ragazzo che aveva forse dato una spiegazione a quella situazione.
«Tu! Visto che parli dicci il tuo nome!»
Il ragazzo in questione, che si era appoggiato al muro accanto ad Alfred, si avviò lentamente verso Gilbert. Il passo lento della sua camminata mise l'albino in uno stato di ansia e agitazione. Per non far notare la propria paura, andó a piazzarsi davanti al ragazzo con un sorriso spavaldo. Il più alto si abbassó finché i due visi non furono vicini.
«Ivan» sussurrò e tornó sempre lentamente verso il suo muro. Gilbert lo seguì con lo sguardo finché non si fermó, allora tiró un sospiro di sollievo.
«Allora, il nostro amico dalla fantastica camicia di forza si chiama Ivan»
Gli altri guardarono il ragazzo vicino al muro con timore. Avevano notato la paura di Gilbert e se lui l'aveva provata ci doveva essere un motivo. Il gruppo lo considerava il capo anche se non erano sicuri del fatto che fosse il più forte; non che importasse molto, non dovevano farsi la guerra.
Intanto solo uno di loro aveva avuto il coraggio di avvicinarsi di propria spontanea volontà. Il piccolo Yao aveva ignorato la paura che aleggiava nell'aria e si era avvicinato al braccio dell'alto ragazzo, scuotendolo e ottenendo la sua attenzione.
«Perché prima non lo hai detto?» la voce innocente di Yao non smosse minimamente Ivan che, in compenso, continuó a fissarlo. Ad un certo punto alzó le spalle e si piegó sulle ginocchia, arrivando più o meno al suo viso e cominció a scrutarlo meglio. Lo guardó per qualche minuto e alla fine si alzó, vagamente soddisfatto, mentre il bambino orientale era più confuso che mai.
«Forse quelle stanze sono per noi. Conviene scegliercene una e, in caso non ci aprano la porta della cucina, dormirci» Francis parló per spezzare la tensione, con ancora Matthew stretto fra le braccia. Il bambino aveva poggiato la testa sulla sua spalla e sembrava sul punto di addormentarsi.
«Cerchiamo di non occupare troppe stanze. Due persone per camera, visto che cinque sono troppe» Alle parole di Ludwig tutti si guardarono perplessi, cercando il miglior compagno con il quale condividere la stanza. Inutile dire che nessuno degnó di uno sguardo Ivan che, con la testa poggiata sul muro, li osservava attentamente.
«Uomini, se non vi decidete lo faró io al posto vostro» Gilbert usó un tono severo per farsi ascoltare da tutti. Il gruppo acconsentì con lo sguardo e l'albino portó una mano al mento, con fare pensieroso.
«Io dormiró con Tonio. Francis, vuoi dormire con lui?» disse indicando il bambino addormentato e il ragazzo non potè fare a meno di accettare.
«Rimangono sei. Ludwig...?»
Il biondo si guardó attorno, optando quasi subito per il tipo con il quale era andato in avanscoperta nella cucina. I quattro rimanenti si guardarono per un po' e Gilbert non seppe che abbinamenti fare.
«Ivan vuoi stare con... Arthur?»
Ivan si voltó verso il ragazzo dalle grandi sopracciglia che era intento a ridacchiare rivolto ad un muro. Allora si alzó e prese il braccio del bambino orientale.
«Voglio dormire non sentire qualcuno oltre a me che parla da solo. Prendo il bambino» lo sguardo di Ivan convinse l'albino che guardava incredulo la felicità del piccolo Yao.
Alfred allora, notando che si erano già formate le coppie per le camere, guardó il ragazzo con il quale avrebbe dovuto dormire. Notando il fatto che avesse cominciato a parlare da solo rivolto al muro, si voltò incredulo verso Gilbert.
«Io non ci sto con quello. Se mi fa
qualcosa mentre dormo?»
«Lo squartiamo o gli tagliamo la testa»
I nove si voltarono spaventati verso Ivan che aveva dato quella macabra risposta con un sorriso sulle labbra. Alfred allora, quasi impietosito dalla sorte del drogato, gli prese il braccio e lo trascinó letteralmente fino ad una camera, sperando di non dover mai assistere ad una scena simile.
«Okay beh... Adesso sceglietevi una stanza e fate quello che vi pare» Gilbert battè le mani un paio di volte e trotterelló in una stanza spingendo la sedia di quello che già considerava suo amico. I rimanenti seguirono il suo esempio e nel corridoio ci fu nuovamente silenzio ma questo era assente in quasi tutte le stanze occupate. Chi più e chi meno cercava di comunicare con il proprio compagno, provando a conoscere la persona con il quale avrebbero dovuto passare quella notte che, ormai si era capito, non sarebbe stata l'unica.

Em... Salve! Siamo ancora al secondo capitolo e già rompo. Okay, una curiosità: vi piacerebbe se scrivessi nella prossima parte cosa succede nelle stanza? Sono un po' indecisa >~<
Se commentate vi ringrazio da adesso. Ciao ciao ^~^

Hetalia death theoriesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora