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La colazione, che in quel caso fungeva anche da pranzo a causa dell'abbondanza, passó quasi completamente nel silenzio. Solo Gilbert e Antonio facevano conversazione, gli altri invece avevano il volto fisso sul piatto.  L'unica altra eccezione era Arthur che stava avendo un'animata discussione in inglese con le uova nel proprio piatto. Molte volte Yao aveva dovuto trattenere Ivan dallo staccare la lingua al sopracciglione biondo e per poco non ci riuscì. Fortunatamente, in soccorso dell'apparente inglese, venne Francis che lo fece sedere dalla parte del tavolo opposta al grosso ragazzo.
Mentre Arthur continuava a parlare, tutti finirono il proprio piatto e il primo a correre via fu Ivan, seguito da tutti ma non dal bambino che gli era sempre stato appiccicato da quando si trovavano in quel posto. Appena notó la sua assenza, tornó velocemente indietro e si sporse con la testa oltre la porta della cucina. Lo vide correre ovunque per mettere in ordine, con una nuova pentola sul fuoco. Il ragazzo gli si avvicinò e lo bloccó trattenendogli la testa.
«Perché devi mettere in ordine? Ci hai già sfamati quindi puó farlo benissimo qualcun'altro» si piegó sulle ginocchia cercando di assumere un tono scherzoso. Il bambino continuó a tenere lo sguardo basso mentre i piatti fra le sue mani tremavano.
«Io servo a questo, nient'altro»
Ivan cercó di accarezzargli una guancia ma questo fuggì dalla sua mano, ritornando ad ordinare. Capì allora che sarebbe stato inutile provare ad avere una conversazione e cominció ad aiutarlo, togliendo i piatti dal tavolo in silenzio. Quando passó dal piano cottura, si sporse per vedere cosa c'era nella pentola, notando del cibo che in quel momento non riuscì ad identificare.
«Che cucini di buono?»
«Una cosa che non puoi sapere» Yao, per la prima volta in quella mattinata, gli fece uno dei sorrisoni che gli aveva rivolto il giorno prima. Ivan si sentì quasi rincuorato e terminó di fare il lavoro, facendolo poi sedere sul tavolo mentre gli intimava con lo sguardo di stare fermo.
«Prima hai nominato il manicomio per scherzo?»
Il ragazzo sussultó, guardandolo con la coda dell'occhio.
«Questa situazione mi ha reso così nervoso che trovo difficile scherzare»
«Allora esistono!» balzó giù dal tavolo e si mise al fianco del ragazzo che intanto era impegnato a lavare i piatti con una leggera difficoltà. «Ne ho sentito parlare ma ho sempre creduto che fossero quelle cose che esistono solo nei film horror»
«No Yao, non è assolutamente finto. Ci buttano dentro le persone che credono pazze e in rari casi quelli davvero malati»
«E li curano, no?» la sua voce innocente aumentó la rabbia dell'altro ma non nei confronti del bambino: la sua rabbia era rivolta ai ricordi che non riusciva a reprimere.
«Sì»
«E come? Tu sei stato curato?»
Ivan lo guardó freddo, mentre cercava un altro modo per non far trasparire le sue emozioni.
«I medici fanno cose molto brutte a queste persone. Anche a me ne hanno fatto, ma sono ancora malato. Almeno così dicono» le sue braccia cominciarono a tremare dalla rabbia. Molló quello che aveva in mano ma, prima che potesse correre via, una delle sue gambe fu bloccata dall'abbraccio del bambino.
«Scusa! Non volevo farti arrabbiare! Sappi che non mi importa se sei malato, io ti voglio bene» Yao cominció a piangere e le lacrime bagnarono il largo pantalone di un Ivan in quel momento completamente immobile. Sentiva qualcosa dentro, una specie di calore, che aveva saputo dargli soltanto la madre prima che il ragazzo fosse buttato nel manicomio per volere esterno.
Una serie di ricordi gli passarono davanti agli occhi. La madre lo amava tanto, anche se ogni tanto parlava da solo. La donna immaginava che fossero amici immaginari quelli con cui conversava il figlio. Questo comportamento continuò e si ritrovó costretta dal medico di quel piccolo paese in cui abitavano a buttarlo in un centro per curarlo. Tutto fu vano poiché l'unica cosa che ottennero fu un ragazzo insofferente a tutte le torture alle quali veniva sottoposto per essere "curato".
Quell'affetto che Yao gli dava, gli ricordava la madre che cercava di trattenerlo per non perderlo, che aveva lottato per dimostrare che il figlio non era malato. Non sapeva se goderselo o stare alla larga per paura che con uno dei suoi attacchi potesse fargli del male.
Abbassó la testa per guardarlo e decise di prenderlo in braccio.
«Mi vuoi bene anche se mi conosci da poco?»
«Non è questo che conta!» Yao gli buttó le braccia al collo e lo strinse, sorprendendosi quando quell'abbraccio fu ricambiato.
«Per dimostrarti il mio affetto volevo farti una sorpresa» indicó la pentola un po' deluso. «Ma tu sei tornato!»
Yao mise il broncio e questo fece ridere Ivan. Una risata piena, davvero divertita. Dopo aver quasi smesso, lo rimise a terra, scompigliandogli i capelli.
«Facciamo finta che io non abbia visto nulla» con ancora il sorriso sulle labbra, uscì dalla cucina, dirigendosi verso la propria stanza.
Durante il cammino si scontró con dei manici in ferro e, abbassando lo sguardo, notó Antonio "parcheggiato" nel mezzo del corridoio.
«Perdonami amigo~.Gilbert mi ha bloccato la sedia e non posso spostarmi» gli sorrise cercando di scusarsi e notó con particolare sorpresa lo stesso sorriso sulla bocca del gigante.
«Dovrei arrabbiarmi? L'idiota è lui» Ivan alzó la mano in segno di saluto e lo sorpassó, bloccandosi alle successive parole del bruno.
«Ti vedo contento! É vero allora che il cibo dà felicità»
Il ragazzo alzato si limitò ad annuire ed aprì la porta, arricciando il naso quando percepì un lieve odore di bruciato.
«Lo sento solo io?» domandó perplesso al bruno.
«Questa puzza? Non direi, sta diventando molto forte peró» Antonio si mise un braccio davanti alla bocca ed Ivan, per guardarlo, notó del fumo nero e denso salire lungo le scale.
Il ragazzo sbiancó e corse allarmato in cucina. Cercó di guardarsi attorno ma quello che vide fu solo il fumo nero e le fiamme che si avvolgevano su ogni oggetto. Fu instintivo chiamare il nome di Yao, soffocando a causa della polvere, ma non ottenne risposta. Si fece largo in tutta la cucina, non trovando nulla e ringrazió tutti gli dei esistenti nel mondo quando Francis e Gilbert piombarono in cucina armati di estintori che ben presto divorarono ogni fiamma.
A lavoro svolto i due cercarono Ivan e lo trovarono seduto sulle assi bruciate mentre guardava scioccato quel che restava di un piccolo corpo mangiato dalle fiamme.
«Mein Gott» l'unica cosa che uscì dalla bocca dell'albino fu questo, scioccato dal comprendere chi fosse morto. I tre guardarono con aria sconvolta il piccolo corpo mentre sentivano i passi degli altri avvicinarsi. Ivan a quel punto scattó in piedi, con una luce furiosa negli occhi.
«Andate via! Subito!»
L'unico a percepire il lieve tremore nella sua voce fu Gilbert che, quasi per rispetto, fu il primo ad andarsene a testa bassa, seguito dagli altri.
Ivan, quando fu finalmente solo, continuó a guardare il corpo carbonizzato. Lo sfioró con la punta delle dita, come se fosse delicato, ma la sua vista si appannó notevolmente. Grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi mentre i singhiozzi aumentavano. Quel calore provato in precedenza fu sostituito nuovamente dal vuoto. A differenza di quello che si portava dietro da anni, questo era più profondo e faceva male come una ferita provocata dalla lama di un coltello. Aveva provato di nuovo affetto ma era stato troncato sul nascere.
Ad un certo punto non riuscì neanche a guardare quell'ammasso di carne bruciata. Alzó la testa, con ancora le lacrime agli occhi, e notó una piccola lucina rossa sul soffitto. Asciugó velocemente le lacrime con l'orlo della maglia e si alzó per osservare meglio quell'oggetto.
Assottigliando gli occhi, notó una telecamera puntata proprio sui due.

(Commentino mio necessario) Sì, questo in realtà è Grande Fratello.

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