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Il silenzio in quella stanza faceva da sovrano. Nessuna delle dieci persone presenti aveva avuto il coraggio di parlare. Continuarono a guardarsi l'uno con l'altro, alcuni incuriositi mentre altri cercavano solo di calmare la paura e la sorpresa. Tra di loro erano presenti anche dei bambini, due per la precisione, ma neanche loro parlavano o si muovevano continuamente come facevano di solito i piccoli.
Nessuno riuscì a capire come ci erano finiti in quella stanza e, in cuor loro, speravano tutti che qualcuno prendesse parola per tagliare quel silenzio e forse fornire delle spiegazioni. Uno di loro, dai capelli bianchi e con una divisa militare, si alzó e battè le mani per attirare l'attenzione di tutti. In parte ci riuscì ma alcuni non diedero neanche cenno di averlo sentito, come il ragazzo biondo cenere, rannicchiato in un angolo e poggiato ad un muro con una camicia di forza non chiusa.
«Bene, ragazzi e bambini, siamo tutti nella stessa situazione. Io per primo, stranamente, non sono a conoscenza di quel che ci è capitato. Sta di fatto che non possiamo starcene con le mani in mano» l'albino sembró parlare più che altro da solo. Le sue parole furono seguite fino all'ultimo da neanche un terzo dei presenti, tra i quali un ragazzo sulla sedia a rotelle, dalla pelle abbronzata e i capelli castani e disordinati.
«Sono d'accordo. Hai qualche idea?»
L'albino fece un enorme sorriso soddisfatto a quella domanda, anche se non aveva idea di quel che sarebbe dovuta essere la risposta.
«Cominciamo a conoscerci! Tu piccoletto» disse indicando uno dei più piccoli, «Come ti chiami?».
Il bambino preso in considerazione, dai capelli castani e lunghi raccolti in una coda, non prestó attenzione alla domanda. I suoi occhi a mandorla erano puntati con una nota di preoccupazione sul ragazzo nell'angolo che di tanto in tanto spalancava gli occhi come se qualcosa lo avesse spaventato o provocato dolore.
«Andiamo bene direi...» l'albino alzó entrambe le sopracciglia e decise di portare una mano al petto. «Il mio nome è Gilbert e visto che nessun'altro ha preso parola, saró il vostro capo. Adesso, visto che siamo un una comunità molto ristretta, dovremo conoscerci»
«Io sono Antonio» prese parola il ragazzo sulla sedia a rotelle che alzó un braccio per farsi notare.
Gilbert fece un giro su se stesso prima di puntare gli occhi su un ragazzo che sembrava poco più piccolo di lui, con capelli dorati abbastanza lunghi lasciati sciolti sulle spalle.
«Il tuo nome?»
Il ragazzo biondo alzó gli occhi quasi spaventato e serró le braccia attorno alle proprie gambe piegate e strette al petto.
«Francis» la sua voce era flebile e timorosa e Gilbert fece il possibile per capire e non ripetere la domanda.
Una manina sbucó in alto da dietro la schiena del ragazzo di nome Francis. Questa apparteneva ad un bambino altrettanto biondo, molto magro e con un ciuffo lungo che gli ricadeva sul volto.
«Io sono Matthew»
Gilbert si affrettò a voltarsi e, notando che era un bambino, gli rivolse subito un sorriso.
«Piacere, piccolo biondino»
Come se avesse seguito l'esempio del suo coetaneo, il bambino moro che prima aveva ignorato l'albino scattó in piedi.
«Io sono Yao» Subito dopo aver pronunciato il suo nome, trotterelló fino al fianco del ragazzo nell'angolo, guardandolo curioso. «Qual è il tuo nome, invece?»
Il piccolo orientale però non ottenne alcuna risposta poiché il ragazzo si limitó a spostare gli occhi su di lui per poi riportarli sul pavimento davanti a se. La delusione sul suo volto fu notevole ma l'espressione si dissolse quando invece parló un altro ragazzo biondo, piuttosto bassino, con grandi sopracciglia e occhi innaturalmente arrossati.
«Probabilmente sta guardando lo spettacolo delle fatine» la sua risata stridula si propagó nella stanza, provocando l'irritazione di quasi tutti i presenti. «Il mio nome è Arthur. Arthur, Arthur...»
Continuó a ripetere il proprio nome per svariati minuti, interrotto solo dalle sue risate visto che tutti avevano capito il suo uso di sostanze stupefacenti.
Gilbert lo guardó perplesso prima di puntare lo sguardo sull'ennesimo ragazzo biondo presente nella stanza. I suoi occhi azzuri erano confusi e molte volte si perdevano nel vuoto a tal punto che l'albino dovette schioccare le dita per essere guardato.
«Sono Lud... Ludwig. Credo...» disse con un tono di voce notevolmente incerto.
«Credi?»
Non ebbe risposta parlata poiché l'interpellato annuì e riprese a guardare il vuoto.
Gilbert si passó una mano fra i capelli con fare arrendevole. Non sapeva come fosse capitato in un gruppo di pazzi ma l'unico modo per capire qualcosa era conoscerli tutti e sapere dov'erano. Si voltó così verso un ragazzo con capelli rossicci. Aveva le ginocchia al petto ed era seduto su una poltrona giocando con il suo strano ricciolo rosso.
«Ricciolo rosso come ti chiami?» Il ragazzo alzó lo sguardo, facendo un lieve sorriso e lo osservò per una manciata di secondi.
«Feliciano»
Gilbert alzó il pollice soddisfatto dalla risposta e si voltó verso l'ultimo ragazzo rimasto. Un biondino abbastanza alto, con occhiali e cuffiette. Nessuno aveva notato la sua presenza fino al momento in cui non gli fu chiesto il nome. Solo allora il ragazzo si tolse le cuffie, posandole lentamente e riappoggiandosi comodamente sul muro.
«Sono Alfred!» il tono della sua voce, così squillante e alto, fece sobbalzare tutti i presenti.
«Grazie ad Alfred non mi sento più l'unico umano tra gli zombie» Gilbert rise fragorosamente ma si interruppe quando ricevette un'inquietante occhiata da parte del ragazzo con la camicia di forza.
«Non guardarmi così! Anzi, se vuoi guardarmi dimmi il tuo nome»
Per l'ennesima volta non ricevette risposta così, per calmarsi, gli diede le spalle e mise fieramente le mani sui fianchi.
«Allora, banda di depressi e malati, il vostro caro amico Gilbert sta elaborando un piano per capire come uscire di qui. Direi di perlustrare l'aerea, così da conoscere il nostro campo di battaglia!»
Detto questo si avvió verso la sedia di Antonio, spingendola verso l'unica porta della stanza e invitando gli altri a seguirlo con un cenno della mano. Pian piano tutti si alzarono e, con stupore da parte di Gilbert, si alzó anche il ragazzo dell'angolo che si riveló spaventosamente alto. Quando gli passó accanto per varcare la porta, gli rivolse un altro sguardo con i suoi occhi violacei che l'albino trovó spaventosi. Il più basso lo guardó finchè non sparì dietro un angolo, continuando ancora a sentirsi inquieto.
«Gilbert? Vuoi rimanere indietro?» a riportarlo alla realtà fu Antonio che gli rivolse un caldo sorriso, facendo cenno con la testa di proseguire.
«No, Tonio» Gilbert ricambió incerto il sorriso e cominció a spingere veloce la sedia del povero ragazzo che intanto si aggrappava in tutti modi ai sottili braccioli per non essere sbalzato via.

Hetalia death theoriesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora