-6-

229 27 19
                                    

Passarono un paio di giorni e il clima in quella casa si faceva sempre più pesante. Dopo la morte di Yao tutti erano spaventati, chi più e chi meno. Tra i secondi si trovavano Antonio e Gilbert. In quei giorni avevano passato il tempo per lo più da soli, isolati dagli altri. L'albino cercava di evitare in ogni modo Ivan, il cui comportamento era sempre più strano: anche lui aveva cominciato a parlare da solo ma in russo e spesso cominciava a ridere da solo senza un apparente motivo. In effetti tutti lo evitavano.
Antonio invece aveva altri motivi di cui alcuni erano condivisi dall'amico. In Gilbert aveva trovato un ottimo amico, che lo aveva aiutato fin da subito. Grazie a lui si era affaticato molto meno poiché non doveva più fare tanti sforzi per spostare la propria sedia. L'albino in effetti non voleva farlo assolutamente stancare, specialmente dal giorno in cui avevano trovato Feliciano sanguinante in bagno. Non aveva notato subito la sua stanchezza ma la sera, nella stanza, lo aveva visto sul letto tremante mentre si premeva continuamente la mano sul petto, sussurrando frasi che in quel momento capì solo il bruno. Gilbert quella notte aveva dormito con lui. Un gesto abbastanza inutile  ma era una confortazione per lo più propria, poiché gli sembrava che stesse facendo finalmente qualcosa di buono. Nonostante ció il giorno dopo la stanchezza di Antonio sembró non essersene andata, quindi si era sentito completamente davvero un buono a nulla. Non aveva provato spesso quella sensazione in vita sua quindi non sapeva che potesse essere così acuta e lancinante. Il bruno peró cercava di non gravargli troppo sulle spalle. Era a conoscenza del proprio stato di salute e si malediceva mentalmente per il fatto di essersi trovato un vero amico. Di solito era molto aperto ma non si legava a nessuno per non soffrire e non far soffrire le persone che gli volevano bene.

Era pomeriggio quando Antonio decise di muovere un po' le braccia, riuscendo ad andare da Gilbert che intanto era intento a crogiolarsi nel letto per un motivo sconosciuto. Con tocco delicato gli toccó la spalla e l'albino scattó seduto sul letto. Lo guardó prima con paura, non si aspettava che venisse da lui da solo, poi gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisetti.
«Tonio! Ti senti meglio?»
«Non posso fare sempre il mezzo vegetale» ricambió il sorriso e cercó di sedersi sul letto, finendo per cadere rovinosamente a terra. Gilbert si precipitò da lui e lo mise a sedere sul cuscino, con la schiena contro il muro proprio di fianco a lui.
«Il magnifico me ti accoglie nel suo fantastico, morbido e grande letto»
«Ne sono onorato Gil» sospiró e prese una pausa prima di continuare.«Senti... Di questo passo pensi anche tu che moriremo tutti?»
«Vorrei non pensarlo. Io non voglio morire e non voglio neanche che muoia tu. Se tu morissi resterei solo con questi pazzi!»
«Ma quanto siamo teneri» disse Antonio con aria scherzosa mentre gli tirava una guancia.
«"Magnifico" comprende tutte queste cosette»
Mentre Gilbert continuava a pavoneggiarsi, il bruno ricominció a sentire un dolore al petto e le gambe formicolare. Antonio non gli diede tanto peso poiché quello che più lo preoccupava era il petto. Sentiva un forte dolore ogni volta che respirava  e, ovviamente, portarsi le mani al cuore non servì ad alleviare i dolori. Le fitte diventarono sempre più forti a tal punto che non riusciva neanche a distinguere le parole di Gilbert, piegato su di lui nella speranza di riuscire ad aiutarlo.
Antonio non soffriva così da tempo e così capì anche il motivo di quel dolore. Fino a pochi giorni prima di entrare in quella casa, era sempre stato attaccato a flebo a casa oppure in ospedale. Non riusciva a ricordare bene com'erano i giorni prima che gli venisse data una cura che, d'altronde, tale non era: serviva solo per non farlo soffrire. Nessun medico in Spagna era riuscito a capire la causa del suo decadimento fisico e avevano escluso un tumore. In poche parole Antonio era da anni in attesa che la morte venisse a bussare alla sua porta.
Il ragazzo dai capelli scuri in quel momento non aveva voglia di farsi sopraffare da qualcosa di sconosciuto. Con il respiro pesante prese con forza la maglia blu di Gilbert e la strinse.
«Tonio! Che hai? Stai meglio?» il suo volto preoccupato strinse il cuore di Antonio in una morsa ma questa volta il dolore non era fisico. Con enorme sforzo alzó gli angoli della bocca per sorridere e tentó di sedersi.
«Che ne dici se... Ci facciamo un giretto? L'aria fresca mi farà stare meglio»
«Certo!»
L'albino fu rapido a mettere l'altro seduto sulla sua sedia in ferro e a portarlo in cucina e di conseguenza fuori. Quando entrarono in cucina videro Ivan fare uno dei suoi monologhi in russo ma quando notó la loro presenza smise di parlare per cominciare a fissarli. Dopo che i due ebbero attraversato la stanza, Gilbert si voltó un attimo indietro e vide il russo scuotere la testa mentre abbassava lo sguardo. L'albino lo trovó strano e non seppe capirlo, così continuó a spingere la sedia di Antonio fra l'erba alta di quel giardino mal tenuto.
Antonio teneva la fronte su una mano mentre stringeva i denti per non piegarsi in due e urlare. Gilbert cercava di essergli utile e, quando lo faceva, aveva il sorriso in volto. Era questo uno dei motivi per cui il bruno teneva duro: voleva farlo sentire felice.
«Sicuro di star bene?»
«Sto meglio di prima. L'aria è meno... pesante»
«Infatti. Poi i ballerini come te dovrebbero amare gli spazi aperto» un'altra volta parló senza pensare ma non riuscì a capire cosa avesse sbagliato, non ci pensó neanche ad eventuali errori. Si inginocchió in modo tale da potergli mettere un braccio attorno alle spalle e solo allora lo vide piangere. Le lacrime scorrevano velocemente sui suoi zigomi fino a cadere sulle gambe immobili, dalla sua bocca non usciva alcun singhiozzo.
«I-io non sono più un b-ballerino. Sono c-con un piede nella f-fossa» L'albino spalancó gli occhi e strinse le proprie mani sulle sue spalle, scuotendolo. Fino a quel momento non aveva mai sentito uscire una cosa così triste e arrendevole dalla bocca dello spagnolo.
«Certo che no! Passerà tutto. Ti cureró io. Proveró a...» la frase fu interrotta da un abbraccio. Non sembrava uno di quelli che ci si scambia normalmente. Quello di Antonio era un gesto più disperato: si aggrappava alla sua schiena e continuava a piangere sul suo petto. Gilbert si limitò a portargli le mani sulla schiena. Non aveva la minima intenzione di allontanarsi ma allo stesso tempo non voleva stringerlo per paura di fargli del male.
Lentamente la stretta di Antonio si allentó e le lacrime smisero di bagnare la maglietta dell'altro. Sembró essersi calmato. Gilbert a quel punto sorrise, pensando che fosse riuscito a placarlo. Non si curò subito di tutto il peso che aveva fra le braccia. Si trovó a pensare che pochi minuti prima non era così pesante. L'albino pensó di essersi improvvisamente indebolito ma, spostandosi per tenerlo meglio, non sentì più il respiro caldo del bruno sul collo. Con particolare lentezza realizzó e rimase completamente immobile mentre il corpo di Antonio scivolava dalle sue braccia, andandosi a stendere scompostamente sull'erba.
Gilbert continuó a guardare avanti, non aveva il coraggio di abbassare gli occhi e guardare il corpo morto di quel che era stato il suo più breve migliore amico.

Hetalia death theoriesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora