2. La concorrenza

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Tutto era iniziato per caso un giorno di settembre.

M. aveva risposto a un annuncio sul giornale, in cui si cercava una segretaria da inserire in una società di organizzazione eventi. Non era certo il sogno di tutta una vita per una che si era laureata in storia dell'arte col massimo dei voti e aspirava a lavorare in un museo, ma ormai erano anni che aspettava il lavoro perfetto e la sua ricerca non aveva portato a niente. Due anni di disoccupazione, di impieghi mediocri senza contratto, di tirocini che non le aprivano nessuna porta, di corsi di aggiornamento stavano incominciando ad essere pesanti e avevano dilapidato il suo già esile conto corrente. Senza contare il fatto che ormai aveva trent'anni: un'enormità per affacciarsi nel mondo del lavoro. Poteva solo rispondere agli annunci delle agenzie per il lavoro, sperando in un posto da segretaria, commessa, cameriera o donna delle pulizie. E francamente la prima occupazione era la preferibile: pulita, comoda, non troppo stancante e dove poteva mettere a frutto un minimo delle sue conoscenze di livello universitario. Solo che fino ad allora nessun datore l'aveva mai richiamata per farle avere quell'incarico benedetto. O maledetto piuttosto. Fino a che una mattina di settembre, quando ormai si vedeva vecchia e sola ancora nella casa dei suoi genitori, l'agenzia l'aveva convocata per un secondo colloquio e questo sembrò aprirle tutta una nuova prospettiva. O almeno una speranza inattesa. Alle nove si era presentata in ufficio, dove sedute nell'atrio stavano già altre due ragazze: una era vestita con un tailleur pantalone grigio scuro, un po' troppo classico per la sua età, che la invecchiava di almeno dieci anni, nonostante fosse certamente sotto i trenta. Aveva i capelli biondo scuro raccolti in un perfetto chignon da ballerina classica, trucco leggero in modo da sembrare struccata a un occhio non esperto (quello di un uomo per intenderci), scarpe decolletées con tacco ma non troppo alto da risultare volgare, e una borsa di cuoio nera appoggiata alle gambe della sedia. La ragazza alla sua destra aveva un look più giovanile (cioè adatto alla sua età) con una camicetta bianca sbottonata sul davanti, non troppo da far vedere qualcosa di sconveniente ma abbastanza da far immaginare che ci fosse altro lì sotto (ottima tattica se il responsabile delle risorse umane è un maschio), una gonna a palloncino azzurro polvere lunga fino al ginocchio, sandali argento con tacco basso che lasciavano il piede praticamente nudo (altra mossa vincente in caso di feticista dei piedi). I suoi capelli erano di un castano nocciola, così come gli occhi, incorniciati da un paio di occhiali neri di forma allungata, che mascheravano solo in parte il trucco impeccabile.

Era convinta di non avere nessuna speranza di riuscita: una trentenne che dimostrava a malapena diciotto anni, non particolarmente bella, bassettina, che si presentava a un colloquio con un semplice abitino di seta rosso decorato da teschietti e delle ballerine nere di vernice, capelli sciolti senza nessuna piega particolare, occhiali, niente trucco. Contro una schiera di modelle che potevano benissimo fare da pr nelle discoteche più fashion della zona. Non ce l'avrebbe fatta neanche questa volta, ma ormai era entrata in quell'ufficio e avrebbe fatto il colloquio. E domani avrebbe ricominciato daccapo come se niente fosse successo; ormai era diventata brava a mascherare le sue sconfitte e a non darci troppo peso. Questione di sopravvivenza quotidiana.

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