Capitolo 2

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Dall'altra parte della città, nei pressi di Regent's Park, un uomo passeggiava tranquillamente con una Beck's nella mano destra, come rilassato dalla pioggia che andava diventando, col tempo, sempre di meno.
Aveva desiderato da molti giorni una serata placida come quella, lontana dai riflettori e dai flash delle fotocamere; la sua vita, così "insopportabilmente perfetta" - come i titoli delle riviste rosa amavano etichettarla, facendolo salire su tutte le furie - stava iniziando a stargli stretta.
Per tutti, ma in particolare per la popolazione femminile, lui era sempre più Bucky Barnes o Jefferson e sempre meno Sebastian, il semplice e anonimo ragazzo della porta accanto.
I tabloid amavano descrivere la vita delle star di tutto il mondo come "perfetta, agiata, lussuosa, divertente", ma Sebastian sapeva che quella non era la verità.
Certo, i soldi e la fama contribuivano moltissimo al suo livello di felicità, di sicuro molto più alto di un qualsiasi disoccupato o operaio, ma a volte anche il più malato di palcoscenico desidera un momento di solitudine e anonimato.
Sebastian camminava lentamente accanto alle inferriate del parco; era una delle zone di Londra che preferiva. Per non dare nell'occhio, pur essendo inutile data l'ora tarda, decise di indossare un cappellino con visiera a coprirgli metà del viso ed un semplice cappotto nero. A guardarlo, non sembrava affatto una celebrità: poteva essere scambiato perlopiù per un perditempo mezzo ubriaco, per via di quella birra che recava poco elegantemente in mano.
Aveva passato una serata senza intoppi in un pub a Piccadilly: nessuno lo aveva riconosciuto, nessuno aveva cercato di attirare la sua attenzione, niente di niente.
Sommerso dai pensieri e dalla voglia di godersi la nottata prima di ritirarsi in albergo, non si accorse di essere giunto nella zona di Abbey Road, in un quartiere piuttosto decentrato di Londra ed anche abbastanza distante dalla zona da cui era partito.
"Ma come diavolo ho fatto?" Ripeteva tra sé, portandosi un dito all'incavo del mento.
Non aveva badato a nulla quella sera, aveva solamente lasciato che le sue gambe lo guidassero nella direzione più opportuna fino allo sfinimento.

Ed ora era sfinito e perso.

Non era pratico della City, pur avendo vissuto in città molto più grandi. In particolare quel quartiere, il borgo di Camden, risultava essere uscito da un videogioco labirintico: era tutto incredibilmente uguale.
Prese lo smartphone, intasato come sempre da messaggi e notifiche dai suoi account social, e con non poca difficoltà a causa dell'elevato numero di dati riuscì a far partire Google Maps.
"Cerca Big Ben, parti dalla mia posizione"
Crash del cellulare. Spento, morto.
"Dio santissimo! Ma cosa ti prende proprio adesso?"
Sbraitò senza ritegno al suo iPhone. Si bloccava nei momenti meno opportuni; l'ultima volta aveva dovuto rinunciare ad una foto ricordo con un amico di vecchia data per lo stesso problema. Quel catorcio sembrava accorgersi del momento del bisogno per crashare misteriosamente!
Sbuffò, deciso a non perdere la calma per una futilità del genere. Era Sebastian Stan, e forse quello era il momento di far valere il suo lato da celebrità per ricevere aiuto a tornare nella zona dell'albergo. Chi non lo avrebbe aiutato?
Si girò intorno più e più volte, alla ricerca di un'anima viva a cui chiedere informazioni. Nessuno.
Londra quella sera sembrava davvero svuotatasi del 90% della popolazione, ma dove erano finiti tutti?!

La pioggia aveva smesso di battere, e al suo posto un venticello gelido gli faceva tremare le spalle.
"Maledizione..." sussurrò ancora.
Si sedette sulla panchina della fermata del bus, convinto che avrebbe dovuto attendere il mattino per non tornarsene a piedi, quando improvvisamente sentì uno strano rumore, come di tacchi che battono assieme l'uno contro l'altro.
Si voltò verso destra inarcando un sopracciglio, e vide lei: una ragazza piuttosto alta, dai capelli castani scompigliati e bagnati, che le si erano appiccicati sul viso a mo' di cornice, con gli occhi verdi segnati dalla stanchezza e dal trucco sciolto. Aveva un vestitino nero e delle scarpe col tacco nella mano destra; stava camminando scalza?
Si alzò, pensando di poterle essere d'aiuto e, dunque, riceverne in cambio.
"Signorina? Mi scusi, lei..."
Non fece in tempo a finire la frase che lei, osservando quell'uomo cupo, dall'aria stanca e sciupata dalla pioggia (non lo era anche lei, del resto?), con una bottiglia di birra mezza vuota tra le mani, finí per spaventarsi.
"Cosa vuole? C-chiamo la polizia se non si siede! Mi stia lontano!"
Esclamò, indietreggiando col terrore in volto.
Sebastian trattenne un sorriso misto a stupore. Quella ragazza non lo aveva ancora riconosciuto.
Si premette il berretto sul capo con fare calmo, e si sedette di nuovo.
"Signorina, non voglio farle del male. Mi sono perso. Può anche posare quella boccetta di spray al peperoncino che sta tenendo stretta nella borsetta." Sussurrò con aria saccente.
"Io non ho nessuno spray al peperoncino!" fece lei, ancora più terrorizzata da quell'estraneo di cui non riusciva a vedere il volto. Doveva passare obbligatoriamente davanti a lui per raggiungere la strada del suo appartamento.
"Oh diamine, queste cose funzionano solo nei film. Però, se davvero ne avesse avuta una, adesso avrebbe creduto che io fossi una specie di mago o qualcosa del gen-AHIAAAAAAA!!!!!" Urlò portandosi le mani agli occhi: aveva commesso il grave errore di alzarsi e avvicinarsi a lei, convinto di aver guadagnato un minimo di fiducia. E invece no.
"CAZZO! Ma allora lo avevi davvero lo spray! AAAAHHH!!" continuò, stropicciandosi gli occhi pieni di lacrime.
"M-mi dispiace, buona serata!" Esclamò lei, fuggendo via.
Ma cosa le era saltato in mente? Magari quel poverino voleva davvero aiutarla. Sembrava messo piuttosto male...
Sommersa dai sensi di colpa, dalla confusione e dalla paura inciampò in una profonda pozzanghera durante la sua corsa. Non aveva percorso neanche 50 metri, poteva vedere benissimo il suo presunto aggressore riprendersi dal bruciore e guardarsi intorno.
"Fa' che non mi veda, ti prego..." bisbigliò rannicchiandosi. Non riusciva ad alzarsi; aveva preso una brutta distorsione alla caviglia.
"Signorina!" Urlò Sebastian in preda a tutte le furie. "Domani riceverà una notifica dal mio avvocat-...oh"
Si stava avvicinando a lei durante l'invettiva, e con amaro stupore scoprì il profondo taglio che la ragazza recava alla caviglia. Altro che distorsione, sembrava essersi fatta piuttosto male!
"Per favore non mi faccia del male, ho pochi soldi con me, se vuole può prenderli... e ho un telefono scarico. Mi lasci solo le chiavi di casa... ci ho messo una serata a ritrovare l'orientamento" bisbigliò lei, portandosi una mano alla caviglia.
Sebastian continuò a stropicciarsi gli occhi arrossati che ancora pizzicavano, dopodiché si tolse il cappello, la cui visiera rendeva impossibile una visione totale del viso.
"Mi stia a sentire, il mio nome è Sebastian Stan, quello che fa Bucky, l'amico di Capitan America, ha capito di cosa sto parlando? L'ultima cosa che voglio è farle del male, io stavo solo cercando di chiederle un aiuto a tornare al mio albergo. Non è che mi diverta molto a stare in questo borgo puzzolente. A quanto pare lei non è fatta per la vita notturna, se aggredisce i passanti in questo modo.
Accidenti, ma quando passa questo bruciore?"
"Santo cielo, Sebastian Stan... sono davvero mortificata. Cioè, sia chiaro, lo sarei stata anche se lei fosse stato un clochard qualsiasi, ma ora alla mortificazione si aggiunge la vergogna delle mie condizioni..."
"Non che io me la passi meglio."
Sebastian la prese e l'aiutò ad alzarsi, tenendola per le spalle. Profumava di fiori di pesco e muschio. Uno strano accostamento, che tuttavia risultava gradevole.
"Io mi chiamo Emma."
"Emma, devo accompagnarti al pronto soccorso? Quel taglio laggiù non mi piace."
"Studio medicina, so come fare una banale medicazione. Gradirei che mi dessi una mano ad arrivare al portone di casa... è proprio laggiù"
Sebastian arrossí, a causa delle proprie parole scortesi riguardo quel sobborgo. Aveva tentato di sottolineare la sua posizione per darsi delle arie, ma era un accenno di superbia che gli scappava solo nei momenti di rabbia. Non era affatto quel tipo di persona, anzi era molto umile e affabile.
"Ma certo.. senti, riguardo a prima.. questo quartiere non puzza affatto. Sarà il mio naso che stasera..."
"Puzza un sacco e lo penso anche io, ma fortunatamente starò qui per poco. Sono in Erasmus."
"Senti, quando passa questo terribile bruciore agli occhi?"
"Serve un impacco di camomilla... se ti va puoi salire a darti un'aggiustata e ti bagno delle bustine. Ma sia chiaro... non osare fare stupidaggini o ti rispedisco fuori a calci, non importa chi tu sia!"
"Oh, per chi mi hai preso? Sono una persona molto seria!"
"Perdonami, è che sono iper paurosa nei confronti di chi non conosco, ed anche se ti conosco da sempre dal grande schermo non riesco ad evitare di pensare alla mia imprudenza.
Vengo da una piccola cittadina italiana e non sono abituata a questa vita così frenetica e pericolosa."

Zoppicando, arrivarono al portone verde. Appena entrati, Sebastian sospirò e si sfregò le mani, finalmente al caldo.
"Bella casa!" Esclamò, sedendosi sul divano bianco. "È proprio vero che gli italiani hanno uno spiccato senso dello stile."
"Era già arredata, Sebastian" fece lei soffocando una risata, mentre applicava delle bende alla caviglia.
Mise a bollire dell'acqua e vi intinse ben quattro bustine di camomilla, che prontamente portò all'uomo, seduto ad occhi chiusi.
"Ah, maledizione! Stasera non ne azzecco una."
Emma gli posò le bustine sugli occhi, muovendo le dita a piccoli cerchi appena sotto il dotto lacrimale. In quell'attimo di momentanea cecità di lui, a causa delle bustine, lei imbarazzata gli studiò a fondo i particolari del viso; quelle piccole rughe accanto alle labbra e vicino agli occhi, segno di una sana abitudine a sorridere, la fossetta sul mento così perfetta, come la vedeva nelle foto... Percorse coi polpastrelli gli angoli dei suoi occhi bagnati, desiderando di ammirare quel colore blu ghiaccio.
"Signorina, mi dispiace di averti fatto paura."
"Perché mi chiami ancora signorina?In ogni caso, scusami tu per essere stata così esagerata."
"La prudenza è la prima cosa! E comunque, mi piace come vezzeggiativo." Si fermò qualche secondo, poi continuò "ma non è che mi aiuteresti a ritrovare il mio albergo? Ti ricordo che mi ero perso anche io"
Emma sospirò, pensando a quale dio le avesse portato Stan proprio nel suo salotto, poi tornò alla realtà: cosa avrebbe pensato se l'avesse fatto restare una notte lì? L'avrebbe presa per ragazza facile, pronta ad approfittare della celebrità di turno.
"Ti chiamo un taxi?"
"Avrei preferito che mi dicessi di tornare a casa domattina. Adoro questo divano ed ormai sono già le quattro. Sono maleducato?"
"Assolutamente no, anche io vorrei che restassi qui stanotte. Non starei tranquilla a lasciarti a vagare lí fuori."
"Sei un tipetto ansioso, eh?"
"Solo quando ci sono di mezzo delle notti così fredde e buie. Allora buonanotte, io vado di là. Il bagno è a destra se ti serve.
Hai bisogno di un pigiama di fortuna?"
"Mi accontento dei miei vestiti, tranquilla. A domani"
"A domani!"

"Ah... Signorina?"
"Sí?"
"Hai un ottimo profumo. Notte notte."

Emma sorrise e chiuse la porta.
Luci spente.
"Oh wow, ho davvero accolto Stan in casa mia?"
"Santo cielo, davvero questo posto è diventato così accogliente da quando Emma ha sorriso?"

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