Capitolo 8

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Durante la notte non mi svegliai come succedeva di solito. Può sembrare strano, ma io adoravo la notte, non so spiegare il perché, ma mi dava quella forza, quell’energia e quella determinazione, che il giorno non era capace di lasciarmi. Non lo so, forse aveva paura che li usassi in modo sbagliato, e forse, aveva anche ragione, ma il buio non si faceva problemi a farmi rischiare, proprio come piace a me.
C’era un’altra persona che ho scoperto che non si faceva dei problemi a dirmi ogni cosa sia bella che brutta in faccia, Mattia.
Mi diceva tutto. E infondo, penso, che forse sia stato proprio questo a far accadere quello che è successo, perché ci sono cose, che se tenute nascoste, ci fanno vivere meglio.
Sentii suonare la sveglia, che non avevo disattivato la sera prima, e che di conseguenza stava suonando alle 6:15 della mattina, l’orario verso cui mi alzo per andare a scuola.
Spensi la “sveglia dei sogni”, come la chiamavo io e andai in cucina per fare colazione; trovai mio padre che ha detto che voleva parlarmi di ieri sera, scoprii giorni dopo che era perché mi aveva visto che stavo baciando Mattia e voleva delle spiegazioni, ma mi rifiutai, perché sinceramente dei suoi avvertimenti non me ne fregava niente, alle sue lezioni di vita ero sempre assente, per il semplice motivo che, dal mio modo di vedere le cose, impari tutto con il tempo e l’esperienza, proprio come hanno fatto tutti. Perché se devo sbagliare preferisco farlo e capire bene tutto in modo da non rifarlo, non ascoltare una ramanzina e poi cadere in tentazione ogni volta che si ripresenta il problema.
Così, dopo che lo ebbi ignorato come solo gli adolescenti possono ignorare i genitori, tornai alla mia colazione, a base di pankackes e succo d’arancia, all’americana, come piaceva a me; io adoro gli Stati Uniti, sogno di andarci da quando sono piccolina, e so che realizzerò il mio sogno, come tutte le cose che sono determinata a portare a termine.
Solo una cosa non sono riuscita a completare, quella che reputavo la più importante, quel Noi che saremmo dovuti diventare.
Tanto per farvi sapere qualcosa in più su di me, io ho sempre odiato scrivere, eppure mi ritrovo qui, a pensare a tutti quei nostri momenti e a metterli per iscritto, con l’obbiettivo di non dimenticarli mai e di farlo emozionare e fargli capire quello che veramente provavo per lui e provo tutt’ora, perché a parole, nonostante ci avessi provato diverse volte, non sono mai riuscita a dirgli niente. Chissà se in questo di desiderio riuscirò a mettere un segno di spunta. Gli ricorderò di farmelo sapere …
Dopo questa breve parentesi, posso riprendere con il mio “rivivere ciò che merita”.
Dopo la colazione mi sono recata in salotto e mi sono spaparanzata sul mio bellissimo e comodissimo divano in pelle giallo, ho acceso la TV e mi sono sistemata per guardare un altro di quei programmi senza un senso che trasmette Real Time, ma che mi diverto a vedere.
Dopo circa un’ora che ero sdraiata sul divano, mi sono stufata di stare lì a fissare il vuoto, che secondo me  fa accumulare solo brutti pensieri, mi sono alzata malamente, quasi inciampando sul tappeto, e sono andata a cercare la mia fonte di comunicazione, indispensabile per la grigia vita quotidiana: il cellulare.
Era lì dove l’avevo lasciato, sulla scrivania di camera mia, l’ho preso in mano e ho acceso lo schermo, avevo una notifica da lui.
-Oggi usciamo?
-Si, certo, dove vuoi andare?
-Boh, io dalle quattro in poi sono in giù, te?
-Alle quattro mi trovi dalla fermata dai portici in Via Chiodo, a dopo.
-A dopo Bimba.
Erano circa le tre, e per arrivare in centro puntuale, avrei dovuto prendere l’autobus delle 3:45. Andai in bagno, mi preparai, mi truccai un po’ il viso, e alle tre e mezza ero pronta.
Per arrivare alla fermata impiegai dieci minuti, così aspettai i restanti cinque stando in piedi, perché ad attendere l’arrivo del  bus stavo sempre i piedi, con lo zaino e le solite cuffiette bianche, appoggiata alla pensilina verde. L’autobus, come normale ormai, passò in ritardo, salii e mi posizionai davanti alle porte nel mezzo, ad aspettare che arrivasse l’ora di scendere. Arrivata in Via Chiodo, feci un passo per scendere e mi sedetti su un muretto ad aspettarlo.
Dopo dieci minuti circa, vedendo che non arrivava nessuno, decisi di chiamarlo; ovviamente aveva il telefono spento, così partì la segreteria, nella quale decisi di non lasciare nessun messaggio. Restai seduta sul muretto, fino a quando per caso, vidi un gruppo di ragazzi che stava passeggiando per Via Chiodo, mi fissai su uno i particolare, uno con dei jeans, una felpa nera e un cappello. Capii subito chi fosse: Mattia, era inconfondibile, lo riconoscevo solo dal modo in cui camminava, non potevo sbagliarmi, così mi sono alzata, ho attraversato la strada, ovviamente buttandomi perché le strisce pedonali erano troppo lontane, ho cominciato a camminare nella loro direzione, mi sono fermata dietro di lui e l’ho abbracciato, lui si è girato e mi ha dato un bacio. Mi ha messo una mano sulle spalle, avvicinandomi più a se stesso, ha continuato a parlare per poco con i suoi amici, fu in quel momento che mi chiesi: - Chissà che occhi ha quando gli altri gli chiedono di me, o cosa pensa quando mi guarda …

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