Capitolo 9

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Il mio pensiero fu interrotto dalla visione dei suoi amici che se ne stavano andando, così notai che ne era rimasto uno dei tanti che c’erano prima, mi ricordai anche di chi fosse, Lorenzo, quello che mi era stato presentato alla festa. Lo salutai, lui niente, lo risalutai, lui continuava a guardare la strada; pochi secondi dopo si è girato, mi ha visto e ha esclamato:- E te da dove saresti comparsa?- rise, io indicai la strada e lui annuì. Salutai di nuovo Mattia, che mi diede un altro dei suoi splendidi baci e disse:- Ghio (il cognome di Lorenzo) ha freddo-, lo squadrai e effettivamente indossava solo una camicia leggera, -andiamo alle Terrazze- concluse, l’unico centro commerciale che era stato costruito nel nostro buco di città, che però, per un oscuro motivo amavo. Io annuì e chiesi:- Ma, per quale diavolo di ragione il primo di novembre ti sei messo solo una camicia, senza portarti nemmeno una giacca o una felpa?-, sorrise:- Perché sono stupido-. Scoppiammo tutti in una risata fragorosa e Mattia fece un commento personale:- Beh forse anche io, dato che siamo a novembre, prima o poi, dovrò decidermi di mettere qualcosa di più pesante e caldo di una felpa … -, io:- Mah … dici?-. scoppiammo tutti in un’altra risata. Ritornammo alla solita fermat con la pensilina verde e  aspettammo l’autobus che ci avrebbe portato al centro commerciale; arrivò con i quotidiani cinque minuti di ritardo, salimmo e Mattia mise le sue mani sui miei fianchi. Restammo così per tutto il breve viaggio. Giunti a destinazione, scendemmo dal mezzo pubblico e alla nostra sinistra si innalzava la grande struttura gialla a righe marroni che chiamavano: Le Terrazze. Camminammo un po’ per raggiungere l’entrata principale e entrammo passando attraverso le porte di vetro ad apertura automatica, vidi che i due ragazzi con cui ero presero una strada ben precisa, che conoscevo alla perfezione, quella per raggiungere gli unici negozi che loro consideravano lì dentro: Game Stop e Mediaworld, uno di videogiochi, e l’altro di elettronica in generale. Li seguii e raggiungemmo il primo, ovvero quello che vendeva videogiochi, rimanemmo per un po’ lì dentro, loro mi fecero delle domande a cui non sapevo rispondere, perché non avevo mai avuto minimo interesse per quelle cose,solo da piccola ero patita dei Pokemon, invece che delle Barbie, ma infondo più che giocare ad un DS non sapevo fare. Finito di passare in rassegna tutti i possibili giochi per la Play, passammo da Mediaworld, in cui si fermarono prima a giocare ad uno stupido giochino proiettato su uno schermo, e poi, dove bene o male mi interessava andare, nel reparto musica, io adoro la musica, non posso vivere senza; qui decisero di visionare tutti i tipi di Console per remixare la musica, alcune delle quali con delle lucine carine. Infine, dato che non avevano altro da vedere in altri negozi femminili, di cui loro si sarebbero sicuramente lamentati se avessi voluto vederli, uscimmo e restammo un po’ fuori, così che tutti e due potessero fumarsi una sigaretta.
Dopo che ebbero finito di fumare, era piuttosto tardi e buio, e così, decidemmo di andare a casa. Lorenzo abitava al canaletto, Mattia in un quartiere sopra il mio, io a montepertico, mi accompagnarono a casa, come due veri gentiluomini, e io ne fui veramente felice. Uscimmo dal cortile del centro commerciale, e dopo qualche bacio, ci incamminammo per giungere a casa mia. La strada non era breve, ma nemmeno infinita, ci si impiegava, a piedi, con passo normale circa venti minuti, era una strada piuttosto pericolosa, nella quale, per non farsi investire, bisognava camminare in fila per uno, e nella quale, per non farmi investire, avevo bisogno di Mattia, che mi tirava al bordo strada, perché io non riuscivo a camminare normalmente.
Arrivammo al pericolosissimo incrocio che odiavo, e optammo per camminare sul marciapiede, giusto perché non avevamo voglia di far finire la nostra vita a quattordici, sedici e quindici anni. Dopo l’incrocio, per raggiungere il luogo dove abitavo, bisognava scalare una lunghissima e faticosa salita, perché mia mamma non sapeva proprio dove andare a scegliere una dimora decente. Iniziammo a salire tutti i 113 scalini, che avevo contato da piccola e dei quali non avevo mai dimenticato il numero esatto. Arrivammo ad un punto, circa ai tre quarti del totale delle scale, i ragazzi dietro di me avevano il fiatone e decisi che si sarebbero fermati lì e avrei continuato da sola, senza farli soffrire ulteriormente. Mi fermai, gli comunicai la mia decisione, loro, un po’ frustrati accettarono, Samu mi baciò come faceva sempre, scatenando in me sempre la solita sensazione, quella che solo lui riesce a far uscire. Ci staccammo, lo salutai e mi diressi verso Lorenzo, gli diedi un bacio sulla guancia, sorrisi, perché so che a lui piaceva, mi girai e ripresi per la mia strada; notai un gatto, il gatto nero che ci aveva seguito per tutto il tragitto, e che pensavo seguisse lui, ma che stava seguendo me ora, sorrisi e lo accarezzai, poi arrivai al portone e l’animale continuò per la sua strada. Salii le scale, entrai in casa, salutai i miei monotoni genitori, che stranamente non stavano litigando, mi rinchiusi in camera mia come facevo spesso da qualche mese, dall’estate più o meno, e mi misi ad ascoltare la musica, le mie canzoni preferite, che ormai gli erano tutte dedicate. Cenai e poco dopo andai a dormire perché stavo morendo di sonno, chiusi gli occhi e mi si aprirono le porte di un fantastico mondo, che era l’unico che apprezzavo.

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