VII.

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And all the people say,
"You can't wake up,

this is not a dream,
You're part of a machine,

you are not a human being,
With your face all made up,

living on a screen,
Low on self esteem,

so you run on gasoline."
I think there's a flaw in my code

These voices won't leave me alone
Well my heart is gold

and my hands are cold.

(Halsey – Gasoline)

Moscow, Russia

55°45'06"N 37°37'04"E

Tuesday, 8th December 2015

7.56am

Natasha scese dal treno della metropolitana, facendosi strada tra la folla di pendolari. Era perfettamente consapevole del suo aspetto stropicciato, persino più del solito. Quella mattina non sarebbe bastato tutto il trucco che aveva con sé per nascondere le occhiaie... Non che nei mesi precedenti fosse servito a molto, in effetti. Era semplicemente stravolta, avrebbe pagato oro colato solo per una notte di sonno. Tutto le costava una fatica immensa, persino camminare o pensare. Si trascinò verso il primo bar che trovò sulla strada, sentendo l'impellente bisogno di una discreta dose di caffeina. Mentre aspettava al bancone, scorse la propria immagine in uno specchio dietro allo scaffale dei liquori. Non si ricordava l'ultima volta che era stata così disordinata nell'immagine. A parte le occhiaie ben evidenti sotto gli occhi, i suoi capelli erano un disastro. Spettinati e caotici, riusciva quasi a vedere i nodi nello specchio tanto erano grossi. Era più pallida del solito e i vestiti che indossava, per quanto puliti e profumati, avevano un'urgente bisogno di una stirata. Sembrava quasi una senzatetto. Se qualcuno l'avesse vista la sera prima al Bolshoi, elegante e ordinata, non avrebbe saputo riconoscerla ora. Mentre soffiava sulla tazzina, aspettando che la bevanda si raffreddasse, si guardò intorno. Nel bar c'erano diversi studenti che si apprestavano ad andare a scuola, lavoratori che si erano fermati per prendere, come lei, un caffè ai fini di svegliarsi e una coppia che stava discutendo animatamente su chi sarebbe dovuto andare a recuperare i figli a scuola quel giorno. Natasha osservava tutti, in silenzio, e per l'ennesima volta si chiese come sarebbe stato avere una vita normale. A lei era sempre stata negata, fin dall'infanzia... Si immaginò per un attimo come sarebbe stato se lei avesse avuto dei genitori, fosse andata a scuola, si fosse laureata e avesse trovato un lavoro, messo su famiglia. Non riusciva a pensare a un mondo in cui lei aveva problemi normali e quotidiani, le bollette da pagare, il mutuo, dei figli, degli amici. Aveva sentito un sacco di volte le persone lamentarsi per quelle questioni e lei avrebbe tanto voluto far capire a tutti loro quanto fossero fortunati. Avrebbe dato via qualsiasi cosa pur di non essere se stessa almeno per un giorno. Non Natalia Alianovna Romanova, non la Vedova Nera, nemmeno un'Avenger. Semplicemente Natasha Romanoff, una perfetta sconosciuta che viveva la sua vita anonima. Certo, senza la Stanza Rossa lei sarebbe invecchiata normalmente e a quel punto sarebbe ormai anziana. Chissà se sarebbe stata contenta della sua vita, se avrebbe avuto figli e nipoti che sarebbero andati a trovarla spesso, un marito con cui invecchiare e andare a fare passeggiate la domenica mattina, o chissà se sarebbe stata sola e piena di rimpianti, in una casa piccola e mal curata a urlare ai bambini che giocavano nel suo giardino. O magari non sarebbe mai arrivata a quell'età e sarebbe morta in guerra negli anni Quaranta. Scosse la testa. Doveva smettere di fantasticare su qualcosa che non avrebbe mai potuto avere. Lei era una Vedova Nera, non sarebbe mai riuscita a scrollare gli anni della Stanza Rossa via da sé. Il suo passato era indelebile, tutti le azioni che aveva compiuto. Una vita normale non era destinata a lei, non lo sarebbe mai stata. E in effetti, a pensarci bene, non era nemmeno così sicura di meritarsela. Finì di bere il suo caffè e lasciò una banconota di fianco alla tazzina. Si trascinò stancamente fuori dal bar. L'aria fredda del mattino la aiutò a svegliarsi del tutto. Le temperature erano scese ancora rispetto a una settimana prima, Mosca si stava preparando a un altro rigido inverno. Natasha si strinse nel suo cappotto e si avviò sulle strade ghiacciate in direzione del negozio di una sua vecchia conoscenza. Sperò vivamente che fosse ancora aperto dopo tutti quegli anni, o che lui non fosse stato arrestato per contrabbando e per attività illegale. Fu sollevata nello scorgere da lontano l'insegna sudicia e piena di fori che recitava a caratteri sbiaditi "антикварный магазин (negozio di antiquariato)". Si affrettò verso la porta. Era tutto come se lo ricordava: buio, con un odore di marcio piuttosto pungente, pieno di cianfrusaglie in legno divorate dai tarli. Con le labbra increspate a un piccolo sorriso si avvicinò al bancone, facendosi strada tra i mobili accatastati. Suonò il campanello e sentì un rumore di oggetti che cadevano proveniente dal retro, come se qualcuno si fosse svegliato di scatto e avesse fatto crollare una pila di oggetti in bilico. Sentì uno scalpicciare venirle incontro, e una voce stridula dire:

Black Widow: Forever RedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora