Capitolo 15

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Alle 7.15 in punto ecco che suona la tanto odiata sveglia, resa un po' più piacevole da "20 sigarette".
Dopo essermi convinta che dovevo alzarmi o facevo tardi, vado a lavarmi il viso, metto un filo di mascara e mi vesto.
Corro giù perché come al solito mi sono persa davanti allo specchio per analizzare ogni dettaglio del mio corpo che non va.
Appena mi siedo al mio banco, a scuola, mi ricordo del messaggio che avevo inviato il pomeriggio prima a marco, così prendo in mano il cellulare, ma sullo schermo nessun messaggio. Però per sfizio entro anche nella chat su Whatsapp e noto che il messaggio l'ha letto. Quelle due spunte blu mi hanno distrutto. Allora non vuole parlare con me?
Il mio umore cambia notevolmente.
Per 5 ore scarabocchio su un foglio strappato dal quaderno di italiano.
Appena suona la campanella del l'ultima ora mi infilo gli auricolari nelle orecchie, non avevo assolutamente voglia di ascoltare nessuno.
Parte "Natale senza regali", la canzone giusta, proprio per tirarmi sù, vero?
Dopo aver faticato ad uscire dalla scuola, data tutta la gente che si stava portando all'uscita, inizio a incamminarmi verso la fermata dell'autobus.
Ad un tratto, sento qualcuno che mi picchietta con un dito sulla spalla.
Scocciata, tolgo una cuffietta dall'orecchio destro e mi volto.
Davanti a me c'è marco con un sorriso a trentadue denti.
Era l'ultima persona che pensavo che fosse.
"Ciao!"
Mi saluta, vedendomi un po' sorpresa.
"C-ciao, non pensavo che..."
"Lo so, non ti ho risposto al messaggio e non ti ho neppure chiamato, ma volevo farti una sorpresa"
Mi interrompe.
Odio le persone che mi interrompono, aspettate che io finisca una frase, è difficile?
"Beh potevi avvisarmi."
Taglio breve.
"Ma io pensavo di farti piacere...in ogni modo sono qua, andiamo a mangiare fuori?"
"Non posso, ho un impegno."
Ma cosa mi sta prendendo? Non ne ho idea.
"Un impegno?"
"Sì un impegno. perché non posso avere impegni?"
"No no, fin per carità, solo che non pensavo che dopo scuola avessi da fare."
"Marco ora ti devo salutare che altrimenti perdo l'autobus, ciao."
Non lo guardo neanche in faccia e me ne vado.
Appena mi siedo sul l'autobus scoppio a piangere.
L'ho aspettato per giorni, perché ho reagito così?
Perché l'ho piantato lì come un cretino?
Perché gli ho detto che ho un impegno, se in realtà starò in casa tutto il giorno?
Perché sono così?
Sono un casino.
Una lunatica di merda.
Ecco quello che sono.
Appena entrata a casa, inizio a piangere ancora più forte e faccio un urlo liberatorio.
Non so nemmeno io cosa mi ha preso.
Sfinita poi mi addormento sul divano.
Dopo probabilmente qualche ora apro gli occhi.
Noto che sono le 16.00.
Ho una fame assurda, infatti non avevo pranzato.
Mi preparo un panino.
Quando passo davanti allo specchio per poco non prendo un colpo: ho un aspetto orribile. Ho gli occhi tutti rossi, con il mascara sbavato sul viso bianco cadaverico.
Prendo in mano il cellulare e decido di chiamare Marco, senza prepararmi un discorso ben preciso.
Appena marco risponde non gli lascio neanche il tempo di dire "pronto".
"Marco scusami per oggi non so cosa mi sia preso ho fatto una figura da cretina non so come ho fatto a piantarti lì così avrai pensato che di te non me ne importa nulla ma non è così te lo giuro..."
"Frena frena un attimo, mi hai detto 1000 cose in soli 10 secondi."
Lo sento ridere.
Come fa a non essere arrabbiato?
"È che non mi aspettavamo proprio che tu venissi oggi...dopo aver visto che avevi letto il mio messaggio ma non mi avevi risposto ho pensato al peggio e diciamo che mi è dispiaciuto tanto."
"Non avrei mai immaginato che c'avresti dato così peso, infondo ti sarei venuto a prendere."
"Lo so, è tutta colpa mia infatti."
"Usciamo stasera?"
"Non so se mio padre mi faccia uscire, domani ho scuola."
"Mh ho capito."
Sento dal tono di voce c'è rimasto un po' male.
Aspetto un attimo prima di parlare di nuovo.
"Senti, chissene frega di mio padre, ho troppa voglia di vederti, a che ora usciamo?"
"Sicura? Passo io per le 20.00?"
"Perfetto a dopo."
Mi sento la ragazza più felice del mondo.
Ci riesce solo lui a farmi sentire così.
Mi lavo i capelli, me li stiro per bene con la piastra, mi trucco anche se non troppo pesantemente e mi vesto con un paio di jeans neri strappati sul ginocchio e una maglietta bianca abbastanza semplice con un golf sempre nero sopra; in fin dei conti è lunedì sera.
Alle 19.00 rientra Laura ma senza mio padre.
"Ehi ciao, dove vai?"
Mi chiede lei.
"Esco con una mia amica."
Ovviamente non posso dire la verità.
"Va bene, lo dico io a tuo padre, noi usciamo a cena, non fare tardi."
"Va bene, ciao."
Rispondo, sbuffando.
Lei esce subito di nuovo.
Ha preso solo il cellulare, che probabilmente aveva dimenticato questa mattina.
Alle 19.50 suona il citofono.
È marco.
"Arrivo subito!"
Dico, quasi urlando.
Prendo la borsa al volo e mi precipito giù dalle scale.
Appena apro il portone me lo trovo davanti, sempre così dannatamente perfetto.
Ha un paio di jeans neri anche lui con una camicia bianca e una giacca.
Non lo saluto nemmeno, lo abbraccio subito forte.
"Ehi, allora tutto bene?"
Mi domanda lui.
"Si si, tu?"
Gli chiedo sorridendo.
"Benissimo...andiamo?"
"Certo, dove mi porti?"
"In un ristorante poco lontano da qua, possiamo andare a piedi."
"Perfetto."
Iniziamo a camminare uno di fianco all'altra, io mi diverto a camminare sul ciglio del marciapiede.
"Ho finito l'album finalmente."
Mi informa.
"Oddio, sul serio?"
"Si, non mi sembra vero. A breve nuovo singolo."
"Che bello, che bello."
Noto che è molto sereno, forse perché adesso, dato che ha finito l'album, ha un po' meno pensieri.
Rimaniamo in silenzio fino a quando raggiungiamo il ristorante.
Entriamo.
Stiamo per chiedere ai camerieri dove possiamo accomodarci quando vedo mio padre e Laura seduti a un tavolo.
Senza dire nulla prendo marco per un braccio e lo trascino fuori.
"Marco non possiamo stare qua."
"Perché?"
"C'è mio padre."
"E allora!?"
Mi domanda un po' innervosito.
"Gli ho detto che sarei uscita con un'amica, non volevo casini."
"Che palle però!"
Si volta e inizia a camminare a passo veloce.
Io lo rincorro.
"Marco, possiamo andare anche da altre parti!"
"Sì ma ci sono sempre dei casini."
Sbuffa.
Lo riesco a fermare per un braccio.
"Fermati insomma! Guarda andiamo lì?"
Dico indicandogli un posto dove probabilmente fanno il kebab.
"Ma seria?"
Mi chiede con gli occhi spalancati.
"Ma dai, cosa te ne frega! Preferisci andare a casa, scusa?"
Non risponde.
"Andiamo sù, fidati."
Ci siamo presi due belle piadine con il kebab.
Andiamo a mangiarle su una panchina, nel parco in cui c'eravamo conosciuti.
È tutto bellissimo.

Come promesso nuovo capitolo!
Il prossimo sarà prestissimo!
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