Buio. Era l'umica cosa che riusciva a vedere, l'unica cosa che riusciva a percepire. L'unica cosa che riusciva a ricordare.
Morto. Era morto. Chiaro, palese. La sua esistenza si era conclusa. Buio.
I morti non si accorgono di morire. Se lui pensava di essere morto allora voleva dire che non era morto davvero. Era vivo.
Ma lui che ne poteva sapere di come si sta da morti? E se i morti invece fossero in grado di filosofare sulla loro esistenza? Lui non era mai morto. Fino ad ora.
Poi fu il dolore. Era vivo, senza dubbio. La vita è dolore.
Buio.
Camminava lungo un sentiero di montagna, in mezzo alle montagne più belle della Terra. Era una giornata bellissima. Il sole illuminava il paesaggio mozzafiato che lo circondava, il vento leggero lo rinfrescava. Si trovava su una cresta, dopo una forcella decisamente impegnativa. Impegnativa, ma non faticosa. Non sentiva la fatica in montagna. Era troppo preso dalla bellezza circostante per accorgersi di essere stanco. Lo affascinava ogni cosa di quelle montagne, la loro storia, la loro forma, i loro abitanti, i loro impervi sentieri, tutto. Arrivato in cima alla forcella uno sguardo indietro, ad abbracciare l'immensità che si era lasciato alle spalle ma che portava nel cuore. Uno sguardo davanti, a scrutare la meraviglia che lo aspettava, un sorso d'acqua e poi era ripartito. Felice, come sempre in mezzo alle montagne. Poi un turbinio di colori. E buio. Buio.
Si trovava sempre su quella cresta,accarezzato dal vento e dal sole, ad ammirare la bellezza e la complessità di quello che aveva davanti. Le forme che disegnavano quei crinali impervi, le vallate che nascondevano al loro interno,accessibili solo a chi si fosse avventurato a piedi nei loro meandri.Già i piedi. Il mezzo migliore per muoversi all'interno delle montagne. L'unico che le rispettasse pienamente. Non è la montagna a doversi adattare alle esigenze dell'uomo, è l'uomo a doversi adattare alle esigenze della montagna. Altrimenti questa non perdona.Poi un turbinio, il solito turbinio. E la sensazione di muoversi velocemente verso il basso. Poi il buio. Buio.
Buio. Poi la luce. E una sagoma scura davanti a lui. Vestita di bianco. Un angelo. Curioso, pensò, non ci ho mai creduto agli angeli e adesso che sono morto me li vedo comparire davanti. Poi però si ricordò che aveva provato dolore,dunque era vivo. Che si fosse sempre sbagliato circa l'esistenza di quei messaggeri divini? Che si fosse sempre sbagliato riguardo Dio? Ma, un attimo, dov'era il dolore? Non c'era più. Forse era morto davvero allora.
Poi si ritrovò di nuovo su quelle montagne. Cadde quasi subito, senza nemmeno ammirare per un attimo la bellezza dei monti. Già, cadde. Era così che era morto allora. Il solito turbinio, la spinta verso il basso. Una caduta magistrale.Questa volta il buio si fece attendere. Prima rivide l'angelo, era venuto a giustiziarlo.
Ancora l'angelo, questa volta accompagnato. Ma non erano angeli che lo accompagnavano. Eppure, lo sfondo bianco era proprio uno sfondo celestiale. Che ci faceva un angelo in compagnia di esseri qualunque? Poi gli parlarono. Le loro voci arrivavano da lontano. Non le distingueva. Forse una piangeva.Poi le montagne, il turbinio. Era morto di nuovo.
Questa volta non c'era nessun angelo.Solo quelli di prima. Parlavano, ma lui non li sentiva. Li vedeva meglio però. Gli ricordavano qualcosa, o forse, meglio, qualcuno.Una era una donna, così le chiamava in vita quelle creature. Belle al pari delle montagne, ma molto più misteriose e impervie. Era molto più facile salire una montagna che passare del tempo con una donna. Però com'era bello il tempo passato con loro. Poi capì.Quella non era una donna qualunque. Era la sua donna. Che vegliava sudi lui. Come gli sembrava lontano il tempo passato con lei. Lontano.Ma certo, era morto. E gli altri due? Uomini, come lui. Anche loro avevano un sentore familiare. Forse uno lo chiamava fratello in vita,forse l'altro amico. Ma erano parole che nel mondo dei morti suonano vuote e senza vita. Come i ricordi. Il vento che accarezza la faccia,una montagna, bellissima. I colori, prima nitidi, si confondono.Buio.
Non capiva se era morto. Perché continuava a transitare nel regno dei vivi? Perché continuava a stare lì? Era morto, questo lo sapeva. Ma perché continuava a pensare? Che la morte fosse una sequenza di pensieri ininterrotta?Che la morte fosse solo una nuova permanenza nel mondo dei vivi?Allora forse era vivo. Ma se era vivo perché non sentiva più dolore? Eppure prima di morire la seconda, o la terza non ricordava,volta l'aveva sentito chiaro e nitido. Il turbinio. Buio.
C'erano due angeli. E i soliti vivi.Parlavano. Un angelo aveva qualcosa in mano. Sembrava una cartella clinica. Come quelle che usava lui. Aveva lavorato in ospedale prima di morire. Ora ricordava. Era un medico. Quindi quei due non erano medici ma angeli. O forse era un angelo anche lui? Ma gli angeli non muoiono. Lui era morto. Caduto. I colori. Il terreno che sparisce.Buio.
Poi capì. Non era morto. Si era solo fatto molto male cadendo. Talmente tanto male che ora non sentiva più dolore. Non poteva sentire. Né parlare. Né muoversi. Poteva solo vedere e pensare. E riviveva continuamente la sua morte. Ma non era la sua morte quella, aveva appena decretato di non essere morto.Eppure... Eppure ora non poteva fare più niente. Non poteva fare più quello per cui era nato. Salire le montagne, assaporarne i colori e la bellezza. Stupirsi di queste. Poteva solamente stare lì, sdraiato a filosofare. Era una specie di ameba. Ma se non era nato per fare l'ameba, allora il suo comportarsi da ameba non aveva senso. Anche il continuare ad interrogarsi se fosse vivo o morto non aveva senso. Non poteva andare sui monti perché lì era morto. Non sapeva in realtà se fosse morto. Ma quando inizi a pensare una cosa allora ci diventi.
Dunque era morto.
Le montagne.
Il turbinio.
I colori.
Buio. No, un angelo. Anzi un medico.No.
Buio.
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Racconti
Short StoryRacconti. Brevi flash tratti dal mondo che mi circonda e dalle suggestioni che la vita di tutti i giorni può dare.