No more heroes

209 19 7
                                    


«Steve...»
Il suo nome era risalito per la gola con la fatica di un masso spinto su per una montagna ed era crollato oltre le labbra in un suono basso, fatto di lettere frantumate a terra e di un cuore schiacciato.
Occhi azzurro ghiaccio lo guardarono e sulle labbra sottili del {non più} Capitano nessun sorriso, solo fredda consapevolezza:

«Steve è morto.»
E un colpo al cuore di Bucky, sparato a sangue freddo.

Quando il buio si diradò dalla mente di Bucky, lasciò una nuvola di confusione sparata insieme all'anestetico con cui era stato addormentato.Monitor in bianco e nero, di una bellezza futuristica che avrebbe fatto innamorare Stark – e che forse da lui erano stati progettati –, riempivano un'intera parete della stanza, lasciando il resto dello spazio ai server che ronzavano rumorosi per far funzionare i computer.Fu difficile mettere a fuoco le immagini. Bucky iniziò con il distinguere i colori: il rosso, che sembrava ovunque e si diramava in tentacoli, in un simbolo che aveva già visto e odiato.

Strizzò gli occhi e reclinò il capo, sentendo il tintinnare delle manette allacciate ai suoi polsi, ancor prima di tentare di tirare le braccia verso l'alto e scoprirsi ammanettato ad una sedia. Tirò le braccia con più forza, in un utile tentativo di liberarsi, finché oltre ai colori, la vista non iniziò a distinguere anche le forme.
Un cerchio.
Uno scudo.
E su di esso, il teschio rosso allargava nuovi tentacoli.
Il ricordo di quanto accaduto poche ore fa – o era passato di più? – lo colpì come un pugno nello stomaco, ma fu il colore dorato di capelli corti e ordinati a togliergli il fiato.
Nella divisa nera dell'Hydra, Steve Rogers avanzò con passo marziale verso la seggiola di Bucky. Lo guardò con la freddezza di un muro di pietra, superandolo, e afferrò lo schienale di metallo per trascinarlo di peso verso i monitor.
«Credevo fossi morto...» azzardò Bucky.
Nessuna risposta.
«Steve? Steve, sono io, Bucky.»
Le dita lunghe di Steve si mossero sulla tastiera, ignorandolo. Digitò codici, password di ID che Bucky aveva già sentito. Sul monitor comparvero volti e nomi e, quando vide quello di Peggy Carter coperto dalla scritta "Terminated", ebbe un tremito.
«Che cosa sta succedendo, Steve? Che stai facendo? E perché diavolo indossi quella divisa?» urlò, gettandosi in avanti con il corpo e tutto il proprio peso, sentendo le manette graffiargli i polsi, senza tuttavia lasciarli liberi «Maledizione, Steve! Svegliati! Dimmi è una recita per loro... che–»
La mano guantata di Steve premette contro la sua bocca, obbligandolo a tacere. Ogni suo movimento era meccanico e preciso, privo di qualsiasi emozione.
Digitò altri comandi, portando alla luce la struttura dello S.H.I.E.L.D., con i suoi segreti, i suoi agenti e i suoi codici di autodistruzione.
No, fermati! Bucky urlò contro il palmo di Steve. L'indice dell'uomo premette l'invio. Sarebbero stati i due primi spettatori di una delle stragi peggiori di cui la Storia avrebbe parlato, avrebbero guardato in prima linea la distruzione del mondo libero.
Quando Steve allontanò la mano dalla sua bocca, Bucky fissava i monitor nell'attesa di risvegliarsi da quell'incubo, di tornare indietro sino al momento in cui Steve era caduto da un treno in corsa o ancora prima, quando erano solo ragazzini e non sapevano cosa significasse la guerra. Ma sul volto dell'uomo non riuscì a trovare nulla di quello che un tempo era il suo migliore amico.
Steve raddrizzò la schiena, i muscoli tesi sotto la divisa guizzarono, mentre raggiungeva le spalle di Bucky e su di lui si chinava. Poggiò la guancia contro la sua nuca, solleticata dalle piccole onde dei suoi capelli ed inspirò forte, sentendo l'odore di brillantina e quello inconfondibile di Bucky.
E se c'era stata una, un'unica cosa a cui Captain America, l'eroe caduto, si era aggrappato in tutti quegli anni di prigionia, era stato lui. Finché non aveva capito che sarebbero riusciti a portargli via anche quello.
A meno che.
Le mani scivolarono sul corpo di Bucky in carezze pesanti che percorsero il suo petto, sino a circondargli la vita in un abbraccio stretto e possessivo. Gli sfiorò il collo con le labbra, l'orecchio con i denti e, quando sentì il tremito del suo corpo, il proprio sussurro si riverso nei suoi timpani:
«Hail Hydra.»

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