Davanti a noi c'è un enorme capanno.
Più che di un capanno si tratta di un vero e proprio edificio in disuso.
Sembra che Jess non noti tutti i cartelli di divieto d'accesso che si parano all'entrata, anzi, dalla sua reazione sembra che questi siano degli inviti ad entrare, che lui segue senza indugio.
"Lo sai che qua non si può entrare?" gli chiedo un po' allarmata.
"Non quando sei tu a mettere i cartelli di divieto d'accesso" risponde con tono rilassato.
"Li hai messi davvero tu?" chiedo con stupore.
"No, era solo una constatazione" dice e si mette a ridacchiare.
"Molto simpatico, ma non dovremmo essere qua" concludo scocciata.
"Ehi, ti fidi di me?"
La sua voce è leggera e dolce, mi fa sciogliere con la sua tenera espressione.
"Dovrei?"
"Non te ne pentirai" dice sorridendo e intreccia le sue dita con le mie.Arriviamo nella sala centrale dell'edificio, dove si erge una ripida e irregolare scala che porta al piano superiore. Da fuori non sembrava così grande!
Finiamo in una specie di soppalco che si affaccia sulla sala dove ci trovavamo prima.
Qua l'atmosfera è cambiata, è tutto arredato, e capisco che non è la prima volta che Jess viene qui.
"È un po' una casa per me" dice a bassa voce, come se mi avesse letto nel pensiero.
"Ma, tu con chi vivi, da quando..beh.." le parole faticano ad uscire dalla mia bocca.
"Ho vissuto per tre anni con mio nonno paterno, ma lui mi maltrattava, quindi quando ho compiuto 15 anni sono scappato e sono arrivato qua" racconta " mi ricordo che sono arrivato ad agosto e la scuola mi ha accolto nei dormitori nonostante mancasse un mese all'inizio dell'anno. A settembre ho iniziato il liceo qua e a fine novembre sei arrivata tu." continua "Ora che ho quasi 19 anni posso vivere da solo, e me la cavo lavorando par time in un locale ad Hartford." conclude soddisfatto.
Non pensavo che Jess avesse avuto una vita così complicata. Sembra sempre così felice e spensierato.
"Oh non guardarmi come se fossi un cane bastonato. La mia vita è più che perfetta così com'è." dice sorridendo "vieni con me."
Ci sediamo sul muretto che divide il soppalco dal vuoto totale e Jess estrae da un grande scatolone una chitarra folk, iniziando ad improvvisare un arpeggio.
"Mio padre mi stava insegnando a suonare, prima che partisse" dico.
"Che cosa fa là?" la sua voce è dolce è interessata.
"Tecnicamente si dovrebbe occupare solo di ispezioni, ma a volte è costretto ad intervenire più aggressivamente."
Sto parlando con un filo di voce. Non mi piace pensare a mio padre in guerra. Lui è un uomo forte, ma in guerra gli uomini sono tutti uguali.
"Ti manca?" la sua voce ha cambiato notevolmente tono.
"Sì, manca a tutta la famiglia" gli rispondo, e sento le lacrime accumularsi, ma le spingo indietro. Non posso mettermi a piangere davanti a Jess Colman.
"A volte, penso a come sarebbe stato se non fosse stato il mio compleanno" dice con voce neutrale.
"Cosa intendi?"
"Era il mio undicesimo compleanno. I miei genitori volevano farmi una festa a sorpresa e stavano tornando velocemente a casa in motorino, in modo di arrivare prima che io rientrassi da scuola. Erano andati a comprare le ultime cose per la festa, sai, cappellini, candeline... quando in galleria un pazzo andava ad alta velocità nella corsia sbagliata e si sono schiantati." Sento l'amarezza nelle sue parole e capisco che non aveva mai detto una cosa del genere a nessuno. A questo punto sale dentro di me un istinto sconosciuto, una necessità di fargli del bene, e così...Lo bacio.
Sento il mio volto andare a fuoco ma non mi tiro indietro. Il bacio continua, delicato, come se non volesse farmi del male. Jess interrompe il bacio giusto il tempo di scendere dal muretto e mettersi davanti a me, che sono ancora seduta, e farsi spazio tra le mie gambe, che intreccio dietro alla sua schiena.
"Buon compleanno Meg" mi sussurra a pochi centimetri dalle labbra.
Quando il bacio si conclude sento il suo sorriso poco distante dalle mie labbra, e ci sediamo per terra, con la schiena appoggiata al muretto.
Saranno le emozioni del momento, ma la mia testa inizia a girare, così mi appoggio alla sua spalla. Restiamo lì, in silenzio, per quasi un'ora e alla fine ci addormentiamo.Quando mi sveglio mi rendo conto che la luminosità si è abbassata in modo notevole.
18:43
Oh no. Dobbiamo muoverci. Devo essere a casa prima delle 19:00.
Mi volto verso Jess e lo sveglio, e in men che non si dica siamo già per strada, con la macchina ad alta velocità. Arriviamo davanti a casa mia in poco tempo e io volo fuori dalla macchina salutandolo appena e senza neanche riuscire a vederlo in faccia.Capisco che mamma è già a casa perché sento l'odore di torta lungo tutte le scale del palazzo.
Mia madre ha una piccola pasticceria nel centro di Middletown, e per portarsi avanti sul lavoro sforna dolci anche quando arriva a casa.
La pasticceria è la sua passione perché ha conosciuto papà come suo cliente. Il giorno in cui si sono conosciuti mia madre non lavorava ancora, ma i miei nonni avevano una pasticceria a Civitavecchia, in Italia, e lei spesso stava in negozio ad aiutarli. Un giorno dovette servire un ragazzo poco più grande di lei, che le chiedeva cose improponibili, trattenendosi tutta la giornata in pasticceria: mio padre. La loro storia mi è sempre piaciuta e spesso mia madre ancora oggi prepara la torta margherita, la torta che scelse mio padre e dalla quale ho preso il nome."Tesoro" dice mia madre quando entro in casa "assaggia questo biscotto e dimmi che ingrediente nuovo c'è" e mi rifila un biscotto ancora caldo.
Lo addento e subito nella mia bocca c'è un esplosione di sapori.
"Arancia e zenzero, mamma" rispondo "ma non esagerare con lo zenzero perché diventerebbe troppo forte" le dico sgranocchiando il dolcetto.
"Okay, ma ora vai a tavola che tra poco ceniamo" risponde dolcemente.Vado in sala da pranzo dove posso ammirare la terza guerra mondiale nel culmine della sua avvenuta.
Mia sorella di quindici anni, Sofia, lancia una mollica di pane a mio fratello di ventun anni, Federico, che la prende al volo con la bocca, rovesciando la brocca d'acqua addosso alla mia sorellina di tre anni e mezzo, Alice, che di mette a strillare divertita. Appena mi vedono Alice corre verso di me trascinando un orsacchiotto bianco e mi dice "Auguri Tita!" porgendomelo, anche se probabilmente se lo riprenderà dopo cena.
Alice deve ancora imparare bene come pronunciare i nomi e per ora in famiglia siamo: Tita, Chicco, Fia, Maman e lei è Cice. Papà non ha un soprannome ben preciso perché quando è partito per l'Iraq mamma era ancora incinta, ma quando si parla di lui lo chiama 'Pa'.
La cena si svolge tranquillamente e, come volevasi dimostrare, mamma ha fatto la torta margherita per il mio compleanno."Io e Alice andiamo a dormire" dico, vedendo che la mia sorellina si sta appisolando, mentre gli altri guardano un film. "
"Notte" dicono tutti.
Provo a prendere in braccio Alice ma lei si lamenta "CICE SOLA", dopodiché si mette in piedi e si trascina a letto.
Io vado in camera mia, mi stendo finalmente a letto e prendo il telefono per metterlo in carica, notando una notifica:
> Domani dobbiamo parlare :) -J.
Dopo aver letto questo messaggio mi accoccolo tra le coperte e crollo in un sonno profondo nonostante il mio cuore che batte all'impazzata e la mia routine giornaliera stravolta.N/A:
Questa volta mi sono dilungata un po' ahahah
Che ne pensate? 💘
Love You all
Leti 🌸

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Routine.
Roman d'amour"Era un normale giorno ordinario, di una settimana ordinaria della mia vita ordinaria." Margherita è una ragazza particolare da quando la sua famiglia si è trasferita in Connecticut dai cugini e il padre è partito per l'Iraq. La ragazza, amante del...