Quindici minuti

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Più le visite andavano avanti, più Harleen sembrava coinvolta da questo suo nuovo caso. Più le visite andavano avanti più lui sentiva di potersi fidare di lei, di poterle confidare segreti che nessuno conosceva, ma stranamente era lui che voleva sapere di più su di lei, le chiedeva delle sue giornate, della sua vita, della sua famiglia e lei rispondeva a tutto. Era come un libro aperto che aveva cominciato a vomitare segreti su segreti e non riusciva a smettere. Le piaceva da impazzire il modo in cui lui le sorrideva, il modo in cui i suoi occhi diventavano magnetici e lei veniva risucchiata al loro interno. Joker voleva sapere ogni cosa su di lei, conoscere tutti i suoi segreti e condividerli, ma era lei la psichiatra. Nonostante tutto, non era difficile parlare con lei.

Dopo un tre settimane, un giorno venne di nuovo fargli visita. L'Arkham era immerso nell'oscurità più totale, le nuvole grigie nel cielo minacciavano un temporale immediato e lei venne inghiottita dalla notte mentre si avvicinava all'entrata. Come sempre vide le due guardie di fronte al suo ufficio, che la lasciarono passare subito e quando entrò, vederlo seduto sulla sedia, le braccia legate e lo sguardo felice quando entrò, le scaldò il cuore.

Si sedette sulla sedia di fronte a lui, che sussurrò-Dottoressa Quinzel-la sua voce era seducente e la attraeva talmente tanto, che non si voleva più trattenere-io vivo per questi momenti insieme a lei-

Harleen arrossì violentemente e tirò fuori dal suo camice un gattino di peluche-Che mi ha portato?-chiese curioso.

-Un peluche, un gattino-sorrise e lo passò dall'altra parte del tavolo. Lui sorrise e i suoi occhi si addolcirono-Che bel pensiero-

Si ricordò di una volta in cui le aveva detto che gli piacevano i gattini, che da piccolo si ricordava di vederne sempre uno fuori casa, dal pelo marroncino ma non l'aveva mai preso. Sua madre non voleva.

-Lei mi capisce dottoressa Quinn, adoro parlare con lei sa? Adoro stare con lei-mormorò, allungando sempre di più il collo. Era sempre più vicino a lei, e lei...se lui si avvicinava lei si avvicinava, se lui la guardava intensamente lei cercava di fare lo stesso-Non è Quinn...-

-Lo so, ma mi piace-

Lei era una professionista, era una psichiatra che si era trovata tra le mani un centinaio di casi peggio di lui, persone che sembravano così folli che nemmeno Dio poteva aiutarli, ma lei lo fece. Capiva le persone, leggeva le loro anime e le aggiustava, eppure qualsiasi cosa dicesse lui, qualsiasi cosa facesse, la sua anima era scombussolata, piena di rabbia, tristezza e follia, eppure non voleva aggiustarla. Non voleva aiutarlo, perché non c'era niente che potesse fare, lei si stava innamorando di lui. Era così vicino che poteva vedere l'attrazione che provava, che provavano entrambi.

-Ehm...dovremo continuare...signor J-la sua voce era così bassa che anche il battito del suo cuore poteva sembrare più rumoroso.

-Lo stiamo facendo-disse lui, che sembrava quasi legato come un filo, dal suo sguardo così intenso-Si...-e alla fine la vicinanza era così tale da finire in un bacio. Un leggero bacio, che però sarebbe potuto diventare molto più intenso e spinto. Ma lui era legato.

Si allontanò subito e fece un bel respiro, mentre cercava di togliersi il rosso dalle labbra-Mi scusi, signor J, io...-

-Non si deve scusare, non si scusi per ciò che volevamo entrambi...vorrei che facesse qualcosa per me-

Harleen scosse la testa e riproiettò l'attenzione sull'incontro e non sulle sue labbra inspiegabilmente dolci-Tutto quello che...o meglio si certo-

-Voglio un mitragliatore-affermò. Harleen rimase un poco smarrita e intontita da quella richiesta, una richiesta abbastanza strana, ma non per lui.

-Un mitragliatore?-ripetè. Joker sorrise, strinse gli occhi e cominciò a far volteggiare la testa. Cavolo, era ossessionata da quelle smorfie, da quei movimenti e quei suoi sguardi. Era così ossessionata che lo fece, riuscì a rubare un mitragliatore alle guardie e anche uno dei telefoni. Nel giro di qualche ora si scatenò l'inferno più totale. Spari ovunque, mentre lui veniva liberato dai suoi compagni, strani individui con strani costumi, come uno da panda. Harleen stava seduta sulla stessa sedia, coprendosi la testa con le mani e poi scivolò sotto il tavolino. Sentiva i nervi a fior di pelle, ogni centimetro del suo corpo tremava dalla paura, ma allo stesso tempo sperò che non succedesse niente e lui. Quando gli spari si zittirono, sentì dei passi verso di lei e della mani tatuate che la tiravano fuori da sotto il tavolino. Un uomo in giacca e cravatta la fece scivolare su una barella in un'altra stanza, c'era una strana macchina. Harleen si dimenò con calci e pugni, cercando di liberarsi delle loro mani-Lasciatemi!-

Le bloccarono mani e piedi, con delle cinture e si allontanarono dalla barella. Il Joker si avvicinò-Uh, che cosa abbiamo qui? Dottoressa Quinzel, che belli averla con noi qui stasera...ha un aspetto così succulento, non in senso letterale, si intende. Sono rigorosamente vegano. Almeno per oggi-era a torso nudo, la sua pelle bianca era piena di tatuaggi bellissimi, che però non sembravano avere alcun senso.

Le puntò una lampada sul viso, che quasi la accecò-Che cosa vuole fare, uccidermi signor J?-chiese lei. Era così maledettamente stregata dal suo volto, non sapeva se il cuore le batteva così forte per la situazione o per la vicinanza del Joker.

Lui rise mentre faceva dei profondi respiri naso bocca. Prese due cilindri attaccati con dei fili alla macchina accanto alla barella, e li posizionò all'altezza delle tempie di lei-Oh no, non ti ucciderò-sibilò velocemente, mentre faceva muovere lentamente i due cilindri-voglio solo farti male, molto, molto male-

-Ne è convinto? Io so resistere-

Joker sorrise e poggiò i cilindri sulle tempie della ragazza, che non appena venne a contatto con l'elettricità di quei cosi non sentì la sua testa andare a fuoco, voleva gridare ma tra i suoi denti c'era una cintura. Sentiva ogni muscolo del suo corpo contrarsi, sapeva però che se si fosse rilassata sarebbe morta. Lei sapeva resistere, non poteva lasciarsi andare in quel modo. Continuò a sopportare quel dolore atroce, mentre nella sua testa venivano proiettate immagini a raffica del Joker, dei suoi meravigliosi occhi verdi-azzurri e del suo sorriso ferrato. La sua condanna. L'elettroshok si faceva sempre più forte, ma più andava avanti più lei cominciava a non sentire dolore, anzi nel dolore trovava piacere. Un dolore così bello che quando smise lei confusa e eccitata sussurrò-Ancora, dolore...piacere-lo ripeteva talmente tante volte che alla fine pregò che lo facesse. Lui la accontentava e questo non faceva altro che migliorare tutto.

She needs a Gangsta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora