Aprii gli occhi e mi accorsi che ero in lacrime, lacrime per non so che cosa.
La testa mi girava e non capivo bene dove mi trovassi, quando piano piano iniziai a realizzare.
Ero nel mio letto, avevo appena fatto un brutto sogno.
"Non vali nulla!"
"Chi sei tu? Sei solo una delle tante ragazzine che mi corre dietro"
"Non sei niente per me" mi diceva il ragazzo dagli occhi di ghiaccio nel sogno.
Le ultime parole mi colpirono particolarmente rimbombando nella mia testa lasciando un vuoto dentro di me che mi fece venire voglia di urlare.
Eravamo in quello stesso punto in cui mi aveva raccontato di quanto potevano essere insensibili i suoi genitori.
Forse quel sogno era un mezzo per farmi capire che mi aveva usato per tutto questo tempo? Non avrei avuto altre spiegazioni, soprattutto per il modo in cui si era comportato la sera prima.
Non trovai la forza di alzarmi e sperando che fosse mattino vidi l'orario e appena constatai che erano le tre di notte mugugnai qualcosa e riappoggiai la testa sul cuscino che, nel frattempo era diventato bagnato a causa delle lacrime.
Ma la cosa che proprio non capivo era come potesse una persona avere tanta influenza su di me.
E no, non mi piaceva se è quello che state pensando o almeno così credevo io.
Come poteva piacermi una persona che non mi rivelava neanche il suo nome? Che mi raccontava un importante pezzo della sua vita e poi mi ignorava? Pensai.
Cercai di riaddormentarmi, girandomi e rigirandomi più volte nel letto inutilmente e alla fine decisi di ascoltare un po' di musica.
Ascoltai Little do you know di Alex e Sierra.
Ascoltare musica mi rilassava, mi faceva scordare per un secondo dei miei problemi.
Così, mi addormentai accucciata con il mio iPod a Freddy, il mio cucciolo di peluche, il quale era un regalo di Natale di quando ero piccola e per qualche strano motivo non riuscii mai a separarmene.
La mattina seguente mi svegliai di malumore.
Sentii il telefono vibrare, era Sophie.
<<Vediamoci al bar sotto casa tua per fare colazione tra mezz'ora, scommetto che stai ancora dormendo, ti aspetto.
All The love. -Soph>>
Neanche risposi che già stavo giù.
Mi misi una maglietta bianca e sopra una giacca jeans, le converse bianche e dei pantaloni neri.
Ovviamente porto sempre con me la mia collanina con la lettera "J", regalata da mia madre alla festa per i miei cinque anni.
Da allora non me la sono più tolta.
Uscii di casa e andai verso Sophie che camminava avanti e indietro guardando il cellulare.
Le diedi una piccola pacca sulla spalla e quasi sossultò dallo spavento.
Scoppiai a ridere.
<<Sei in ritardo signorina e non mi hai neanche risposto!>>
<<Scusami mamma!>> alzai le braccia al cielo come segno di arresa.
Scoppiammo entrambe a ridere.
Entrammo nel bar, lei prese un cornetto alla crema e una lattina di thè al limone mentre io presi una ciambella e una tazza di latte caldo.
Ci sedemmo sugli sgabelli e parlammo del più e del meno.
<<Okay Jay, ora parliamo di quello che è successo ieri con lui>>
<<Non c'è niente da dire. Lui è il cacciatore e io la sua preda. Non gliene importa nulla di me, mi ha solo usato per non so che cosa, forse si diverte ma non ho tanta voglia di parlarne>>
Mise il broncio pulendomi con il tovagliolino la parte di zucchero rimasta vicino alla mia guancia.
Sono così: ogni volta che mangio un dolce, mi sporco tutta.
<<Si ma comunque ti ha lasciato libera cioè, non ti ha uccisa>> disse con la bocca piena continuando a masticare.
Feci una faccia stranita ridendo leggermente.
<<Che c'è! Hai iniziato tu parlando del cacciatore!>> mi scimmiottò bevendo l'ultimo sorso di thè.
Scoppiai a ridere.
Dopo aver chiesto il conto, pagammo e ci dirigemmo verso casa mia, lunedì avremmo avuto un compito importantissimo di storia dell'arte perciò le proposi di rimanere il pomeriggio per studiare.
Che bel modo di passare la domenica, pensai.
Beh, d'altro canto ieri siamo andate in quel locale e dei compiti neanche l'ombra.
Quel pomeriggio fu davvero lungo, le ore non passavano mai ma ci furono utili per prendere entrambe un bell'otto a quel compito.
Quella settimana fu abbastanza monotona, 'Jace' ogni tanto mi rivolse un'occhiata fugace che io ovviamente non ricambiai.
Cercai il più possibile di mantenere le distanze per non permettere a me stessa di cascare di nuovo nella sua trappola.
Trovai il modo di non pensarci più e con il passare dei giorni sembrava funzionare.
Piuttosto, quella settimana mi concentrai soprattutto di trovare un modo per trovare i soldi per le lezioni di canto.
Pensai che forse sarebbe stato utile trovarmi un lavoretto.
In quel momento, stavo tornando a casa dopo essere stata a casa di Sophie tutta la mattina.
Suonai il campanello e non appena vidi quell'uomo aprire la porta, non trovai la forza di dire o di fare niente.
"Ciao tesoro"
"Papà?" Dissi io intimorita dalle mie stesse parole.
In quel momento provai rabbia, tristezza, paura e soprattutto provai quel dolore lancinante al petto che avevo costantemente quando lui era in casa.
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Don't Let My Hand Go
FanficJackie non ama stare al centro dell'attenzione, anzi odia tutti quelli che la circondano. È una ragazza americana amante della musica e concentrata a realizzare i suoi sogni. Vive con sua madre che dopo aver affrontato il marito, il quale aveva impo...