9. Photograph

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Trovarsi nell'acqua fangosa e salmastra di una palude nel tentativo di nuotare, o perlomeno di tenere la testa in superficie e non annegare, sembrava davvero essere un'impresa ardua.

Il liquido verdastro veniva spesso a contatto con i mie occhi scuri, causando ad essi di bruciare leggermente e di incrostarsi con la terra che era presente in quella conca d'acqua sottoforma di miscuglio fangoso.

Il respiro stava accelerando nonostante i polmoni duolessero per l'apparente mancanza di ossigeno. La testa pareva girare, la vista si stava gradualmente annebbiando, rendendo impossibile distinguere il contorno dell'ambiente circostante.

Poi, lentamente, gli occhi si socchiusero con dolcezza e un'estrema tranquillità - quasi tetra - iniziava a intorpidire le mie orecchie e fu lì, in quel momento, che il mio grido straziato rieccheggiò forte e acuto.

L'incubo era appena iniziato.

·····

Non ricordavo esattamente questa stanza, non ricordavo di averla mai vista prima d'ora, ma c'era qualcosa di insolitamente familiare. Il colore delle pareti, le tende poste a coprire invanamente i raggi solari che s'infrangevano contro il vetro trasparente creando spettacolari giochi di luce, le scartoffie buttate disordinatamente sulla scrivania.

I colori della stanza erano sui toni scuri, prevalentemente tendenti al nero, e presumibilmente la camera apparteneva a una persona di sesso maschile. Un'altra volta finita nuovamente in una camera sconosciuta, dannazione.

In essa vi era solamente una cosa davvero insolita: un unico quadro era appeso alla parete.

Perché mai qualcuno avrebbe dovuto appendere un solo quadro, perlopiù sporco e rovinato dal tempo? Forse non era esclusivamente ricoperto dalla polvere accumulatesi negli anni.

Non potei fare a meno di scendere dal letto e attraversare la stanza sul levigato parquet di legno scuro con la punta dei miei piedi nudi, con l'intento di fare meno rumore possibile.

Quello che mi ritrovai davanti mi fece rimanere senza fiato. La cornice era graffiata in più punti dalla quale si aggiungevano anche chiazze di vernice secca ancora incrostata sulla superficie in legno.

Quella vitrea, invece, era stata rotta in un punto specifico dal quale si erano create varie crepe che avevano proseguito con alcune diramazioni.

Trasalii quando riconobbi solo uno dei due soggetti nella fotografia: il soggetto femminile non era altro che me stessa.

Cosa diamine ci facevo avvinghiata giocosamente a un bambino che mai avevo visto in vita mia?

Allungai una mano verso quel quadretto, afferrandolo saldamente per staccarlo dal chiodo che per lungo tempo lo aveva tenuto sospeso. Riuscii a sfilare la foto da una piccola fessura situata al brodo della cornice, piegando successivamente l'immagine e infilandola frettolosamente nella tasca dei miei pantaloni.

Feci un passo indietro, causando al parquet, dall'apparenza pregiato e costoso, di scricchiolare sonoramente. Una mano a coppa copriva le mie labbra dischiuse, divenute secche a causa dell'aria che le inondava.

Mi voltai a destra e a manca, cercando disperatamente un paio di scarpe. Ricordavo di averle avute indosso il giorno precedente, ma non ero a conoscenza del luogo in cui si trovavano ora.

"Non avere fretta, tesoro. Già così tanta voglia di scappare?" Una voce spuntò alle mie spalle, echeggiando in tutta la camera da letto. Il tono era al massimo dello scherno, sarcastico come non mai.

Rimasi in silenzio, mordendomi il labbro inferiore come sfogo per il mio stress. Non avevo mai udito una voce così diversa da quelle famigliari, quelle a cui ero abituata a udire ogni giorno.

Il suo timbro era inquietante, duro, tanto da renderti incerta sulle tue stesse azioni. Ti rendeva confusa, spaventata e timorosa. Tutte debolezze che la maggior parte degli esseri umani cerca di contrastare.

"Le scarpe sono sotto al letto, tesoro." Aggiunse con lo stesso tono, compiendo un passo verso di me.

Avrei perso tempo prezioso nell'infilarmi le scarpe, minuti che a lui avrebbero potuto servigli per compiere qualche atto contro di me. Non volevo cadere in qualche suo intruglio sospetto. Odiavo il fatto di cascare in trappole altrui.

E poi, il fatto di dover possibilmente correre a piedi scalzi, mi rendeva un vantaggio. Sin da piccola amavo correre e camminare per casa senza alcun tipo di pantofole, tanto da imparare ad andare più veloce sul pavimento a piedi scalzi piuttosto che giardino con le scarpe.

"Credo che qui manchi qualcosa, non è così?" Domandò già sapiente della risposta.

Potevo benissimo immaginarlo con un ghigno stampato in volto, lo sguardo ridotto a due fessure e la bocca contorta in quello che poteva essere un sorriso sinistro, spaventoso.

Quella domanda l'avevo sentiva, eccome se l'avevo percepita. L'avevo avvertita bruciare lungo la schiena, scorrere nelle vene e infine pulsare nel cuore.

"Quindi, dimmi, dove si trova ora? Mh?"

"Da qualche parte." Mormorai.

Mi morsi la lingua quando capii quello che ormai era divenuto irreparabile. Ora sapeva che ero in possesso di quella fotografia.

Sobbalzai quando una mano si appoggiò sulla mia spalla, facendomi quasi urlare per lo spavento. "Basta solo dirmi dove si trova." Mormorò al mio orecchio l'uomo sconosciuto alle mie spalle.

"Che cosa vuoi esattamente? E, inoltre, chi sei?"

"Colui che hai sempre conosciuto. E da te, dolcezza, desidero solo la tua bellissima presenza." Mormorò, la voce graffiante e leggermente più roca, probabilmente aveva contratto un po' di faringite nei giorni precedenti. "E tu, invece, cosa vorresti?"

Quella domanda mi lasciò senza parole, con la gola asciutta e le labbra secche dischiuse. Non ero a conoscenza di quello che volevo realmente, relativamente nessun uomo sulla Terra è realmente sicuro di ciò che desidera nella vita.

Ma le insicurezze di questo momento cercavano disperatamente una certezza. E quella non poteva essere altro che Blake.

"Portami da lui, sono più che certa che tu sappia dove si trova."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 12, 2016 ⏰

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