~Capitolo 1 ~Una nuova Amica~

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IAN

Mi svegliai, era mattina presto, con gli occhi ancora assonnati sbadigliando spostai lo sguardo alla radiosveglia sul comodino. «Che sonno, accidenti», scossi la coperta, mi guardai allo specchio, con sguardo malinconico. Un altro giorno sta iniziando, che schifo di vita. Perché vivo? 

Ero immerso nei miei pensieri, con uno sguardo triste presi dal comodino il portafoto che mi raffigura insieme a mia madre: Evelyn, bionda dagli occhi azzurri, nella foto sorridiamo felice. 

Sentii gli occhi pizzicare dalle lacrime Mamma, mi manchi tanto. Quanto vorrei che non te ne fossi mai andata, che saresti qui con noi. Mi mancano i tuoi sorrisi, i tuoi abbracci. A volte vorrei raggiungerti. Almeno sarei felice, con amarezza ricordai quel tragico incidente in cui la mia vita cambiò radicalmente. Nello schianto, mia madre morì sul colpo, quella sera stavamo tornando a casa felici da una cerimonia di matrimonio. Ci eravamo divertiti insieme.

Ero seduto dietro. «Mamma, papà stasera mi sono divertito tantissimo! Come erano belli gli sposi», accennai con un sorriso, eravamo quasi arrivati a casa.

«Già, tesoro, è stata una serata fantastica!» Disse entusiasta mia madre. 

Mio padre guidava tranquillo. «È stata una serata stupenda, siamo quasi arrivati», accennò mentre svoltò a un incrocio. 

Sgranai gli occhi dal terrore. «Papà, attento!» Restai terrorizzato da ciò che vidi davanti ai miei occhi: un'auto che a folle velocità avanzava contromano nella nostra direzione.

In un istante avvenne lo schianto, le auto si scontrarono, dal violento urto mi trovai impigliato nella cintura di sicurezza. Mi fischiavano le orecchie e la vista era annebbiata. «Che è successo? Mamma? Papà?» Gridai in preda al panico, ero bloccato tra le lamiere, vedevo le sirene dei vigili del fuoco e delle ambulanze.

La vista mi si annebbiava sempre più, mentre un vigile del fuoco mi liberò dalle lamiere dell'auto.

Lo guardai con gli occhi sbarrati dal terrore.

«Dove sono i miei genitori? La prego. Mi dica dove sono, stanno bene vero?» Gli chiesi con gli occhi lucidi.

L'uomo di fronte a me, biondo e occhi verdi, sospirò: «Mi dispiace ma tua madre non è sopravvissuta nell'incidente». Sentii il cuore battermi a mille, l'uomo mi parlava, ma non sentivo la sua voce. Restai sconvolto e addolorato per l'infausta notizia della morte di mia madre.

Il conducente dell'auto guidava in stato di ebbrezza, venne arrestato dalla polizia. A stento riuscii a trattenere le lacrime a quel triste ricordo.

Non riesco a dimenticare quella sera, eravamo tutti felici. Mamma perché ci hai lasciati? Non è giusto! Maledizione, strinsi i pugni e a malincuore mi avviai in bagno.

Dove dopo aver fatto una doccia, indossai jeans blu strappati sulle ginocchia, e una camicia bianca. Passai tra i capelli corvini un po' di gel lavai le mani, e uscii dal bagno.

Scesi al piano inferiore ed entrai in soggiorno dove c'era mio padre seduto sulla poltrona, leggeva il giornale e sorseggiava il caffè. «Buongiorno papà. Dopo vado al liceo», sussurrai in un accenno di sorriso. Mio padre, dai capelli neri e occhi castani, con un tono freddo rispose: «Buongiorno» e, senza nemmeno rivolgermi lo sguardo, continuò a leggere il giornale. 

Deluso con amarezza lo guardai, lui era lì che mi trattava con indifferenza, era raro se si creava una conversazione tra di noi.

Affranto, avevo consumato la colazione: un muffin al cioccolato e del succo di frutta al gusto albicocca. Poi presi lo zaino e le chiavi di casa. «Ciao, io vado. A oggi» dissi, mentre mi ero allontanato verso la porta d'ingresso. 

Come suo solito fare, mio padre rimase in silenzio. «Ciao. A oggi», riferì in tono secco.

Odiavo quel suo modo di ignorarmi, quel sorriso sprezzante che aveva sulle labbra, mi odiava lo sapevo.

Uscii di casa e, con in spalle lo zaino della Seven, mi avviai alla fermata del bus. 

Ore 07:40 AM il pullman sostò alla fermata, una folla di studenti salì a bordo del pullman. Salii anch'io mi accomodai su un sedile, e con le cuffie all'orecchio del mio Mp3 ascoltavo la canzone: EagleHeart dei Stratovarius

Mentre la musica risuonava, osservavo malinconico il paesaggio: le abitazioni dai colori vivaci, il Central Park. I pedoni sui marciapiedi... Mi ero isolato dal mondo, deluso dalla vita.

Il pullman era quasi giunto a destinazione: Manhattan High School. Ero immerso nei miei pensieri, ma un tratto qualcuno, o meglio una ragazza, mi cadde letteralmente addosso, durante una curva. Ebbi un sussulto in quell'istante mi trovai il viso di una ragazza molto vicino al mio. Le nostre guance arrossirono. La vidi per la prima volta, era bella, dai capelli neri e occhi castani da cerbiatta. Lei ancora in imbarazzo. «Scusami», disse scostandosi da sopra di me.

«Ti sei fatta male?» Chiesi con un tono serio. Lei mi guardò arrossì ancora e udii la sua voce soave. «Ehm, sto bene grazie», rispose con timidezza, avevo le cuffiette tra le mani. Sorrisi verso la giovane, che a sua volta ricambiò il sorriso. Notò che accanto a me c'era un posto vuoto. Mi scrutò e titubante mi chiese «Scusa, posso sedermi?» 

«Prego», risposi in tono educato, la giovane mi si sedette accanto. Eravamo molto vicini che percepii la dolce fragranza del suo profumo alla vaniglia. Notai che era molto timida, specie con i ragazzi, cioè non faceva che guardare il finestrino. Con curiosità la guardai per un istante, indossava un maglione viola jeans azzurri, la giovane non fece caso che la guardavo, era assorta a leggere gli orari sul suo diario che poi richiuse e lo ripose nella borsa a tracolla. 

Distolsi lo sguardo da lei; appena lei aveva scorto che la guardavo, con curiosità chiese «Scusa, perché mi stavi fissando?» Mentre sorrise. 

Le rivolsi lo sguardo, con un po' in imbarazzo. «Ti guardavo, perché sei carina», risposi sincero.

La ragazza mi sorrise. «Davvero? Grazie. Anche tu sei molto carino, sai?» Mi guardò ancora per un attimo, sentii una strana sensazione, un calore crescere nel petto, e scompigliando i capelli un po' a disagio. «Davvero? Mi trovi carino? Ehm, grazie», risposi con timidezza.

Il pullman arrestò la sua corsa. Era giunto davanti all'ingresso dell'istituto. 

Vidi la giovane che salutandomi con la mano. «Ciao allora, ci si vede», scese dal pullman, presi lo zaino e scesi anche io, il cortile dell'istituto era gremito di studenti, chi fumava, chi ascoltava musica. Si intrattenevano fuori fino al suono della campanella. 

Ore 08:00 AM. Notai la giovane di prima che parlava con un ragazzo biondo e dagli occhi verdi, erano molto affiatati, ridevano e scherzavano in sintonia.

Desideravo tanto fare amicizia con quella ragazza, che avevo incrociato sul pullman, ma nel vederla insieme a quel ragazzo preferì non disturbarli, deciso entrai nella mia classe. 

Attesi l'arrivo dei miei compagni, e per mia sorpresa dall'ingresso vide entrare proprio la ragazza di poc'anzi, che titubante sussurrò: «Buongiorno, scusate il ritardo». 

Il prof, non era ancora giunto in classe, la giovane sorrise avanzò verso un banco vuoto, per accomodarsi, i banchi erano quasi tutti occupati.

La guardai e le sorrisi. «Ciao, puoi sederti qui se vuoi. È libero.»

La ragazza con timidezza sorrise, annuì, mi si avvicinò e mi si sedette accanto. «Grazie, sei gentile, mi chiamo Alicia, e tu? Che coincidenza, siamo nella stessa classe», accennò con un timido sorriso.

Ero sorpreso la ragazza incrociata sul pullman era nella mia stessa classe.

 «Piacere, Alicia, io sono Ian, eh! Già, hai ragione», la presentazione tra di noi venne interrotta dall'arrivo del prof Jason, biondo e occhi verdi, abbastanza alto. «Buongiorno a tutti, bene abbiamo una nuova studentessa, Alicia Miller?» La giovane si alzò in piedi. «Presente! Buongiorno.»

Il prof sorrise. «Benissimo, adesso siediti e seguiamo le lezioni.»

La giovane si sedette al suo posto proprio accanto a me. Quella mattina ero felice, e insieme ad Alicia iniziammo a seguire la spiegazione del professore.

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