Accolse gli invitati in un completo verde acido con lunghe e ampie maniche e pantaloni scampanati. Aveva scelto delle scarpe comode. L’abbigliamento rispecchiava le sue aspettative per la serata. Per prima arrivò Mary Jo Perrin, accompagnata dal figlio adolescente, Robert. Per ultimo padre Dyer. Era un uomo giovane d’aspetto e piccolo di statura, dal colorito roseo. Dietro gli occhiali dalla leggera montatura di metallo si muovevano due occhi vivaci. Sulla porta si scusò per il ritardo. «Non riuscivo a scegliere il cravattino adatto», disse a Chris con tono distaccato. Per un istante, lei lo guardò assente, poi esplose in una risata sonora. La tristezza che l’aveva accompagnata tutto il giorno cominciò a sciogliersi. I cocktail fecero la loro parte. Alle dieci meno un quarto, gli invitati erano tutti in soggiorno, ognuno occupato a mangiare, impegnati in vivaci conversazioni. Chris si avvicinò al buffet fumante per riempirsi il piatto, poi cercò nella sala Mary Jo Perrin. Eccola. Era seduta sul divano con padre Wagner, il preside della facoltà, con il quale Chris aveva scambiato solo poche battute. L’uomo era totalmente calvo, con la testa costellata da numerose lentiggini, e aveva un modo di fare asciutto ma garbato. Chris si avvicinò lentamente al divano e si chinò sul tavolino da caffè proprio mentre la veggente rideva allegramente. «Oh, andiamo, Mary Jo!», disse il preside sorridendo mentre si portava alla bocca una forchettata di curry. «Sì, andiamo, Mary Jo», gli fece eco Chris. «Ehi, eccola, finalmente. Il curry è grandioso!», si complimentò il gesuita. «Non è troppo piccante?». «No, assolutamente, è piccante al punto giusto. Mary Jo mi stava raccontando di un gesuita che fu anche un medium». «E lui non mi crede!», ridacchiò la veggente. «Ah, precisiamo, distinguo», disse il decano, «ho detto semplicemente che è difficile da credere». «Intendi dire proprio un medium?», domandò Chris. «Certo che sì», continuò Mary Jo, «praticava persino la levitazione!». «Oh, io la pratico quotidianamente», disse con tranquillità padre Wagner. «Anche le sedute spiritiche?», chiese Chris alla signora Perrin. «Sì, anche», rispose. «Era davvero molto famoso nel secolo scorso. Se non sbaglio, è stato l’unico spiritualista dell’epoca a non essere mai condannato per frode». «Come ho già detto, non era un gesuita», sottolineò il preside. «Mio caro, eccome se lo era!», disse Mary Jo tra le risa. «Quando compì ventidue anni, entrò nell’ordine e fece voto di non praticare mai più l’attività di medium, ma fu comunque mandato in missione fuori dalla Francia». Poi, ridendo ancora più forte, aggiunse: «Fu dopo una seduta spiritica che tenne alle Tuileries. Sapete cosa fece? Nel mezzo della seduta, disse all’imperatrice che sarebbe stata toccata dalle mani di uno spirito bambino che stava per materializzarsi, e quando all’improvviso fu accesa la luce», proseguì sghignazzando, «lo trovarono con i piedi nudi appoggiati al braccio dell’imperatrice! Dico, riuscite a immaginarvi la scena?». Il gesuita sorrideva mentre posava il suo piatto sul tavolo. «Non venga più a cercare sconti sulle sue penitenze, Mary Jo». «Su, non faccia così, in tutte le famiglie c’è una pecora nera». «La nostra quota è stata versata dai papi della famiglia Medici». «Sapete, io ho avuto un’esperienza particolare una volta…», cominciò a raccontare Chris. Il preside la interruppe. «Me lo racconta in confessione?». Chris reagì con un sorriso. «No, non sono cattolica». «Oh, nessun problema, nemmeno i gesuiti lo sono», commentò la signora Perrin con un risolino. «Calunnia dei domenicani», replicò pronto il preside. Poi si rivolse a Chris. «Scusi, cara, l’abbiamo interrotta. Cosa stava dicendo?». «Allora… ecco, penso di aver visto un uomo levitare, una volta. Nel Buthan». Raccontò la storia. «Pensa che tutto ciò sia possibile?», domandò alla fine. «Voglio dire, veramente, sul serio». «Chi lo sa?», rispose stringendosi nelle spalle il preside. «Chi sa cosa sia realmente la forza di gravità. O meglio, perché è questo il punto, cosa sia la materia». «Volete il mio parere?», intervenne la signora Perrin. Il preside rispose pronto: «No, Mary Jo, io ho fatto voto di povertà». «Io pure», mormorò Chris. «Cosa intende?», domandò il gesuita avvicinandosi a lei. «Nulla, davvero. Senta, c’è qualcosa che vorrei chiederle. Conosce quel piccolo edificio che sta sul retro della chiesa qua vicino?». Indicò col dito la direzione. «La Santissima Trinità?». «Esatto, quello. Insomma, che cosa c’è là dentro?». «Oh, diciamola tutta, è il luogo dove si celebrano le messe nere», rispose la signora Perrin. «Come?». «Le messe nere». «Cosa sono?». «È solo uno scherzo», disse il decano. «Sì, lo so», rispose Chris, «ma io sono un po’ lenta a capire. Insomma, cosa sono le messe nere?». «Be’, fondamentalmente sono messe cattoliche travestite», spiegò il preside, «hanno a che fare con la stregoneria. Adorazione del diavolo». «Sul serio? Esistono davvero queste cose?». «Non posso dirlo con certezza. Tuttavia una volta ho avuto modo di vedere una statistica che parlava di circa cinquantamila messe nere celebrate ogni anno a Parigi». «Intende dire oggi?», chiese Chris stupita. «Riferisco solo quello che ho sentito». «Sì, certamente, dai servizi segreti gesuiti», lo provocò la signora Perrin. «Assolutamente no. Sono solo voci che girano». «Sapete, a Los Angeles», intervenne Chris, «si sente un numero terribile di storie sul culto delle streghe e cose simili. Mi sono chiesta spesso se fosse vero». «Come ho già detto, non posso saperlo», disse il preside. «Però posso indicarvi chi può dirvelo: Joe Dyer. Dov’è Joe?». Il preside lo cercò con lo sguardo nella stanza. «Eccolo», disse accennando col capo all’altro sacerdote, che era in piedi davanti al buffet e dava loro le spalle. Stava facendo un secondo giro di tutte le pietanze sul tavolo. «Ehi, Joe!». Il giovane sacerdote si voltò verso il gruppo, il volto impassibile. «Mi avete chiamato, magnifico rettore?». Con un gesto delle dita il preside gli chiese di avvicinarsi. «Arrivo, solo un secondo», rispose Dyer, e riprese il suo assedio al curry e all’insalata. «Quello è il primo folletto che è diventato prete», disse il preside con un tono di affetto. Prese un sorso di vino. «Ci sono stati un paio di episodi di profanazione nella chiesa della Santissima Trinità la scorsa settimana, e Joe ha detto che uno gli ha ricordato qualcosa delle messe nere. Per questo credo che sia preparato sull’argomento». «Cosa è successo in quella chiesa?», domandò Mary Jo Perrin. «No, è qualcosa di troppo ripugnante», rispose il preside. «Oh, andiamo, abbiamo tutti finito la cena». «No, vi prego. È veramente eccessivo», protestò il decano. «Forza, andiamo!». «Volete dire che non siete in grado di leggermi nel pensiero, Mary Jo?», chiese lui. «Oh, potrei farlo», rispose la donna. Poi aggiunse, sogghignando: «Ma non credo proprio di essere degna di penetrare in un simile santa sanctorum!». «Okay, ma è davvero qualcosa di disgustoso», cominciò a raccontare il decano. Descrisse in cosa consistesse la profanazione. Nel primo caso, l’anziano sacrestano della chiesa aveva trovato un cumulo di escrementi umani sulla tovaglia dell’altare, giusto di fronte al tabernacolo. «Oh, è davvero disgustoso!», commentò con una smorfia la signora Perrin. «Già, ma il secondo è anche peggiore», affermò il preside; poi, con vaghe allusioni e qualche eufemismo, raccontò di come un massicio pene di argilla fosse stato trovato incollato con cura su una statua di Cristo collocata al lato sinistro dell’altare. «Ripugnante a sufficienza?», chiese infine. Chris si accorse di quanto Mary Jo fosse sinceramente sconvolta quando la sentì dire: «Va bene, basta così. Mi dispiace aver insistito. Cambiamo argomento, per favore». «No, sono molto affascinata», disse Chris. «Sì, la capisco. Sono un uomo piuttosto affascinante». Era padre Dyer. Stava in piedi esitante, il piatto in mano, accanto a lei. «Datemi solo un minuto e sarò da voi. Penso di avere qualcosa in sospeso di là, con l’astronauta». «Che genere di cosa?», chiese il preside. Padre Dyer sollevò un sopracciglio, il volto imperturbabile e vagamente incuriosito. «Ci crederebbe mai? Il primo missionario sulla luna». Esplosero in una grossa risata. «Lei è della misura adatta», commentò la signora Perrin. «Potrebbero sistemarla giusto nella punta della navicella». «No, non parlo di me», precisò con solennità il sacerdote; poi si rivolse al preside per chiarire: «Sto cercando di organizzare il tutto per Emory». «Si tratta dell’addetto alla disciplina all’università», spiegò il preside alle signore. «Lassù non c’è nessuno e questo è esattamente quello che piace a lui, sapete; insomma, si trova molto bene nelle situazioni molto tranquille». «E quindi, chi dovrebbe convertire?», chiese la signora Perrin. «Cosa intende?», intervenne Dyer con aria di seria disapprovazione. «Convertirebbe gli astronauti. Tutto qui. Capite, è proprio quello che gli piace: una o due persone, non di più, solo un paio». Dyer lanciò uno sguardo in direzione dell’astronauta. I suoi occhi sembravano assenti. «Con permesso», disse prima di allontanarsi. «Mi piace proprio questo sacerdote», commentò la signora Perrin. «Anche a me», aggiunse Chris. Si rivolse al decano. «Non mi avete ancora detto che succede nel piccolo edificio bianco», gli ricordò. «È un segreto? Chi è quel prete che vedo sempre lì? Quello molto scuro di carnagione, ha presente? Capisce a chi mi riferisco?». «Padre Karras», disse il preside in tono molto basso, una nota di tristezza nella voce. «Di cosa si occupa?». «È il nostro consulente psicologico». Posò il suo bicchiere di vino e prese a farlo girare dal gambo. «Ha ricevuto un brutto colpo la notte scorsa, poveretto». «Oh, cos’è successo?», chiese Chris con improvvisa partecipazione. «Sua madre non c’è più». Chris si sentì profondamente addolorata, una sensazione intensa che non era in grado di spiegare. «Oh, mi dispiace tanto», disse soltanto. «Sembra che l’abbia presa piuttosto male», riprese il decano. «Lei viveva da sola, e credo fosse morta da qualche giorno quando hanno trovato il corpo». «Oh, ma è terribile», disse la signora Perrin in un sussurro. «Chi l’ha trovata?», chiese Chris con aria formale. «Chiedo scusa se vi disturbo, signora MacNeil». Lei sollevò lo sguardo su Karl. Portava un vassoio con bicchieri puliti e le bottiglie per i liquori. «Prego, Karl. Poggialo pure qui, va bene così». A Chris piaceva servire di persona i liquori ai suoi ospiti. Trovava che la cosa servisse a instaurare un clima di maggiore confidenza, di cui altrimenti si sarebbe potuta sentire la mancanza. «Bene, inizierò da voi», disse al preside e alla signora Perrin; poi li servì. Attraversò la stanza, prendendo le ordinazioni di ognuno e portando loro quanto avevano chiesto. Quando finì il suo giro, i vari capannelli degli invitati avevano assunto nuove conformazioni, eccezion fatta per Dyer e l’astronauta, la cui conversazione procedeva sempre più fitta. «No, non sono esattamente un prete», Chris sentì che diceva Dyer, il braccio poggiato sulle spalle dell’astronauta scosse dalle risate. «Per la precisione sono un rabbino terribilmente all’avanguardia». Poco più tardi, sentì ancora Dyer domandare con decisione all’astronauta: «Cos’è lo spazio?»; e quando l’astronauta, come tutta risposta, scrollò le spalle dicendo che in realtà non lo sapeva, padre Dyer lo guardò con austera disapprovazione: «Dovrebbe saperlo!». Poco dopo Chris si trovava accanto a Ellen Clearly, ricordando i tempi del viaggio a Mosca, quando le giunse una voce familiare e stridula che ruggiva, violenta, dalla cucina. Oh, santo cielo! Burke! Stava strillando volgarità all’indirizzo di qualcuno. Chris si scusò con gli invitati e si diresse rapida in cucina. Lì trovo Dennings che insultava brutalmente Karl, mentre Sharon era impegnata nell’inutile tentativo di tranquillizzarlo. «Burke!», urlò Chris. «Dacci un taglio!». Il regista la ignorò, continuando con quella sua furia. Aveva la saliva agli angoli della bocca, mentre Karl restava poggiato in silenzio al lavandino, le braccia conserte e il viso contratto, gli occhi risolutamente fissi su Dennings. «Karl!», sbottò Chris. «Potresti andare via? Esci dalla stanza! Non vedi in che condizioni è?». Ma il domestico non si spostò finché Chris non lo spinse letteralmente verso la porta. «Porco nazista!», gli urlò dietro Dennings. Poi con aria gioviale si rivolse a Chris e, sfregandosi le mani, chiese con garbo: «Che c’è per dessert?». «Dessert!». Chris si colpì la fronte con la mano. «Già, ho fame!», piagnucolò lui. Chris si girò verso Sharon. «Fallo mangiare! Io devo mettere a letto Regan. E tu Burke, Dio santo!», disse perentoria al regista, «potresti comportarti educatamente? Ci sono dei preti nell’altra stanza!». Indicò il soggiorno. L’uomo inarcò le sopracciglia e i suoi occhi si fecero intensi, pieni di un improvviso quanto apparentemente sincero interesse. «Oh, te ne sei accorta anche tu?», chiese senza malizia. Chris uscì dalla cucina per raggiungere Regan nella stanza dei giochi, dove la bambina si era trattenuta per tutta la giornata. La trovò che giocava con la tavola Ouija. Aveva un’aria assente, distante, remota. Bene, almeno non è sovraeccitata, pensò Chris, e con la speranza di farla divertire l’accompagnò in soggiorno e cominciò a presentarla ai suoi ospiti. «Oh, ma quanto è carina!», disse la moglie del senatore. Regan, stranamente, si comportò molte bene con tutti, eccetto che con la signora Perrin, a cui si rifiutò di stringere la mano e con cui non volle parlare. Ma la veggente scherzò sulla cosa, minimizzando. «Sa che sono una persona falsa», disse ammiccando a Chris. Ma subito dopo, con un atteggiamento vagamente indagatore, si avvicinò alla bambina e le strinse la mano premendola delicatamente, quasi volesse sentirle il polso. Regan si liberò subito da quella stretta e lanciò alla donna un’occhiata astiosa. «Oh, la piccina, deve essere molto stanca!», disse la signora Perrin con semplicità, ma senza smettere di fissare Regan con attenzione, con un’incomprensibile inquietudine. «Negli ultimi giorni non è stata bene», mormorò Chris per scusarsi. Guardò sua figlia e le chiese: «Non è vero, tesoro?». Regan non rispose. Lo sguardo sempre fisso sul pavimento. Regan aveva già conosciuto tutti, tranne il senatore e Robert, il figlio della signora Perrin. Chris pensò che fosse meglio evitare, accompagnò la bambina nella sua stanza e la mise a letto. «Credi di riuscire a dormire?», le chiese. «Non lo so», rispose la figlia con voce assonnata. Si era girata sul fianco e stava guardando fissa il muro con un’espressione distante. «Vuoi che ti legga qualcosa?». Fece no con la testa. «Va bene, allora, prova a dormire». Si chinò e le diede un bacio, poi si diresse alla porta per spegnere la luce. «Buonanotte, piccola mia». Chris aveva quasi superato la soglia quando Regan la chiamò con un filo di voce. «Mamma, cosa c’è che non va? Cosa mi succede?». Era così tormentata. Nella voce l’eco della disperazione, così sproporzionata rispetto alla sua situazione. Per un istante la madre si sentì scossa, confusa. Ma subito riacquistò il controllo. «Vedi, tesoro, è come ti ho detto: solo un problema di nervi. Hai bisogno di queste pillole per un paio di settimane, poi sono sicura che ti sentirai meglio. Ora però, piccola, cerca di dormire. Va bene?». Nessuna reazione. Chris restò in attesa. «Va bene?», ripeté. «Okay», sussurrò Regan. Chris si accorse d’improvviso che le stava venendo la pelle d’oca. Si passò la mano sull’avambraccio. Santo cielo, si sta facendo freddo qua dentro. Ma da dove arriva la corrente? Si avvicinò alla finestra e controllò le imposte con la mano in cerca di uno spiffero. Nulla. Si girò verso Regan. «Piccola, hai abbastanza caldo?». Nessuna risposta. Chris si fece più vicina al letto. «Regan? Dormi?», chiese a bassa voce. Occhi chiusi e respiro profondo. A passi leggeri Chris uscì dalla stanza. Dal corridoio sentiva cantare e quando fu in fondo alle scale notò con piacere che il giovane padre Dyer era seduto al piano accanto alla finestra del soggiorno. Gli invitati gli stavano intorno cantando in coro. Quando entrò nella stanza, avevano appena finito ’Till We Meet Again. Chris stava per raggiungere il gruppo quando fu intercettata dal senatore e da sua moglie, entrambi col cappotto sul braccio. Sembravano agitati. «Andate già via? Così presto?». «Oh, sono desolato; le assicuro che è stata una serata meravigliosa», si affrettò a dire il senatore. «Ma la povera Martha ha un terribile mal di testa». «Mi dispiace davvero tanto, ma sto così male», si lamentò la donna. «Spero che ci scuserà, Chris. È stata una festa deliziosa». «Mi dispiace che dobbiate lasciarci», disse Chris. Intanto che li accompagnava alla porta sentì padre Dyer chiedere agli altri: «Qualcuno conosce le parole di I’ll Bet You’re Sorry Now, Tokyo Rose?». Congedò la coppia augurando loro la buonanotte. Mentre tornava indietro nel soggiorno, Sharon uscì senza far rumore dallo studio. «Dov’è Burke?», le chiese Chris. «Qui dentro», rispose Sharon indicando con un cenno del capo lo studio. «Sta smaltendo la sbornia con un sonnellino. Racconta, ti ha detto qualcosa il senatore?». «Che vuoi dire?», chiese Chris. «Se ne sono appena andati». «Be’, me lo aspettavo». «Sharon, mi spieghi di cosa stai parlando?». «Oh, Burke», sospirò Sharon. Parlando a bassa voce le raccontò dell’incontro tra il senatore e il regista. Dennings gli aveva fatto notare, in tono piuttosto neutro, che gli sembrava ci fosse «un pelo pubico a nuotare nel mio gin». Poi si era rivolto al senatore e aveva aggiunto, con un tono vagamente accusatorio: «Mai visto prima in vita mia. Lei lo riconosce?». Chris si lasciò sfuggire una risata mentre Sharon continuava a raccontarle di come la reazione imbarazzata del senatore avesse scatenato una di quelle improvvise crisi di collera del regista. Furioso, Dennings aveva dichiarato la sua «infinita gratitudine» per l’esistenza dei politici, senza i quali «nessuno avrebbe potuto distinguere chi fossero i veri statisti, non trova?». Quando il senatore, stizzito, si era allontanato, il regista si era rivolto orgoglioso a Sharon: «Vedi? Non ho detto neppure una parolaccia. Allora, dimmi, non ti sembra che abbia affrontato l’argomento con garbo?». Chris non smetteva di ridere. «Oh, lasciamo perdere, fallo dormire. Ma è meglio che tu rimanga con lui, nel caso dovesse svegliarsi. Ti dispiace?». «Per nulla», rispose Sharon, poi entrò nello studio. Nel soggiorno, Mary Jo Perrin stava seduta tutta sola e pensierosa su una sedia in un angolo della sala. Sembrava turbata, tesa. Chris fece per avvicinarsi, ma si fermò quando un invitato, il suo vicino di casa, anticipandola, raggiunse la donna. Chris si diresse allora verso il pianoforte. Dyer smise di suonare e sollevò lo sguardo su di lei in segno di saluto. «Prego, signorina, cosa possiamo fare per lei? Oggi ci esibiamo in uno speciale sulle novene». Chris rise insieme agli altri. «Pensavo invece di avere un’anteprima su ciò che succede alle messe nere», disse. «Padre Wagner afferma che lei è un esperto». Il gruppo intorno al piano ammutolì, pieno d’interesse. «Non esattamente», disse Dyer toccando delicatamente alcuni tasti. «Come mai avete parlato di messe nere?», chiese poi con aria seria. «Oh, insomma… prima qualcuno accennava a quanto è stato trovato nella chiesa della Santissima Trinità, e così…». «Ah, allude alle profanzioni?», la interruppe Dyer. «Ehi, qualcuno potrebbe spiegarmi di cosa stiamo parlando?», domandò l’astronauta. «Anche a me», aggiunse Ellen Clear. «Mi sono persa qualcosa». «Be’, si sono verificati alcuni episodi di profanazione nella chiesa in fondo alla strada», chiarì Dyer. «Okay. Che genere di profanazioni?». «Non andiamo oltre», consigliò padre Dyer. «Diciamo che sono accadute cose oscene, tutto qui, okay?». «Padre Wagner ci ha detto che c’è qualche collegamento con le messe nere», intervenne Chris, «e mi chiedevo come funzionino queste cose». «Davvero, non ne so poi così tanto», protestò Dyer. «In effetti gran parte di quello che so l’ho ascoltato da un altro geb». «Geb? Cosa significa?», chiese Chris. «Un diminutivo per gesuita. Padre Karras è il più preparato su questi temi». Improvvisamente, Chris si fece attenta. «Quel prete che abita dietro la chiesa della Santissima Trinità? Quello molto scuro?». «Lo conosce?». «No, ne ho solo sentito parlare, niente di più». «Credo che abbia scritto un saggio in materia tempo fa. Capisce, un approccio psichiatrico all’argomento». «In che senso?». «Come in che senso?». «Mi sta dicendo che è uno psichiatra?». «Oh, ma certamente. Le chiedo scusa, pensavo ne fosse al corrente». «Sentite, qualcuno potrebbe gentilmente spiegarmi di cosa state parlando?», chiese spazientito l’astronauta. «Cosa succede nelle messe nere?». «Chiamiamole aberrazioni», minimizzò Dyer. «Oscenità. Atti blasfemi. Si tratta di parodie diaboliche della santa messa, nelle quali al posto di Nostro Signore si adora Satana e ogni tanto vengono celebrati sacrifici umani». Ellen Cleary scosse la testa e si allontanò. «La cosa comincia a mettermi i brividi», disse sforzandosi di sorridere. Chris non se ne curò. Il preside si avvicinò al gruppo con discrezione. «Ma come fa a saperlo?», domandò Chris al giovane sacerdote. «Anche se dovesse esistere qualcosa di simile a una messa nera, chi potrebbe raccontare come si svolge?». «Credo che la maggior parte delle informazioni che abbiamo», rispose Dyer, «vengano da persone che furono arrestate e che poi confessarono». «Oh, ma andiamo», intervenne il decano, «quelle confessioni sono prive di ogni valore. Furono rilasciate sotto tortura». «No, solo per gli ossi troppo duri fu così», continuò Dyer senza scomporsi. La sala fu attraversata da tiepide risate nervose. Il preside guardò l’orologio, poi si rivolse a Chris: «Be’, devo davvero andare. Domani alle sei in punto devo celebrare la messa nella cappella Dahlgren». «E a me tocca accompagnarlo col banjo», spiegò Dyer raggiante. I suoi occhi si mossero poi verso un punto della stanza alle spalle di Chris e la sua espressione divenne d’improvviso seria. «Abbiamo visite, signora MacNeil», avvertì, indicando davanti a sé con un cenno del capo. Chris si voltò. Il respirò le si spezzò in gola nel vedere Regan in camicia da notte urinare abbondantemente sul tappeto. Con lo sguardo fisso sull’astronauta, la bambina recitò con voce fredda: «Tu morirai, lassù in alto». «Oh, mio Dio!», gridò Chris in preda al panico, correndo verso la figlia. «Oh, piccola, vieni, vieni con me». Prese Regan tra le braccia e la portò via, porgendo da dietro la spalla parole imbarazzate di scusa all’astronauta, impallidito. «Mi dispiace così tanto! Non si sente bene, probabilmente parlava nel sonno. Non ha idea di quello che ha detto». «Accidenti, si è fatto tardi. Forse è meglio che andiamo via», sentì dire Dyer a qualcuno. «No, vi prego, restate», protestò Chris, voltandosi per un istante. «Restate, per favore. È tutto a posto. Sarò da voi tra un minuto». Chris si fermò in cucina per avvertire Willie di ripulire il tappeto prima che la macchia diventasse indelebile, poi accompagnò Regan di sopra nel suo bagno, l’aiutò a lavarsi e a indossare una camicia pulita. «Tesoro, perché hai detto quelle cose?», le chiese a più riprese, ma Regan pareva non capire e mormorava frasi sconclusionate. Gli occhi erano annebbiati e come spenti. Chris le rimboccò le coperte e Regan sembrò addormentarsi subito. Chris aspettò qualche minuto, ascoltando il ritmo del suo respiro. Poi chiuse la porta e lasciò la stanza. In fondo alla scala s’imbatté in Sharon e nel giovane regista della seconda troupe, impegnati a sorreggere Dennings davanti alla porta dello studio. Avevano chiamato un taxi e stavano per accompagnarlo alla sua suite allo Sheraton Park Hotel. «Non prendetevela!», consigliò loro Chris mentre uscivano sostenendo Dennings per le spalle. Appena cosciente, il regista biascicò un «vaffanculo» e scivolò prima nell’oscurità, poi dentro il taxi. Chris tornò nel soggiorno, dove gli ospiti rimasti le dimostrarono grande solidarietà quando raccontò loro brevemente dei disturbi di cui soffriva Regan. Mentre accennava ai colpi sordi in soffitta e alle altre tecniche per attirare l’attenzione messe in campo dalla bambina, la signora Perrin la guardava con particolare attenzione. Per un istante Chris posò il suo sguardo sulla donna aspettando un suo commento, ma visto che non diceva nulla, proseguì il racconto. «Le capita spesso di camminare nel sonno?», si informò Dyer. «No, è la prima volta. O almeno la prima di cui sia a conoscenza. Credo che abbia a che vedere con la questione dell’iperattività. Non siete d’accordo?». «Davvero, non saprei cosa risponderle», disse il sacerdote. «Ho sentito che il sonnambulismo è piuttosto comune tra gli adolescenti, anche se…». D’un tratto s’interruppe stringendosi nelle spalle. «Non so. Penso sia meglio parlarne con un medico». Per tutto il resto della conversazione la signora Perrin rimase seduta tranquillamente, assorta nell’osservare le fiamme danzare nel caminetto del soggiorno. Chris notò che altrettanto in disparte era rimasto l’astronauta, il quale aveva in programma una nuova missione entro la fine dell’anno. Teneva lo sguardo fisso sul suo bicchiere e commentava con sporadici grugniti gli interventi degli altri, a comunicare interesse e attenzione. Come per un tacito accordo, nessuno fece riferimento alle parole che Regan gli aveva indirizzato. «Bene, io ho quella messa da celebrare domani», disse il preside infine, alzandosi per andare via. Il gesto spinse tutti a congedarsi: si alzarono, e a turno ringraziarono Chris per la cena e per la serata trascorsa. Sulla soglia, padre Dyer prese gentilmente la mano di Chris e, guardandola negli occhi con aria seria, chiese: «Crede che ci sia una parte in uno dei suoi film per un piccolo sacerdote che suona il piano?». «Se non c’è», rispose Chris ridendo, «ne farò scrivere una apposta per lei, padre». «Sa, pensavo a mio fratello», disse lui con convinzione. «Lei è incorreggibile», rise ancora Chris, e gli diede una calorosa e affettuosa buonanotte. Gli ultimi ad andarsene furono Mary Jo Perrin e il figlio. Chris li trattenne sulla porta a chiacchierare. Aveva l’impressione che Mary Jo avesse qualcosa in mente e che si contenesse. Per ritardare la loro partenza, Chris le chiese un parere riguardo al fatto che Regan giocasse così spesso con la tavola Ouija e alla sua fissazione con il capitano Howdy. «Pensi che ci sia qualcosa che non va?», le domandò infine. Aspettandosi una risposta ironica che minimizzasse le sue preoccupazioni, Chris fu molto sorpresa quando la signora Perrin parve irrigidirsi e abbassò lo sguardo sulla soglia. Sembrava pensierosa. Ancora con gli occhi bassi, uscì e raggiunse il figlio che l’aspettava nel vialetto. Quando alla fine sollevò il capo, i suoi occhi erano in ombra. «Io gliela porterei via», disse piano. Diede al figlio le chiavi della macchina. «Bobby, accendi pure il motore», gli suggerì. «È freddo, fallo scaldare». Il ragazzo prese le chiavi, disse a Chris che la serata era stata molto piacevole, poi si allontanò con passo incerto verso una vecchia Mustang ammaccata parcheggiata sul bordo della strada. Gli occhi della signora Perrin erano ancora in ombra. «Non so cosa pensi di me», disse lentamente. «Molte persone associano il mio nome allo spiritismo. Ma è un errore. Sì, credo di avere un dono innato», aggiunse con tranquillità, «ma non è niente di misterioso. A me, infatti, sembra una cosa naturale, perfettamente naturale. Da buona cattolica quale sono, credo fermamente che ognuno di noi abbia un piede in ciascuno dei due mondi. Quello di cui siamo consapevoli è il tempo. Ma ogni tanto ci sono degli scherzi della natura, come me, che ricevono dei bagliori dall’altro mondo, che penso sia… quello dell’eternità. Già, l’eternità non ha tempo. Futuro e presente sono la stessa cosa. Così, quando talvolta mi sembra di percepire qualcosa con l’altro piede, credo di poter vedere nel futuro. Chi può dirlo? Forse non è così. Forse sono soltanto coincidenze». Si strinse nelle spalle. «Però io credo di esserne capace. E nonostante questo, vedi, continuo a dire che è un fenomeno naturale. Ma l’occulto invece…». Fece una piccola pausa, scegliendo le parole con cura. «L’occulto è qualcosa di diverso. Me ne sono sempre tenuta lontano. Penso che possa essere pericoloso averci a che fare. Compreso scherzare con la tavola Ouija». Fino a quel momento Chris aveva pensato a lei come a una donna di buon senso. Adesso qualcosa nel suo atteggiamento le provocava un intenso fastidio. Sentì una sensazione d’inquietudine montarle dentro e cercò prontamente di dissiparla. «Oh, Mary Jo, andiamo», disse Chris sorridendo. «Non sai come funzionano queste tavolette? Non è altro che un effetto del subconscio, nulla di più».
«Già, probabilmente», rispose con calma. «Probabilmente. Potrebbe essere solo suggestione. Ma tutte le storie che ho sentito su sedute spiritiche, tavole Ouija e cose simili, sembrano indicare l’apertura di un qualche varco. Oh, certo, forse non con il mondo degli spiriti; tu non credi in queste cose. Forse un canale di collegamento con quello che tu chiami subconscio. Non lo so, so soltanto che queste cose a quanto pare accadono. E ricordati, cara, che esistono manicomi in tutto il mondo pieni di persone che hanno scherzato con l’occulto». «Mi prendi in giro?». Ci fu un momento di silenzio. Poi quella voce soave iniziò nuovamente a risuonare nell’oscurità. «C’era una famiglia in Baviera, Chris, nel 1921. Non ricordo il nome, ma si trattava di una famiglia numerosa: erano undici. Penso che tu possa trovare informazioni anche sui giornali di allora. Poco dopo un tentativo di seduta spiritica, andarono completamente fuori di testa. Tutti quanti. Undici. Diedero vita a un’orgia di fuoco nella loro casa. Prima bruciarono tutti i mobili nel camino. Poi passarono al bambino di soli tre mesi di una delle loro figlie più giovani. E fu qui che i vicini riuscirono a entrare in casa e a fermarli. Tutta la famiglia», disse per concludere, «fu rinchiusa in un manicomio». «Oh, accidenti», sospirò Chris, ripensando al capitano Howdy. Aveva assunto adesso dei tratti minacciosi. Malattia mentale. Di questo si trattava? In parte. «Lo sapevo, avrei dovuto portarla da uno psichiatra».
«Oh, santo cielo!», disse la signora Perrin muovendosi verso la luce, «non fare caso a quello che dico, dai retta piuttosto al tuo medico». C’era un tono forzatamente rassicurante nella sua voce che non riusciva convincente. «Col futuro sono molto brava», aggiunse sorridendo, «ma con il presente sono di scarso aiuto». Si mise a rovistare nella borsetta. «Allora, dove saranno finiti i miei occhiali? Eccoli. Vedi? Pensavo di averli smarriti, e invece eccoli qua». Li trovò in una tasca del cappotto. «La casa è molto bella», aggiunse dopo averli inforcati, mentre guardava in alto verso la facciata superiore della villetta. «Emana un senso di calore». «Dio onnipotente, sono sollevata! Per un istante ho pensato che stessi per dirmi che era infestata dagli spiriti!». La signora Perrin abbassò lo sguardo verso di lei. «Perché dovrei dirti una cosa simile?». Chris stava pensando a un’amica, un’attrice molto conosciuta, che aveva venduto la sua casa di Beverly Hills perché convinta che fosse abitata da fantasmi. «Non lo so», sorrise debolmente, «forse per quello che si dice di te. Stavo solo scherzando». «È davvero una casa elegante», la rassicurò la signora Perrin in tono piatto. «Ci sono già stata, sai, diverse volte». «Dici sul serio?». «Sì, era di proprietà di un ammiraglio, un mio amico. Ricevo ancora qualche sua lettera ogni tanto. Lo hanno rimandato in mare, poverino. Non so se quello che mi manca davvero è la sua compagnia o questa bella casa». Sorrise. «Ma spero che mi inviterai ancora». «Oh, Mary Jo, mi farebbe enormemente piacere averti ancora qui. Dico sul serio. Sei una donna davvero interessante». «Be’, se non altro sono la persona più sfacciata che conosci». «Oh, andiamo. Senti, chiamami, per favore. Facciamo la prossima settimana?». «Sì, mi piacerebbe sapere come procede con Regan». «Hai il mio numero?». «Sì, nella rubrica, a casa». Cosa c’è che non quadra?, si chiese Chris. C’era qualcosa di leggermente strano nel tono della sua voce. «Buonanotte allora», disse la signora Perrin, «e ancora grazie per la splendida serata». Prima che Chris potesse rispondere, la donna si allontanò rapidamente lungo il vialetto. Per un istante Chris restò a osservarla, poi si chiuse la porta alle spalle. Un’enorme stanchezza si impossessò di lei. Che notte!, pensò, davvero una lunga notte… Andò in soggiorno e si avvicinò a Willie, china sulla macchia di urina. Stava spazzolando energicamente il tappeto. «Ci ho messo aceto bianco», borbottò Willie. «Due volte». «Va via?». «Forse adesso sì», rispose la domestica. «Ancora non lo so. Stiamo a vedere». «No, non si può dire finché quella maledetta cosa non sarà asciutta». Ecco, osservazione brillante, bel colpo davvero. Cristo santissimo, piccola, vattene a nanna. «Su, lascia perdere adesso, Willie. Va pure a dormire». «No, finisco». «Okay, come vuoi. Grazie ancora. Buonanotte». «Buonanotte, signora». Chris cominciò a salire le scale con passi stanchi. «Il curry era grandioso, Willie. Tutti lo hanno trovato squisito». «Sì, grazie mille, signora». Chris diede uno sguardo in camera di Regan e vide che la bambina dormiva. Poi si ricordò della tavola Ouija. Avrebbe dovuto nasconderla? Dannazione, quanto è tetra la Perrin quando parla di questa roba! Ma ora Chris era consapevole che l’amico immaginario di Regan era patologico e dannoso. Sì, forse dovrei farla sparire. Indugiò ancora un istante. In piedi accanto al letto di Regan, mentre guardava la bambina addormentata, si ricordò di un incidente accaduto quando sua figlia aveva solo tre anni, la notte in cui Howard decise che la piccola era troppo grande per dormire ancora con il suo ciuccio di gomma, dal quale era ormai dipendente. Glielo aveva portato via quella notte stessa, e Regan aveva pianto incessantemente fino alle quattro del mattino, comportandosi poi in maniera irragionevole per giorni. Chris temeva adesso una reazione simile. Meglio aspettare fino a quando non avrò discusso tutta la faccenda con uno strizzacervelli. Fino a quel momento, inoltre, il Ritalin non aveva portato alcun miglioramento. Alla fine, decise di aspettare e stare a vedere. Chris si ritirò nella sua stanza, si poggiò esausta sul letto e cadde quasi immediatamente in un sonno profondo. Si svegliò poco dopo quando, appena cosciente, sentì le urla terribili e disperate. «Mamma, vieni qui, ho paura, vieni!». «Eccomi, tesoro, sto arrivando!». Si mise a correre nel corridoio per raggiungere la stanza di Regan. Lamenti. Grida. Rumori. Le molle del letto che gemevano. «Piccola, che succede?», esclamò Chris aprendo la porta, poi cercò l’interruttore della luce. Dio onnipotente! Regan era distesa sul letto, tesa, la faccia rigata dalle lacrime e pietrificata in una smorfia di terrore. Si teneva aggrappata stretta ai due lati del suo lettino. «Mamma, perché si muove? Perché trema così?», strillava. «Mamma, fermalo, fallo smettere! Ho paura! Ti prego, mamma, fallo smettere!». Il materasso del letto tremava violentemente, scosso avanti e indietro.
![](https://img.wattpad.com/cover/83828655-288-k148054.jpg)
STAI LEGGENDO
L'Esorcista
HorrorTutti i diritti sono esclusivamente riservati all'autore (William Peter Blatty) di quest'opera. Cosa accade alla piccola Regan? Cosa c'è che non va? Sua madre non riesce a spiegarsi il suo comportamento e i medici non trovano problemi nella sua test...