Parte Seconda. Cap. II

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Regan stava sdraiata con la schiena poggiata sul lettino da visita nello studio del dottor Klein, le braccia e le gambe abbandonate. Stringendo tra le mani il piede della bambina, il medico lo fletté verso la caviglia. Mantenne la pressione per qualche istante, poi all’improvviso lo lasciò. Il piede si rilassò, tornando nella posizione di partenza. Il procedimento venne ripetuto più volte, senza che i risultati mutassero. Klein sembrava contrariato. Quando Regan si mise di colpo a sedere e gli sputò in faccia, chiese a un’infermiera di restare nella stanza e tornò nel suo ufficio per parlare con Chris. Era il 26 aprile. Sia domenica che lunedì il medico era stato fuori città, e Chris era riuscita a contattarlo soltanto quella mattina per raccontargli quanto era accaduto la sera del ricevimento e la faccenda del letto che sussultava. «Il letto si stava realmente muovendo?». «Sì, si muoveva». «Quanto è durato?». «Non saprei. Forse dieci, forse quindici secondi. Insomma, questo è quanto ho visto io. Poi lei si è come irrigidita e ha bagnato il letto. O forse era già bagnato da prima, non lo so. Poi però tutto a un tratto si è addormentata come un sasso, profondamente, e fino al pomeriggio seguente non si è più svegliata». Il dottor Klein entrò nella stanza. Aveva un’espressione pensierosa. «Allora? Che succede a mia figlia?», chiese Chris, la voce segnata dall’ansia. Quando l’aveva ricevuta, Klein le aveva comunicato i suoi sospetti. Probabilmente le scosse al letto erano state provocate da un attacco di convulsioni cloniche, le aveva spiegato, da spasmi dovuti a un alternarsi di tensione e rilassamento dei muscoli. La forma cronica di questa patologia, le aveva detto il medico, era chiamata clono, e normalmente indicava una lesione cerebrale. «Ecco, il test risulta negativo», la informò il medico; poi prese a descriverle la procedura, spiegando che in casi di clono la flessione e poi il rilascio nei muscoli del piede avrebbe dovuto innescare una serie di contrazioni. Mentre prendeva posto alla sua scrivania, sembrava ancora piuttosto preoccupato. «Ha mai avuto una brutta caduta?». «Vuol dire se ha battuto la testa?», chiese Chris. «Sì, certo». «No, non che io sappia». «Particolari disturbi infantili?». «Solamente le malattie tipiche, orecchioni, morbillo, varicella». «Episodi di sonnambulismo?». «Prima dell’altra sera, no». «Cosa intende dire? Al ricevimento camminava nel sonno?». «Oh, credo di sì. Ancora non ricorda cosa è successo quella sera. E c’è anche dell’altro, a dire il vero, che non ricorda». «Qualcosa di recente?». Domenica mattina. Regan era ancora addormentata. Chiamata intercontinentale di Howard. «Come sta Rags?». «Grazie davvero per gli auguri del compleanno». «Ero incastrato, stavo in barca. Ora, Cristo santo, lasciami in pace, l’ho chiamata appena sono tornato in albergo». «Hai parlato con lei?». «Già, ecco perché ho pensato fosse meglio discuterne con te. Che diavolo succede a mia figlia?». «A cosa ti riferisci?». «Semplicemente al fatto che mi ha chiamato “succhiacazzi” e poi ha messo giù». Nel raccontare l’accaduto al dottor Klein, Chris aggiunse che, quando alla fine Regan si era svegliata, non rammentava né la telefonata né quanto era accaduto la sera del ricevimento. «Quindi probabilmente non stava mentendo quando diceva che i mobili si erano mossi», ipotizzò Klein. «Non la seguo». «Ecco, li ha sicuramente spostati lei, su questo non c’è dubbio; ma forse è successo durante uno di quei momenti in cui lei in effetti non era consapevole di quanto stava facendo. Vengono chiamati automatismi. Come uno stato di trance: il paziente non sa o non riesce a ricordare quello che ha fatto». «Dottore, sto però pensando una cosa. C’è una cassettiera in camera di Regan, massiccia, in tek. Peserà cinquanta chili. Insomma, come ha fatto a spostarla da sola?». «In patologie di questo tipo è molto comune che il paziente dimostri una forza straordinaria». «Davvero? E da dove le arriva?». Il medico si strinse nelle spalle. «Chi può dirlo? Non lo sappiamo». «Ora, oltre a quanto mi ha già raccontato», continuò, «ha notato altre stranezze nel suo comportamento?». «Ecco, è diventata molto fiacca, svogliata». «Strano», ripeté il dottore «Per lei, questa è davvero una stranezza. Anzi, aspetti! Ecco cosa! Si ricorda della tavola Ouija con cui giocava? Del capitano Howdy?». «L’amico immaginario», rispose il medico annuendo. «Esatto. Ecco, ora sente la sua voce», gli rivelò Chris. Klein si sporse verso la donna, le braccia poggiate sulla scrivania. Mentre Chris continuava il suo racconto, gli occhi attenti del medico si strinsero in atteggiamento di grande concentrazione, le pupille simili a punte di freccia. «Giusto ieri mattina», disse Chris, «l’ho sentita parlare con Howdy nella sua stanza. Insomma, lei parlava e poi sembrava aspettare una risposta, proprio come se stesse giocando con la tavola Ouija. Però quando sono entrata nella stanza, dottore, non c’era nessuna tavola, c’era solo Rags, e stava muovendo la testa, annuendo, come se fosse d’accordo con quanto le stava dicendo lui». «Pensa che lo vedesse?». «Credo di no. Aveva la testa leggermente inclinata da una parte, proprio come quando ascolta i suoi dischi». Il medico fece un cenno d’assenso col capo. Aveva un’aria pensierosa. «Sì, certamente, capisco. Qualche altro fenomeno simile? Vede delle cose che non ci sono? Sente degli odori?». «Odori», si ricordò Chris. «Continua a sentire un cattivo odore nella sua stanza». «Come di bruciato?». «Sì, esattamente!», esclamò Chris. «Coma fa a saperlo?». «Può essere il sintomo di un disturbo che colpisce l’attività chimico-elettrica del cervello. Nel caso di sua figlia, in corrispondenza del lobo temporale, qui, vede?». Con una mano si toccò la parte frontale del cranio. «Qui in alto, nella parte anteriore del cervello. Si tratta di un disturbo raro che provoca strane allucinazioni e normalmente comporta delle convulsioni. Credo che per questo sia diagnosticato così spesso come schizofrenia, ma non lo è. A causarlo è una lesione del lobo temporale. Per ora il test del clono non ha valore definitivo, non toglie ogni dubbio. Ecco, per questo, signora MacNeil, vorrei procedere con un EEG». «Cosa significa?». «Un elettroencefalogramma. Ci fornirà il grafico della sua attività cerebrale. Normalmente è un indicatore molto affidabile per anomalie del funzionamento o lesioni». «Ma lei crede che sia quel… lobo temporale?». «Ecco, sicuramente la sintomatologia corrisponde, signora MacNeil. Questa indolenza, per esempio, l’aggressività, comportamenti imbarazzanti, e in più gli automatismi. E ovviamente gli attacchi, quelle crisi che fanno sobbalzare il letto. Comunemente, è seguito da episodi di incontinenza o vomito, o entrambi, e poi da un sonno molto profondo». «Vuole farle subito questo esame?», gli domandò Chris. «Sì, credo sia meglio procedere immediatamente, ma prima sarà necessario darle dei sedativi. Se dovesse muoversi o agitarsi, il risultato del test potrebbe essere compromesso. Posso darle, diciamo, venticinque milligrammi di Librium?». «Dio santo, faccia quello che deve fare», rispose Chris, agitata. Accompagnò il medico nella sala delle visite. Quando Regan lo vide preparare l’iniezione, cominciò a urlare, riempiendo tutta la stanza di un diluvio di volgarità. «Oh, piccola, è per aiutarti!», la supplicò Chris, disperata. Tenne ferma Regan intanto che il dottor Klein le faceva l’iniezione. «Torno tra un istante», disse il medico con un cenno del capo, e mentre un’infermiera trasportava in sala l’apparecchio per l’EEG, si allontanò per ricevere un altro paziente. Quando tornò poco dopo, il Librium non aveva ancora fatto effetto. Klein sembrava meravigliato. «Le ho somministrato una dose piuttosto forte», sottolineò rivolto a Chris. Le iniettò altri venticinque milligrammi, poi lasciò la stanza. Al suo ritorno, trovò Regan docile e tranquilla. «Cosa sta facendo?», chiese Chris quando vide Klein applicare la soluzione salina e gli elettrodi sulla fronte e sulle tempie di Regan. «Ne sistemiamo quattro da ogni lato», le spiegò il medico, «questo ci permette di avere un tracciato delle onde cerebrali della parte destra e di quella sinistra, così possiamo confrontarle». «Confrontarle? Perché?». «Ecco, le incongruenze potrebbero essere significative. Per esempio, ho avuto un paziente che soffriva di allucinazioni», aggiunse Klein. «Vedeva delle cose, sentiva delle cose. Ovviamente erano cose inesistenti. Bene, comparando i due tracciati ho rilevato un’asimmetria e ho appurato che in effetti solo un lato della sua testa soffriva di allucinazioni». «Tutto questo è assurdo». «Le funzioni dell’occhio e dell’orecchio sinistro erano normali, solo la parte destra era interessata da allucinazioni visive e sonore. Allora, vediamo di cominciare». Mise in funzione il macchinario. Indicando le onde tracciate sul monitor fluorescente, il dottor Klein provò a spiegare. «Adesso osserviamo i due settori simultaneamente. Quello che voglio rilevare sono onde appuntite, anomale». Con l’indice provò a modellare nell’aria una forma. «In particolare onde che presentino grande ampiezza, con frequenza da quattro a otto al secondo. Ecco, questo è il lobo temporale», continuò a descrivere per Chris. Esaminò con attenzione il tracciato delle onde celebrali, ma non rilevò nessuna disritmia. Nessuna cresta. Nessuna curva stranamente schiacciata. E quando procedette al confronto dei grafici, gli esiti furono ancora una volta negativi. Klein aggrottò le sopracciglia. Non riusciva a spiegarsi quei risultati. Provò a ripetere l’esame, ma il risultato fu identico. Dopo avere condotto nella saletta un’infermiera perché assistesse Regan, tornò nel suo ufficio con Chris. «Allora, che succede?», gli domandò lei. Il dottore era poggiato sul bordo della sua scrivania. Aveva un’espressione pensierosa. «Ecco, l’EEG avrebbe dovuto confermare che sua figlia ha questo disturbo, ma l’assenza di disritmia non esclude, comunque, che lo abbia. Potrebbe trattarsi di una forma di isteria, ma il tipo di reazione prima e dopo le convulsioni è stato eccessivamente forte». La fronte di Chris si riempì di piccole rughe. «Dottore, lei continua a parlarmi di… convulsioni. Può dirmi esattamente di quale malattia soffre mia figlia?». «Non si tratta di una malattia», rispose lui in tono calmo. «Va bene, allora come la vuole chiamare? Precisamente, voglio dire». «Lei la conosce sotto il nome di epilessia, signora MacNeil». «Oh, santo cielo». Chris si abbandonò sulla sedia. «Aspetti, andiamo al punto», cercò di rassicurarla Klein, «capisco che, come la maggior parte della gente, anche lei abbia un’idea esagerata dell’epilessia e forse infarcita di leggende sul tema». «Ma non si tratta di una malattia genetica?». «Ecco uno dei miti infondati», le spiegò con calma Klein, «questo perlomeno è quanto pensano molti medici. Guardi che, in termini pratici, chiunque può essere soggetto a crisi convulsive. La maggior parte di noi è nata con una capacità di resistenza alle convulsioni piuttosto alta, alcuni invece con una più bassa. Per questo la differenza tra lei e una persona affetta da epilessia non è questione di presenza o assenza di un disturbo, ma di gradualità. Tutto qui, solo un fattore di gradi. Non siamo di fronte a una malattia». «E allora che cos’è? Un’orribile allucinazione?». «Soltanto una disfunzione, un disturbo perfettamente controllabile. E ci sono diverse casistiche, signora MacNeil, davvero tante. Per esempio, lei adesso siede qui di fronte a me e, mettiamo caso, sembra assente e le sfugge qualcosa di quello che le sto dicendo. Bene, anche questa è una forma di epilessia, signora MacNeil. È così, un attacco di epilessia vero e proprio». «Sì, come vuole, ma questo non è il caso di Regan», replicò Chris, «e come mai è venuto fuori così all’improvviso?». «Mi ascolti, non abbiamo ancora certezze su cosa abbia sua figlia, e le posso garantire che molto probabilmente aveva ragione lei all’inizio, potrebbe trattarsi di un problema psicosomatico. In ogni caso, io ho le mie riserve. Voglio però rispondere alla sua domanda: esistono numerose alterazioni delle funzioni cerebrali che possono scatenare una reazione epilettica. Può trattarsi di preoccupazione, stanchezza, stress emotivo o persino di una particolare nota di uno strumento musicale. Per esempio, ho avuto in cura un paziente che non ha mai avuto una crisi se non sul bus quando si trovava a un isolato da casa sua. Bene, soltanto in seguito abbiamo scoperto che cosa provocasse la reazione epilettica: il luccichio della luce del sole su una palizzata verniciata, poi riflesso sul vetro dell’autobus. In altre ore del giorno, o se la velocità del bus era differente, il paziente non presentava crisi convulsive, capisce? Aveva una lesione al cervello, un danno lasciato da una malattia infantile. Nel caso di sua figlia, il danno dovrebbe essere localizzato nella parte anteriore, la zona superiore del lobo temporale. Quando questa sezione è colpita da un determinato impulso elettrico con una particolare frequenza e ampiezza d’onda, un improvviso malfunzionamento nella parte centrale del lobo innesca la reazione anomala. Mi segue?». «Credo di sì», sospirò Chris, sconfortata. «Però, dottore, a dir la verità, non riesco a capire come sia possibile che la sua personalità sia così totalmente cambiata». «Nelle lesioni del lobo temporale è un fenomeno comune, e può durare giorni, addirittura settimane. Non è raro riscontrare comportamenti distruttivi o addirittura criminali. Si tratta di alterazioni della personalità così forti che, in effetti, due o trecento anni fa si pensava che le persone con disturbi al lobo temporale fossero possedute dal demonio». «Cosa?». «Controllate dalla mente del diavolo. Capisce, una specie di versione superstiziosa dei disturbi della personalità». Chris chiuse gli occhi e poggiò la fronte sul pugno chiuso. «Ascolti, mi dica qualcosa di buono, la prego», mormorò. «Adesso non si allarmi, per favore. Se si dovesse trattare di una lesione, per certi versi saremmo fortunati. Tutto quello che dovremmo fare è riparare il danno». «Oh, magnifico». «Oppure potrebbe essere soltanto un problema di pressione sanguigna nel cervello. Senta, mi sarebbero utili delle radiografie del cranio. C’è un radiologo in questo edificio, e forse riesco a farla visitare anche adesso. Vuole che lo chiami?». «Oddio, certo, lo chiami subito». Klein fece la telefonata e organizzò tutto. Avrebbero fatto gli esami immediatamente, gli dissero. Mise giù la cornetta e cominciò a scrivere una ricetta. «Stanza numero 21 al secondo piano. Io le telefonerò domani, al massimo giovedì. Voglio sentire anche il parere di un neurologo. Intanto, sospendiamo il Ritalin. Proviamo per qualche giorno con il Librium». Strappò il foglio dal blocco delle ricette e lo porse a Chris al di là del tavolo. «Cercherei di starle il più vicino possibile, signora MacNeil. In questi stati di trance, se di questo si tratta, c’è sempre la possibilità che si faccia del male da sola. La sua stanza da letto è vicina a quella della bambina?». «Sì». «Benissimo. Al piano terra?». «No, al primo piano». «Ci sono delle grandi finestre?». «Sì, c’è ne è una. Perché me lo chiede?». «Ecco, le consiglio di tenerla sempre chiusa, meglio ancora di bloccarla. Durante una crisi potrebbe cercare di buttarsi di sotto. Una volta avevo un…». «…un paziente», concluse Chris con un accenno di sorriso stanco, sfinito. Il medico sorrise. «Già. Penso di averne tanti, non trova?». «Giusto un po’». Chris appoggiò il capo sulle mani, poi si sporse in avanti con aria pensosa. «Dottore, mi è appena venuta in mente un’altra cosa». «Di che si tratta?». «Lei ha detto che dopo un attacco dovrebbe cadere subito in un sonno profondo. Proprio quello che è successo sabato. Ho capito bene, ha detto questo?». «Sì, certo», annuì Klein. «È quello che ho detto». «Quindi com’è possibile che tutte le volte che ha detto che il letto si stava muovendo era sempre perfettamente sveglia?». «Questo non me lo aveva detto». «Ecco, è così. Sembrava stare bene. È semplicemente venuta nella mia stanza e mi ha chiesto di poter dormire nel mio letto». «Ha bagnato il letto? Ha vomitato?». Chris scosse la testa. «Stava bene». Klein si fece scuro in volto, poi cominciò a mordicchiarsi il labbro. «Allora, aspettiamo le radiografie», le disse alla fine. Chris accompagnò Regan dal radiologo. Si sentiva inaridita, svuotata. Rimase accanto alla bambina durante le radiografie, poi la riportò a casa. Dopo la seconda iniezione, Regan era rimasta stranamente silenziosa. Chris cercò di stimolarla un po’. «Ti va di giocare a monopoli o a qualcos’altro?». La bambina scosse la testa, poi guardò la madre con occhi assenti, infinitamente remoti. «Ho tanto sonno», disse con una voce lontana come i suoi occhi. Poi, voltandosi, prese a salire le scale diretta alla sua stanza. Deve essere l’effetto del Librium, pensò Chris osservandola. Poi si lasciò sfuggire un sospiro e andò in cucina. Si versò un po’ di caffè e si sedette al tavolo con Sharon. «Com’è andata?». «Oh, santo cielo!». Chris lasciò cadere la ricetta sul tavolo. «Meglio chiamare e farsi portare le medicine», disse, poi si fermò a raccontare alla segretaria quanto le aveva detto il dottor Klein. «Quando sono occupata o sono via per qualche motivo, dovresti tenere d’occhio Regan, Sharon. Il medico…». Un pensiero improvviso. «Ora che mi ricordo…». Si alzò dal tavolo e andò nella camera della figlia. La trovò sotto le coperte, sembrava addormentata. Chris verificò che gli infissi fossero ben chiusi. La finestra si affacciava sul lato della casa, appena sopra le ripide scale che portavano, più in basso, alla M Street. Meglio chiamare un fabbro, immediatamente. Tornò in cucina e aggiunse alla lista delle cose da fare, a cui Sharon stava lavorando, anche questa. Poi diede a Willie indicazioni per la cena e si affrettò a richiamare il suo agente, che l’aveva cercata. «Allora, che mi dici della sceneggiatura?», chiese lui con interesse. «Sì, è grandiosa, Ed, accettiamo», gli disse. «Quando si gira?». «Vediamo, il tuo episodio a luglio, quindi bisogna cominciare a lavorarci immediatamente». «Vuoi dire adesso?». «Sì, adesso. Non si tratta di recitare, Chris, c’è tutta la fase di preproduzione che ti riguarda. Devi incontrare lo scenografo, il costumista, il truccatore, il produttore. Poi ti devi trovare un direttore della fotografia, un montatore e organizzare le riprese. Sai come funziona, Chris, andiamo». «Oh, merda». «C’è qualcosa che non va?». «Sì, c’è qualcosa che non va». «Che succede?». «Regan sta molto male». «Oh, mi dispiace. Di che si tratta?». «Ancora non mi sanno dire niente di preciso. Sono in attesa degli esiti di alcuni esami. Capiscimi, Ed, non posso lasciarla sola». «Be’, ma chi ha detto che devi lasciarla?». «No, non mi hai capito, Ed. Devo stare a casa con lei. Ha bisogno di tutte le mie attenzioni. Senti, non posso spiegarti ora, è troppo complicato. Perché non rimandiamo, solo di qualche settimana?». «Non possiamo, Chris. La produzione ha intenzione di far uscire il film nelle sale per Natale, e credo che lo stiano già promuovendo». «Oh, Cristo santo Ed, possono aspettare quindici giorni. Lo sai, andiamo!». «Senti, mi hai fatto una testa così con questa storia che volevi dirigere un film, e adesso che…». «Va bene, hai ragione», lo interruppe. «Ascoltami, lo voglio davvero, e tanto. Ma tu devi parlare con loro e spiegare che ho bisogno di un po’ più di tempo». «Ma se lo faccio, salta tutto. Ora, ecco cosa penso. Stammi a sentire: non è una novità che non vogliano te a tutti i costi. Lo fanno soltanto per Moore, e credo che se adesso vanno da lui e gli dicono che non sei poi così convinta di accettare, sarà lui stesso a tirarsi fuori. Insomma, Chris, cerca di ragionare. Fai quello che vuoi, non mi interessa. In questa cosa, a meno che non venga fuori un successo di botteghino, non ci sono grosse cifre in ballo. Ma se insisti, ti avverto: chiamo per posticipare e qui salta tutto. Adesso, dimmelo chiaramente: cosa devo dire?». «Io… accidenti!», sospirò Chris. «Capisco, non è facile». «No, non lo è. Ascoltami…». Si fermò un attimo a pensare, poi scosse la testa. «Ed, devono semplicemente aspettare», aggiunse priva di energie. «La decisione è tua». «Lo so. Tienimi informata». «Lo farò, ti richiamo presto. Non darci troppo peso». «Nemmeno tu, Ed. Ci sentiamo». Quando abbassò la cornetta era davvero molto giù di morale. Accese una sigaretta. «Ho parlato con Howard, te l’avevo detto?», disse poi a Sharon. «No, quando? Gli hai parlato della situazione con Rags?». «Sì, gliel’ho raccontato. Gli ho detto che dovrebbe venire qui a trovarla». «Verrà?». «Non lo so, ma non ci faccio troppo affidamento», rispose Chris. «Be’, potrebbe almeno sforzarsi un po’». «Già, potrebbe», sospirò Chris. «Ma bisogna capire la sua frustrazione, Sharon. È questo, io lo so». «Che genere di frustrazione?». «Oh, tutta la storia del “Signor Chris MacNeil”. E Rags faceva parte di questa storia. Quando è arrivata lei, lui è stato tagliato fuori. Io e Rags sulle copertine delle riviste, io e Rags sempre al centro della scena, la madre e la figlia, le due stelle gemelle». Con un gesto nervoso dell’indice scrollò la cenere. «Cazzate, ma chi può saperlo? È tutto così confuso. Però è difficile prendersela con lui, Shar, io davvero non ci riesco». Allungò un braccio per raggiungere un libro poggiato sul tavolo accanto al gomito di Sharon. «Cosa leggi?». «Scusa? Ah, questo. È per te, mi ero dimenticata di dartelo. L’ha portato la signora Perrin». «È stata qui?». «Sì, è passata stamattina. Ha detto che le dispiaceva di non averti trovato in casa e che sarebbe stata fuori città per qualche giorno. Appena rientra ti chiamerà». Chris assentì col capo e diede un’occhiata al titolo: Studi sull’adorazione del diavolo e sui relativi fenomeni dell’occulto. Aprì il libro e vi trovò un messaggio di Mary Jo Perrin: Carissima Chris, sono capitata alla biblioteca dell’università e ho preso questo libro per te. Ci sono alcuni capitoli dedicati alle messe nere. Lo dovresti leggere tutto, comunque; penso che troverai particolarmente interessanti anche le altre sezioni. Spero di vederti presto, Mary Jo «Che cara», disse Chris. «Sì, molto dolce», concordò Sharon. Chris fece scorrere le pagine con l’indice. «Che c’è di interessante sulle messe nere? Roba da brividi?». «Non lo so», rispose Sharon. «Non l’ho nemmeno aperto». «Niente di utile per rasserenarsi, non credi?». Sharon si stiracchiò e si lasciò sfuggire uno sbadiglio. «Oh, a me questa roba mi annoia». «E il tuo complesso di Gesù? Dov’è finito?». «Oh, lascia perdere». Chris fece scivolare il libro sul tavolo verso Sharon. «Tieni, leggilo e raccontami che dice». «Bene, mi toccano pure gli incubi?». «Per cosa credi che ti paghi?». «Per farmi vomitare sangue?». «A quello ci penso da sola», ribatté Chris aprendo il giornale. «Tutto quello che devi fare è ingoiare i consigli del tuo commercialista e poi vedi, c’è da sputare sangue per settimane». Irritata, ripose il giornale accanto a sé. «Potresti accendere la radio, Sharon? Sentiamo il notiziario». Sharon cenò a casa con Chris, poi andò al suo appuntamento. Si dimenticò del libro. Chris sedette al tavolo con l’idea di leggerlo, ma poi si sentì davvero troppo stanca. Lo lasciò lì e salì al piano di sopra. Andò a dare un’occhiata a Regan. La bambina sembrava ancora addormentata sotto le coperte, come se non si fosse mai svegliata. Chris controllò un’altra volta la finestra. Poi, uscendo, si premurò di lasciare la porta bene aperta. Lo stesso fece con quella della sua camera prima di mettersi a letto. Per un po’ guardò un film che davano in televisione, infine si addormentò. Il giorno seguente, il libro sull’adorazione del diavolo era sparito. Nessuno ci fece caso.

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