«Ma come è possibile?» chiese Ryan.
«Non lo so.»
Mi massaggiavo il mento da almeno dieci minuti, e di lì a poco l'avrei consumato.
«Tua.. madre, non li ha visti in faccia? Non ha saputo darti un indizio per..»
«Ryan, non l'hai vista! Piangeva, si dimenava e urlava sempre la stessa frase», esitai. «L'hanno preso», dissi combattendo col nodo che avevo in gola.
Non sapevo se ci avessero trovati per davvero, o che la mia smania di vendetta stesse ingigantendo una situazione che non era poi così grande.
Ma chi poteva avercela con noi? Non davamo mai fastidio a nessuno, anzi, davamo pochissima confidenza al vicinato. Chi poteva aver fatto una cosa del genere? Certo, gli stessi che non si erano fatti scrupoli ad ammazzare due persone a sangue freddo.
Ne era sicura, erano loro.
Ma come mi avevano trovata? Forse avevo sbagliato qualcosa nel torturare Pine?
«Carter? Allora?» Ryan mi riportò alla realtà.
«Cosa?»
«Che facciamo ora?»
Riflettei sul 'noi' sottinteso per un nano secondo, poi portai la mia mente sul da farsi.
Non avevo elementi sufficienti per ideare un piano. Avevo solo un'informazione: la fabbrica.
«Andiamo!» lo incitai a seguirmi.
Mi diressi verso il parcheggio pubblico a passo svelto.
«Aspetta, aspetta! Ma dove andiamo?» mi tirò il braccio, ma mi divincolai senza sembrare troppo rude. Infondo, mi stava aiutando.
«Forse so dove possiamo trovare l'uomo della cicatrice! Ma.. non fare domande. Cammina e basta, okay?»
«Prendiamo la mia macchina, no?» aveva il fiatone.
Mi bloccai e strinsi forte gli occhi. Avevo sbagliato a chiamare lui. Che ne sapeva lui di come funzionava? E a dirla tutta, non mi andava neanche di farglielo scoprire. Non si meritava una vita come la mia. Era un bravo ragazzo, anche se molto stupido.
«Ci metteranno un millesimo di secondo a rintracciare la tua auto, e poi te. Ne rubiamo una!» e riniziai a camminare.
«Cosa?» sbottò.
Arrivati al parcheggio, optai per una Fiat 500 L.
Scassinai la portiera e dissi a Ryan di sederai dal lato del passeggero.
Dopo aver distaccato il connettore della chiave al cruscotto, collegai il filo rosso col filo rosso, e quello blu con quello blu. Poi feci contatto tra chiave uno e chiave due col filo nero. L'auto rombò e si accese. Rimisi tutto a posto, e mi infilai nella macchina.
Prima di uscire dalla città, mi fermai in un negozio e rubai due passamontagna e un paio di cortellini.
Nel tragitto restai in silenzio, cercando di ricordare la grandezza della fabbrica, o le varie uscite d'emergenza.
Ma poi, mi resi conto del grande sbaglio che avevo commesso: stavo mettendo la vita di Ryan a rischio. Quanto ero egoista!
Arrivati nel posto, mi fermai abbastanza lontano dalla fabbrica grande e scura che troneggiava davanti a noi.
«Mi dispiace per averti messo in questa situazione. Farò in modo che non ti accada nulla», dissi.
Ryan annuì, e fece per prendere il passamontagna dal cruscotto, ma lo fermai. Lui mi guardò e aggrottò la fronte.
«Tu resti qui», sussurrai.
Si liberò dalla presa con uno strattone. «Cosa? Non se ne parla!» ruggì.
«Sì! Non mi servi a niente da morto, hai capito?» strinsi i denti così forte che ebbi paura di romperli.
«Ci sono dentro anche io, Carter!»
«Sì, e ho sbagliato. Ma resterai comunque qui. Mi avviserai se arriva o se esce qualcuno da lì dentro.»
Si imbronciò e, se non mi fossi trovata in quella situazione, l'avrei trovato addirittura divertente.
Scesi dall'auto, e prima di chiudere la portiera, lanciai un'occhiata a Ryan.
Mi slegai i capelli e mi infilai il passamontagna a mo' di cappello. Poi presi la mia Glock dal retro dei pantaloni.
Respirai profondamente, e m'incamminai verso la fabbrica che, più mi avvicinavo, più sembrava crescere.
La struttura era semi-bruciata e al nome - a gran caratteri - mancavano parecchie lettere. Non si sentiva niente; c'era un silenzio tombale.
Una volta vicina abbastanza, girai per tutto il perimetro e contai due uscite più l'entrata principale.
Provai ad origliare oltre il grande muro ruvido e freddo, ma non riuscii a sentire niente.
Decisi di entrare dalla prima porta d'emergenza che avevo visto. Abbassai il passamontagna e entrai, attenta che nessuno fosse lì pronto a darmi un colpo in testa.
Le luci erano quasi tutte accese. Il fetore che si sentiva mi riempì i polmoni.
Non riuscivo a vedere niente a causa del grande muro di casse bianche e rosse davanti a me. Mi nascosi dietro di esse, subito dopo aver chiuso piano la porta.
Ero in cerca di una pila di casse più bassa, così che potessi vedere qualcosa, quando sentii un brusio.
Non ero sola. E ne fui felice.
Camminai di soppiatto e mi nascosi dietro due casse. Mi sporsi oltre il bordo e davanti a me apparì una grande sala; per gran parte vuota, fatta eccezione per i lati che sfoggiavano enormi macchine industriali.
Nella sala erano sparpagliati uomini armati di Heckler & Koch MP5.
Ma uno solo attirò la mia totale attenzione. Avevo l'impressione di averlo già visto da qualche parte. Mi concentrai sui lineamenti del viso, su i suoi muscoli, e sul colore dei capelli: sembravano quasi bianchi.
Ebbi un sussulto quando sentii lo squillo di un telefono.
«Si?»
Quella voce mi portò indietro nel tempo, a una notte di dieci anni fa.
"Allora non hai capito, se non ci dai quei codici di tua spontanea volontà, prima tu ucciderò e poi mi metterò a cercarli. Ci vorrà più del previsto, ma di tempo ne ho in abbondanza."
John.
Il mio cuore mancò di un battito e smisi di respirare. Sentivo la rabbia che mi invadeva tutto il corpo, come un'infezione.
Presi anche l'altra pistola, e mi preparai a fare fuori quel bastardo. Ne avevo trovato uno. Finalmente.
Sarebbe morto per ultimo.
Un tonfo alle mie spalle mi fece girare, puntando entrambe le Glock in quella direzione.
Ai piedi di Ryan - che aveva il fiatone - giaceva un corpo e a pochi centimetri c'era un mitra.
Sgranai gli occhi, incapace di dare un senso a quell'immagine. Ma lo stupore si tramutò in rabbia e paura. Mi aveva disubbidito, e questo mi faceva incazzare. Paura.. non poteva reggere uno scontro a fuoco, e io dovevo essere super concentrata. Non lo sarei stat affatto; avrei pensato a difendere lui. Gli stronzi se ne sarebbero accorti, e avrebbero puntato su quel punto debole. Merda!
I brusii aumentarono, e sentii le sicure dei mitra venir tolte.
Ryan si accasciò dietro delle casse lontane da me.
Cazzo! Non volevo che morisse, ma questa storia aveva preso una brutta piega e io conoscevo il finale.
Controllai che gli uomini non si fossero mossi, e così fu: si guardavano solo intorno.
Lanciai a Ryan uno sguardo di fuoco. «Ti avevo detto di rimanere in macchina!» sussurrai a denti stretti.
L'espressione di lui era impassibile, non era per niente spaventato. Anzi, si guardava in giro, controllava che nessuno si avvicinasse.
Era davvero incredibile.
Mi arresi. «D'accordo! Allora, muoviti svelto come ti ho mostrato e mira ai lati. Ovviamente se te la senti di sparare.. é più tost..»
«Carter!» mi sgridò ma con un filo di voce, quasi non riuscii a sentirlo.
Mi fermai ad ascoltare: i brusii erano cessati, venendo sostituiti da leggere e cauti passi.
Ci siamo!, pensai.
«Ryan!» mi sfilai il passamontagna e glielo lanciai. «Mettilo.»
Chiusi gli occhi e respirai profondamente.
«Quello grosso e biondo, è mio!» gli dissi.
Un secondo dopo era allo scoperto a sparare raffiche di proiettili.
Risposero subito al fuoco. I suoni che emettevano i proiettili contro le casse erano assordanti.
Sparai diversi colpi, poi mi nascosi dietro le casse. Lancia un'occhiata veloce a Ryan: sparava e si faceva scudo con le casse.
Ritornai concentrata sul da farsi. Mi alzai e mi mossi veloce, saltando di cassa in cassa per evitare i colpi.
Cercai con lo sguardo l'uomo biondo. Era lontano, verso l'ingresso principale. Tirò fuori due valigette da una cassa.
Merda! Scappava!
Corsi verso di lui, sparando a tutto quello che mi si parava davanti.
Una fitta di dolore alla nuca mi fece fermare. Uno stronzo mi tirava per i capelli.
Lo colpii con la pistola dritto sul naso. Lo presi per le spalle, spostandolo davanti a me. Cinque colpi nel petto lo uccisero. Prima che cadesse a terra, sparai a colui che aveva ucciso il compagno per sbaglio.
Riportai la mia attenzione sulla mia preda. Alzai la Glock davanti a me e premetti il grilletto. Il proiettile si piantò nella sua spalla, facendo cadere una delle valigette.
Emise un grugnito, poi si girò verso di me e si rabbiò. Buttò l'altra valigetta in terra e prese la pistola sparando un colpo.
Fui più veloce di lui.
Rotolai verso un grosso macchinario, che tremò per i diversi colpi che stava prendendo per via dei proiettili.
Sbirciai oltre il ferro duro e freddo, e vidi che se la stava dando a gambe.
Iniziai a correre anch'io e presto ci trovammo fuori nel buio.
Sparai un altro colpo, che lo mancò. Poi un altro che centrò la mano.
Urlò e si fermò, stringendosi forte la mano ferita.
«Chi cazzo sei? Che cazzo vuoi?» gridò.
Smisi di correre e mi fermai davanti a lui, puntandogli la pistola contro. Piegai la testa di lato.
«Quando uccidi uno Shoe, assicurati di averli uccisi tutti», storsi la bocca.
Lui sgranò gli occhi, mimando con la bocca un "non è possibile".
«Brutta troia!» disse mentre si avvicinava.
Gli sparai alla gamba sinistra. Si bloccò e imprecò.
«Dimmi come si chiama!» strillai.
«Non ti dirò un cazzo.»
«Dimmi lo stronzo con la cicatrice come si chiama!» partì un altro proiettile che si conficcò nella sua spalla.
«Brucia il culo quando ti ammazzano i genitori come cani bastardi, eh Billy?» sul suo viso apparve un ghigno. Lo stesso di dieci anni fa.
Mi si appannò la vista, i pensieri. Aprii la bocca e lanciai un urlo, ma non sentii nulla all'infuori del colpo che gli si piantò in mezzo agli occhi. Cadde a terra, privo di vita.
Silenzio. Tutto intorno sembrò fermarsi. Rimasi lì, immobile. Ma non ero davvero lì. La mia mente era in camera mia, la mia vecchia casa. Guardavo l'esecuzione dei miei genitori. Poi la scena cambiò; ero nella mia casa attuale. Ray mi era corso incontro, sussurrandomi che mi voleva bene.
Poi di nuovo il buio.
Un urlo straziante ruppe quel silenzio. Combattei contro me stessa, cercando di riacquistare il controllo. Mi precipitai all'interno della fabbrica.
Quando entrai Ryan era a terra e urlava. Su di lui c'era un uomo armato che stava per dargli il colpo di grazia. Lo colpii veloce come il vento: tre colpi al petto.
Sbatté contro il pavimento, inerme, mentre io mi accasciavo accanto a Ryan, cercando di capire dove l'avesse colpito.
«Il.. il.. f-f-fianco», balbettò.
Trovai la ferita, e premetti forte entrambe le mani. Lui urlò di nuovo.
«Alzati! Dobbiamo andarcene di qui», lo aiutai ad alzarsi, facendolo poi appoggiare a una cassa. Dopodiché corsi verso le valigette. Ne aprii una che conteneva soldi. Aprii l'altra e vi trovai all'interno un computer. Le presi entrambe e tornai da Ryan.
«Tieni premuta la mano sul fianco! Forza!»
Gli presi il braccio libero e lo feci appoggiare su di me. Ci dirigemmo veloci verso la macchina. Una volta sistemato Ryan salii anch'io e sfrecciai via come un razzo.
Ryan ansimava. Gli sfilai il passamontagna e mi accorsi che aveva lo sguardo fisso nel vuoto, ed era sudato.
«Ryan! Ryan!» schioccai le dita davanti al suo viso. «Occhi su di me! Concentrati su di me!» strillai.
Si era irrigidito, ma provò ad annuire lo stesso.
E ora dove diavolo lo portavo?
Pensa, pensa, pensa!, gridai mentalmente.
Non potevo portarlo a casa, Babi avrebbe fatto troppe domande. Casa sua, era da escludere. Dove cazzo lo portavo?
D'un tratto un'idea si fece strada tra i miei pensieri. E se non è vuota? Valeva la pena di provare!
Schiacciai l'acceleratore tanto che la velocità mi spinse contro il sedile.
Spostavo lo sguardo dalla strada a Ryan e viceversa. Era tutta colpa mia! Non avrei dovuto portarlo con me.
Arrivata a destinazione spensi l'auto, e mi accertai che Ryan non si fosse addormentato.
«Rimani sveglio!» sussurrai.
Le luci all'interno della casa erano spente. Sbirciai dalla finestra e ebbi un tuffo al cuore. Non era cambiato niente. Era tutto come lo avevo lasciato, fatta eccezione per i teli bianchi.
Non vidi cartelli per la vendita, e ne fui sollevata.
Girai la maniglia e trovai la porta aperta. Trattenni il respiro ed entrai. L'angoscia che avanzava dentro di me, ebbe la meglio sulla ragione.
Mi appoggiai al muro. Non smettevo di guardare il punto in cui erano stati assassinati miei genitori.
Ebbi l'impulso di scappare via da la'. Ora quella era la casa degli orrori, dei ricordi più bui.
Uscii veloce, passandomi una mano sulla fronte. Poi mi ricordai di Ryan, agonizzante nella macchina.
Senza pensarci, lo aiutai a scendere ed entrare in casa. Entrammo nella cucina, anch'essa uguale a dieci anni fa. Tolsi il telo dal tavolo, e dissi a Ryan di sdraiarsi e togliersi la maglia.
Guardai la ferita: il sangue sgorgava, e la carne lacerata era di un rosso vivo. Dovevo estrarre il proiettile, ma dovevo prima disinfettare sia le mie mani che la ferita.
Se la memoria non m'ingannava, il mio.. papà, aveva delle bottiglie Grappa nascoste.
La mamma gli diceva sempre che beveva troppo, e una sera decise di buttare via tutto il liquore che c'era in casa. Ma papà non si dava per vinto; infatti, lo scoprì mentre nascondeva il liquore appena acquistato. Mi fece promettere di non raccontarlo alla mamma. E fu proprio in quell'occasione che mi diede l'anello. Lo accarezzai piano, e cercai di scacciare quei ricordi così dolorosi. Non potevo distrarmi proprio ora.
Aprii i mobili che erano tutti vuoti.
«Ryan! Forza parlami!» dissi.
«Car-r-rter.»
«Andiamo! Allora, sei figlio unico? Parlami della tua famiglia, su!» mentre improvvisavo continuavo a cercare quelle cavolo di bottiglie.
«F-figlio unico. Genitori d-d-divorziati», tremava tanto da non riuscire a parlare.
«Tutto qui? Puoi fare di meglio Amnell.»
Dovevo tenerlo sveglio, non doveva addormentarsi. Quindi sparavo frasi a caso.
«Trovata!» urlai.
Mi avvicinai al tavolo e lo feci mettere sul fianco buono.
«Ok, Amnell. Parli tanto da farmi venire il mal di testa, e ora non hai niente da dire?» scherzai.
Lui sorrise ma non parlò e continuò a tremare.
Mi versai il liquido sulle mani. «Ora devi stare fermo. Non ti devi muovere, Ryan. Se vuoi puoi mantenerti al tavolo», lo avvertii.
Obbedì all'instante.
Sapevamo entrambi che questo avrebbe fatto male.
Gli versai delicatamente il liquido sulla ferita, e sussultai quando lui urlò. Quell'urlo mi perforò i timpani.
Presi il coltellino dalla scarpa. «Mi raccomando. Non ti muovere.»
Posai una mano sulla sua schiena, e mi preparai a infilargli il coltellino nel fianco per tirare fuori la pallottola.
Le urla di Ryan riecheggiavano per la casa. Volevo che finisse al più presto; era straziante sentirlo gridare così.
«Dove sei, brutta stronza?!» ringhiai.
Cercai ancora col coltellino, più a fondo.
«Eccoti, puttana!» sospirai di sollievo, estraendo la pallottola.
Ryan ansimava violentemente sotto le mie mani.
Buttai la piccola stronza nel lavandino e mi sciacquai le mani con la Grappa.
Presi un cucchiaio e lo sterilizzai con il fuoco dell'accendino che avevo in tasca.
«È tutto apposto. È finita. Solo due secondi e starai bene.»
Detto ciò, piantai il cucchiaio rovente sul suo fianco. Le grida riniziarono, e più forti di prima.
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Revenge [ COMPLETA - DA REVISIONARE ]
Azione" «Non me ne importa un cazzo. Per me, possono parlare fino a quando non scoppiano loro le corde vocali. Non sanno quanto io mi rompa il culo. Non lo faccio per me, ma per lui. Magari non è il modo migliore per aiutarlo, ma so fare questo. Rubo, se...