Il Conte
Quando il garzone del sellaio mi chiamò, i cavalli da viaggio erano già pronti a partire, e le borracce, con le sacche dei viveri erano appese con le funi alla sella dei massicci equini.
Partii, con un gruppo di sei cavalieri, la mattina, dopo che la luce dell'alba aveva inondato i corridoi del palazzo di pietra e di marmi costruito quando mio padre era pronto per governare.
L'alba era stata sostituita dal Mezzogiorno. Il sole era alto nel cielo, e l'ombra degli alberi che cingevano la stradina deserta di terra battuta ci piombava addosso pesante.
Il calore del Mezzogiorno aleggiava nell'aria autunnale, e gli zoccoli dei cavalli frantumavano le pietruzze illuminate dai radi raggi che penetravano le fronde. Camminammo, con alcune soste e qualche cambio di cavalli, per qualche giorno.
Il sole non troneggiava più nel cielo, e la luna cominciava a farsi strada in quel cielo senza nuvole, sbiadita, ma pronta per regnare sulla notte, quando arrivammo ad una fattoria, in una valle che si apriva alle pendici di qualche bassa collina.
L'indovino aveva descritto una scena simile, e un sorriso si stampò sul mio volto. La natura invadeva gli spazi, e una casetta di legno rosa riempiva lo sfondo insieme ad un granaio di legno scuro. Gli animali razzolavano nel campo: polli, pecore, alpaca e mucche si cibavano di quella bassa erba verde che ricopriva la terra, che sfiorava il vento lungo le rive di un modesto corso d'acqua che precedeva un boschetto di alberi dello stesso colore del granaio.
Il cinguettio degli uccelli del bosco era l'unico suono a far sì che quella valle non fosse un deserto muto.
Ci avvicinammo alla casetta a passo lento, e arrivammo di fronte alla porta di legno preceduta da una piccola veranda. Tirai una cordicella sottile che fece tintinnare una campanella, e una voce da dentro urlò Seinlef! Ma nessuna risposta. Sentii uno scricchiolio, forse di una sedia, e di nuovo Seinlef, sei tu? La porta è aperta! Ed io risposi:
«Buonasera, è permesso? Il mio nome è Gràien, Conte di Mùria. Vorrei parlare di vostro figlio.»
«Entrate, prego. Mio figlio non è in casa, ma possiamo aspettarlo.»
Spingo la porta che cigola e entro, lasciando gli altri ad aspettarmi sui cavalli, pronti per il ritorno. Un elfo dai capelli bianchi e dalla folta barba, illuminato dalla luce di una grande finestra, mi fece accomodare su una panca di legno vicino al tavolo.
«Buonasera, sono il Conte di Muria, figlio del Re di Rodamessal. Sono giunto fino in questo luogo remoto per portare vostro figlio con me, e credo che voi conosciate la ragione che mi porta a porvi dinanzi tali parole.»
Il volto era rivolto verso la finestra, non era sorpreso del nostro arrivo, ma non appariva affranto dal doversi separare dal ragazzo. Non vedevo rassegnazione su quel volto segnato dall'età, ma indifferenza.
«Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Mio figlio è figlio di Stragh, Elfo Dorato, un re, un sire, ed io non posso ostacolare il volere di Stragh. Ma vi prego di lasciarlo con me ancora qualche giorno, un paio di settimane, per godere un po' della sua presenza.»
«Dov'è vostro figlio?»
«Lavora. Lavora tutto il giorno. Prende l'acqua al ruscello, nutre gli animali e coltiva la terra. Da quando è morta mia moglie, qualche giorno fa, non fa altro che lavorare. Vorrei fermarlo, ma forse è il suo modo di affrontare la cosa. Io sto seduto qui, non ho forza nelle gambe.»
Non sembrava passato qualche giorno da quando una donna aveva lasciato per sempre quella casa. La luna era l'unica fonte di luce, e sembrava l'unica cosa che teneva ancora in vita quell'elfo. La casa era in penombra. La casa era vuota. La casa era morta. Era morta insieme alla donna che la rendeva viva.
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Seinlef, re per destino
FantasyQanulsui[Buongiorno], io sono Seinlef, Re di Castèra, e vi racconterò la mia storia. Sono nato in una povera fattoria ai confini del Regno di Rodamessal, mia madre, morta prematuramente, mi lasciò in balia della desperazione di mio padre. Ma il...