CAPITOLO IV - Rosa Bianca

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Rotni

La freccia gli ha solo sfiorato la testa. L'ho mancato. L'ho fatto scappare. Adesso non sappiamo chi sia né da dove venisse. Tutto per colpa mia.

Come ho fatto a sbagliare quel tiro. Era così semplice. Non potevo mancarlo. Non posso sbagliare.

Il Conte

È rimasta la solita testa dura. Quando era nell'esercito si sforzava al massimo, ogni tiro doveva essere perfetto, non ammetteva sbagli. Mentre gli altri dormivano lui si esercitava. Diceva di non aver bisogno di dormire. Voleva essere il migliore. Osservandolo, l'avevo intuito già durante i primi due anni di addestramento. Per questo decisi di promuoverlo a generale. Pensavo che avesse solamente grandi ambizioni, ma continuava allo stesso modo.

Lo raggiunsi sulla riva del lago, dove si era accucciato solitario, pensoso, come poche volte lo avevo visto.

«Non preoccuparti, non avrai rimproveri, e in futuro non ne avrò rimpianti. Sei un ottimo arciere, forse il migliore, ma hai solamente ventiquattro anni. E proprio per l'eccellente servizio svolto fino ad ora, adesso puoi permetterti il lusso di sbagliare.»

«Io non posso sbagliare, non voglio deludere voi come ho deluso mio padre.»

«Non ci deluderai, ne sono certo.»

«Vi ho già delusi. Mio padre è, beh, era, un commerciante di stoffe finemente lavorate. Voleva che dopo i primi due anni di addestramento lasciassi l'esercito per dargli una mano nel lavoro, e calpestare le sue stesse orme. Io non ho desistito dal mio desiderio, e non posso aver perso l'amore di mio padre senza ottenere nulla da me stesso. Forse non voglio non deludere voi, Sire, ma me stesso, come se fossi mio padre. Forse è l'unica cosa che mi resta di lui, il pensiero che una parte di lui è in me.»

«Come morì tuo padre?»

«Morì di peste durante l'epidemia di qualche anno fa. Io non ero a casa, dovevo accompagnare l'esercito del Re a Nord. Non so quale fu il suo ultimo desiderio, non so quali sono state le sue ultime parole. L'ultimo pensiero. Non sono ancora tornato a casa, la mamma mi venne a trovare qualche mese dopo, ma evitammo di parlare di lui.»

«Secondo me tuo padre è sempre stato fiero di te, ti ha sempre amato. Voleva tenerti al sicuro, lontano dalla guerra e dal pericolo portandoti con sé, ma ha sicuramente apprezzato la tua determinazione. Non hai deluso né lui e né me.»

«Ma adesso abbiamo perso le tracce di quell'elfo.»

«È vero, le abbiamo perse nei pressi di un tronco, ma sono certo che si rifarà vivo. Non ci stava guardando per caso.»

Quando il sole non era più alto come nel cielo del mezzogiorno, riprendemmo la marcia, dovendo proseguire al di fuori della foresta.

Un quieto paesaggio collinare circondava il nostro viaggio. Salendo su una di queste dolci colline ci fermammo ad ammirare lo scenario:

Vedemmo il confine del giardino segnato dagli imponenti alberi, che dall'alto erano un enorme tappeto di foglie, lì interrotte dal corso di un fiume, lì che salivano lungo il fianco di una montagna, per diradarsi sempre più fino a scomparire, lì a seguire il profilo di una collina o dell'altra, fino a perdita d'occhio. Ma a nord-est sull'orizzonte, che pareva irraggiungibile, una grande porta di pietra, quella della capitale, la nostra capitale, la nostra casa.

Sospirai.

Riprendemmo ad avanzare seguendo il ritmo degli zoccoli dei nostri cavalli che calpestavano una volta l'erba e una volta la terra su cui l'erbetta estiva era scomparsa.

Seinlef, re per destinoWhere stories live. Discover now