Capitolo 5

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Sarebbe andato tutto a meraviglia. Era la frase che si ripeteva Edith dal momento che era uscita dalla soglia di casa con il suo vestito celeste e pois bianchi di dimensioni piccole. Benché fosse già Autunno faceva un caldo africano ma, sotto severo consiglio di Kara, si portò dietro un comodo cardigan grigio che legò alla vita, incastrandolo sotto la cintura bianca dell'abito. Quando aveva replicato a Corine che, secondo lei, quel vestito aveva una scollatura troppo "aperta" per il tipo di ragazza che era, diceva: << Lo vuoi il lavoro si o no? Allora fa come ti dico, per una volta. >>

Si era trattenuta nel dirle che l'ultima volta che le aveva dato retta si era ritrovata, all'una di notte, in una centrale di polizia a farsi interrogare, neanche fosse stata l'artefice di un omicidio. E' così aveva incontrato Tony davanti la residenza degli Hamilton. Sarebbe stato lui ad accompagnarla all'incontro di lavoro.

La tensione che aveva non diminuì neanche quando costatò che erano arrivati all'entrata della rosa negra. Il locale, di giorno, aveva un aspetto più sobrio. Avanzando nell'entrata non si sentiva più la puzza di fumo e ne il lieve rumore di vetri procurati da i bicchierini di whisky o assenzio, da i loro ospiti o dal barista. Non c'era quel chiacchiericcio di quella sera, anzi, non c'era nessuno, escluso per due donne sul palco che stavano provando una sorta di coreografia nuova da come si muovevano. Non le diedero neanche un'occhiata, ignorandola del tutto. Dentro di se, Edith gliene fu totalmente grata. Voleva evitare il più possibile di fare pessime figure al suo primo colloquio di lavoro.

Tony la portò nell'ufficio, posto in una porta nel corridoio, lo stesso che aveva varcato quella sera. Chissà perché si era aspettata tappeti di tigri sul pavimento o trofei di caccia sulle pareti, come corna di cervo o teste di orso. Magari anche una bacheca in alto dove vi erano armi di tutte le tipologie. Restò sorpresa nel costatare che, l'ufficio del capo di Tony, era sobrio. Le pareti di un color porpora, quadri raffiguranti paesaggi dalle cornici in oro, una grande scrivania in legno scuro al centro e un'elegante sedia dietro. Due poltroncine in pelle nera, poi, erano poste dal loro lato.

Edith continuò a guardarsi attorno, fino a quando non entrò un uomo alto da seconda porta, vicino alla libreria, a destra. Non appena la giovane vi posò lo sguardo sopra non ne restò così sorpresa, ma sperò vivamente che non la riconoscesse. Si trattava del barista. Venendo lì ne era stata quasi certa che doveva battersi a tu per tu con lui.

<< E' lei? >> Chiese, rivolto a Tony, che si limitò ad annuire. Con la coda dell'occhio, Edith poté scorgere nell'espressione del suo amico del timore. Doveva essere per la stazza abbastanza muscolosa del barista, dall'aria di gangster senza scrupoli. Incuteva timore anche a lei, specialmente quando prese a fissarla.

<< Salve. Edith Colvin. >> Si presentò, allungando una mano verso l'uomo. Tony fece una smorfia contraria, dandole una botta al gomito per invitarla a tacere. Ritirò quindi la mano, sotto lo sguardo divertito del barista.

<< Certo. La ragazza dell'acqua. >> Incrociò le braccia al petto, sghignazzando.

Edith avrebbe voluto nascondere la testa sotto terra, come uno struzzo, ma dubitava che le sarebbe servito per farsi assumere lì. Aveva bisogno di quel lavoro e, battutine pungenti o meno, avrebbe dovuto mandarle giù, lavorare per il tempo che serviva e tornarsene a casa con la consapevolezza di aiutare veramente sua sorella e suo padre. Magari pensare a loro, l'avrebbe aiutata ad avere più professionalità.

<< Non penso sia un ruolo adatto alla tua amica, Tony. >> Riprese la parola, spostando lo sguardo sul suo musicista.

<< Ma non è per sempre, giusto? E' una gran lavoratrice. >>

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