9. Sabato.

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-Lo sapevo già.- disse Emma come se niente fosse. -Cosa?!- intervenne Ethan. -Eh?- alzai la testa, asciugandomi gli occhi con le mani come potevo. Cosa intendeva? Sapeva che Nate, il suo ragazzo, era gay? -Mi aveva confessato che non era sicuro sul suo orientamento sessuale, prima che partissi per lavoro. Quest'estate.- Non potevo credere a ciò che sentivo. -Aspetta un attimo, perché allora mi hai fatto parlare fino ad adesso?- Assurdo, e io che mi ero fatta tanti problemi per dirle tutto. -Eri così convinta di ciò che stavi dicendo che mi dispiaceva interromperti.- Mi sentivo un po' presa in giro, però nemmeno io le avevo detto niente fino a quel momento, quindi non avevo il diritto di lamentarmi. Tirai su col naso. Ethan continuava ad accarezzarmi la schiena e a starmi vicina. -Ho bisogno di prendere un po' d'aria.- ruppi il silenzio pieno di tensione che si era creato. -No, vado da sola.- fermai entrambi con un gesto della mano. Uscii e respirai a pieni polmoni, l'aria fredda di New York.

Emma mi raggiunse poco dopo. Non servivano parole, ci guardammo e l'abbracciai. Ricambiò e mi strinse forte, quel gesto bastò, ci stavamo perdonando a vicenda. Sarebbe stato un nuovo inizio per la nostra amicizia. Migliori amiche per sempre.

Eravamo al secondo anno di elementari, ci conoscevamo ormai da cinque anni e eravamo molto legate. Quella mattina ero triste perché Francesco mi aveva detto che ero brutta. Emma non l'aveva sentito, perché era in bagno. Quando arrivò in classe corse subito da me, che ero seduta nell'angolo in fondo e mi chiese cosa avessi. Negavo, perché mi vergognavo. Era una cosa stupida piangere per un commento così, ma ci tenevo molto al giudizio degli altri, soprattutto al suo. Lui aveva due anni in più di me e mi piaceva, inoltre io piacevo a lui, ma avrei capito solo in seguito che insultarmi era il suo modo per attirare la mia attenzione. Emma mi abbracciò e asciugò le mie lacrime. -È stato Francesco, vero?- non so come facesse, ma mi capiva sempre, sapeva tutto di me e io di lei. Annuii. A quel punto gli si avvicinò e gli tirò uno schiaffo. -Nessuno può far soffrire la mia migliore amica!- gridò seria. Era la prima volta che mi definiva così. La maestra la mise in castigo e minacciò di chiamare i suoi genitori, ma io sorrisi. Nessuno avrebbe mai più fatto una cosa simile per me.

Era sabato. Mancavano due ore all'arrivo di Mattew e la mia camera sembrava la terza guerra mondiale. Vestiti sul letto e sulla sedia della scrivania, scarpe sparse ovunque sul pavimento insieme agli appunti, trucchi sulla cassettiera. Ero disperata, non riuscivo a scegliere nemmeno la biancheria. Entrò Emma -Direi che hai bisogno di aiuto.- sorrise. Annuii. -Dove ti porta?- chiese mentre posava sul letto, nell'ultimo angolo rimasto libero, una pila di vestiti. -È questo il problema, non lo so, è una sorpresa.- ero esasperata. -Tranquilla, ci penso io!- feci un bel respiro e cercai di rilassarmi come potevo.

Jeans aderenti, stivali e canottiera nera. Semplice, ma i pantaloni che aveva scelto facevano risaltare il mio didietro. Sopra misi un maglione pesante aperto e il parka. Trucco acqua e sapone: mascara e fard. Ero prontissima a tutto. Quasi tutto.

Scesi e mi ritrovai davanti Mattew con in mano due caschi appoggiato a una moto da corsa. Okay, a questo non ero pronta. Sorrisi non appena mi resi conto che avrei dovuto reggermi a lui per tutto il tempo. Mi salutò con un bacio sull'angolo della bocca e salì in moto. Merda. Rimasi immobile come un'ebete. Che sexy! Aveva il casco integrale, dal quale intravedevo solo il suo sguardo penetrante. Jeans strappati e giacca di pelle, niente a che vedere con lo stile da bravo ragazzo che aveva all'università. -Cosa aspetti? Sali o no?- mi ammonì, mettendo in moto. Infilai il casco e salii in modo impacciato. -Tieniti forte!- disse prima di partire. Mi aggrappai a lui.

Avrei voluto rimanere in quella posizione per tutto il resto dell'appuntamento, ero comodamente appoggiata alla sua schiena e lo abbracciavo: un po' perché avevo paura di cadere, un po' perché volevo eliminare la distanza tra noi. Mi piaceva andare in moto, mi dava un senso di libertà: il vento tra i capelli e lui mi faceva sentire al sicuro.

Dopo una ventina di minuti che eravamo in viaggio rallentò e accostò. -Siamo arrivati. Puoi staccarti.- disse in tono divertito, scesi e lui posteggiò la moto. Sistemò i caschi e mi prese per mano. Quel gesto mi fece correre un brivido da dove mi stava toccando, fino alla schiena. -Dove siamo diretti?- ero curiosa. -Ora lo vedrai.- mi coprì gli occhi con le sue mani calde posizionandosi dietro di me. -Non sbirciare!- camminammo così per circa due minuti. -Eccoci. Puoi aprire gli occhi.- Eravamo davanti alla pista di pattinaggio, il panorama era bellissimo, tutto decorato con delle lucine colorate. Bambini e adulti che si divertivano, ridevano, correvano, cadevano, ma comunque si rialzavano per riprovarci. La mia mente si accese improvvisamente. -Non so pattinare.- era un problema. -Ti insegno io.- disse spettinandosi i capelli con una mano. Doveva smetterla di essere così bello.

Una volta presi i pattini e indossati Mattew entrò subito in pista. Io nel passare tra pavimento e ghiaccio mi inciampai e rischiai di cadere, così mi aggrappai alla ringhiera. Si mise a ridere, dovevo essere davvero uno spettacolo niente male. Feci qualche giro senza staccarmi mai dal bordo della pista, appesa al corrimano, mentre Mattew tentava di insegnarmi. -Peso leggermente in avanti. Prima un piede, poi l'altro. Dai, prova a lasciarti andare.- tutte le volte che tentavo rischiavo di cadere, ma prontamente Mattew mi afferrava.

-Ti fidi?- mi chiese a un certo punto, dopo vari tentativi. -Più o meno!- ero titubante. Ero migliorata rispetto all'inizio, riuscivo a fare qualche metro da sola. Mi prese le mani e mi portò con lui, mentre pattinava all'indietro. Ero affascinata dalla semplicità con cui si muoveva sul ghiaccio. Prendemmo velocità, chiusi gli occhi, mi sembrava di volare. Mi lasciai andare, fidandomi completamente. Sembrava troppo bello per essere vero, mi lasciò le mani.

Stavo pattinando da sola. Avevo parlato troppo presto. Andai a sbattere contro Mattew che aveva rallentato per mettersi di fianco a me, insieme finimmo sul pavimento freddo, io sopra di lui. Imbarazzante. Diventai rossa e cercai di tirarmi su, ma non ci riuscivo, continuavo a scivolare e a ricadere su me stessa. Mattew mentre rideva mi aiutò a rimettermi in piedi. -Sei un disastro.- disse, spostandomi una ciocca di capelli dietro alle orecchie, per poi accompagnarmi alla ringhiera.

I nostri visi erano vicinissimi, aveva annullato la distanza tra i nostri corpi, mettendomi all'angolo. Ero letteralmente nell'angolo della pista. Avevo la schiena attaccata alla bordo di ferro, immobile, mi guardava dritta negli occhi. Baciami. Adesso, ti prego. In quell'istante un fiocco di neve mi cadde sul naso, Mattew lo asciugò con l'indice. Iniziò a nevicare, mentre la distanza tra noi diminuiva sempre di più. -Andiamo a prendere una cioccolata calda?- sussurro sulle mie labbra. -Hai freddo? Stai tremando.- continuò e si allontanò con il solito sorrisetto divertito sul volto. Stronzo!

Non capivo se stavo tremando dal freddo o perché Mattew aveva violato la distanza di sicurezza. Lo seguii rimanendo attaccata alla ringhiera per non rischiare di nuovo la vita e uscii da quella pista diabolica.

L'amore è una malattiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora