14. Una soluzione.

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GIULIA

Dopo essermi ripresa dallo shock procurato dai ricordi raccontai ad Emma dei messaggi. Ero preoccupata, avevo paura che fosse un maniaco o qualcosa del genere. Ancora peggio se fosse stato Francesco. Emma rise, la divertivano queste cose. -Giulia! Ma scherzi? Hai un ammiratore segreto!- era entusiasta. -Ma ti rendi conto che ha il mio numero di telefono e l'indirizzo?- ero terrorizzata e il mio stato d'animo non aiutava a vedere il lato positivo della cosa. -Ho già una soluzione!- disse contentissima. Ero perplessa. -Non c'è una soluzione!- mi lasciai cadere a peso morto sul letto. -Scommettiamo?- disse sicura di sè. -Tu vorresti sapere chi ti manda quei messaggi, giusto?- Annuii non capendo dove volesse arrivare. -Se ho la soluzione per te, mi prometti che parleremo una volta per tutte di Francesco e prenderai in considerazione di andare da uno psicologo?- volevo interromperla, dire che l'avevo già superato e che non avevo bisogno di parlarne, ma non appena le sue labbra avevano pronunciato quel nome il mio cervello aveva smesso di funzionare.

Avevo già provato ad andare da uno specialista, ma non era servito, gli incubi erano diventati sempre più frequenti e non riuscivo a dimenticare l'incidente. Più ne parlavo e più gli attacchi di panico aumentavano, avevo smesso persino di mangiare. Alcune volte vomitavo. Volevo cancellare dalla mia mente l'episodio, così smisi di parlarne del tutto dopo il trasferimento, mi era sempre sembrata la cosa più giusta da fare. Provavo rabbia, dolore, frustrazione e non sapevo come potermi sfogare. Avrei voluto prenderlo a schiaffi. Lanciai il cuscino contro la porta e le lacrime cominciarono a scivolarmi sul volto. -Siamo d'accordo?- ribadì Emma.

Aveva ragione, dovevo reagire, Mattew era il mio nuovo inizio e Francesco non poteva rovinarmelo. Non dovevo rimanere più legata al passato. Mattew non se lo meritava e io volevo riscattarmi. -Sì!- strinsi i pugni e gridai, sfogandomi di tutto ciò che avevo dentro. Emma mi lasciò da sola nella stanza.

Dopo qualche minuto la raggiunsi in salotto, era impegnata in una telefonata. -Si, perfetto! Grazie mille!- una pausa. Non capivo. -Con chi parli?- chiesi, ma mi ignorò.

Odiava essere interrotta mentre parlava al telefono. -Come faccio a dirti chi è se sto tenendo una conversazione?!- si arrabbiava sempre. Mi ricordava mia madre in quei momenti, anche a lei dava fastidio.

Mi fece segno di stare in silenzio. -Ci vediamo tra un'ora?- chiese speranzosa, con una luce diversa dal solito negli occhi. -Ah.. okay, tranquillo.- sembrava delusa. -Domani?- tentò. -Dopo a lavoro..?.- abbassò lo sguardo e si chiuse in bagno. Era un chiaro segno che mi stava nascondendo qualcosa. Avrei tanto voluto origliare, ma non sarebbe stato giusto.

La curiosità prevalse, mi appiccicai con l'orecchio alla porta, proprio come una bambina impicciona. Parlava a bassa voce e sentii solo alcune parole. Sembrava una cosa seria, rideva. Una frase mi colpì. -Sono stata bene con te.- silenzio. Stava diventando rischioso, sembrava avesse riattaccato. Non volevo che mi scoprisse, andai in cucina a passo veloce e mi versai un bicchiere d'acqua. Mi brontolò lo stomaco, stavo morendo di fame. Cercai qualcosa da mangiare senza successo. Presi il biscotto che mi aveva portato Emma e finii la colazione. Stavo già meglio, con qualcosa nella pancia.

-Domani il tuo problema verrà risolto.- esordì entrando in camera. -Cosa!?- Mi prese per mano e mi trascinò in bagno. -Fatti una doccia che usciamo!- rimasi immobile a fissarla. -Non ti preoccupare di niente, rilassati.- cercai di replicare, ma non ne volle sapere. -Non fare domande, lo shopping è quello che ti serve.- mi spinse letteralmente dentro la doccia e aprì l'acqua. -Sono ancora in pigiama!- gridai, ma lei uscì dal bagno prima che potessi vendicarmi. -Me la pagherai!- sembrava letteralmente impazzita.

Sotto il getto dell'acqua bollente pensai che qualche nuovo acquisto mi avrebbe fatto bene.

La mia mente passò dai messaggi sconosciuti a Mettew, mi sarebbe servito un suo bacio, sorrisi. Ma l'immagine di quegli occhi scuri, quasi neri prevalse e mi riportò indietro nel tempo. Un dolore mi perforò il petto e le lacrime si mischiarono all'acqua che scorreva.

Erano le 4 a.m. E avevamo appena finito di fare l'amore. Francesco era accanto a me, le nostre gambe intrecciate, sorrideva. -Ti amo.- sussurrò. Il mio cuore perse un battito. Era un sogno? Era la prima volta che pronunciava quelle parole. Russò. Stava dormendo, il mio entusiasmo si spense. Rimasi a fissarlo per qualche minuto, aveva il respiro pesante. -Anch'io ti amo.- mormorai, dandogli un bacio sulla fronte. Mi scostai da lui e andai a fare una doccia. Mi sembrava tutto troppo bello per essere vero. Lasciai scorrere l'acqua bollente sul mio corpo per molto tempo, non so neanche quanto. Il vapore aveva immerso la stanza e lo specchio si era appannato. Mentre finivo di insaponarmi sentii aprire la porta. Francesco entrò nella doccia. Era così bello assonnato e con i capelli scompigliati, mi prese per i fianchi e mi baciò con molta più passione del solito. Mi fece sentire importante, ero importante per lui. Se fosse stato un sogno avrei voluto non svegliarmi più. -Prima..- mi fermò, premendomi l'indice sulle labbra, senza che potessi finire la frase. -Ssh, ho bisogno di dirti una cosa che sento da tanto.- mi abbracciò e baciò la fronte. -Sai che per me è difficile.- annuii. -Non sono bravo a esternare i miei sentimenti. Non so spiegare ciò che provo..- l'acqua continuava a scorrere sui nostri corpi. -Sei diversa dalle altre, sei importante. Io..- gli presi la mano per rassicurarlo. -Ti amo.- disse sospirando, come se si fosse tolto un peso dallo stomaco. Sorrise. -Ti amo così tanto.- continuò. Mi baciò con trasporto. -Ti amo anch'io.- lo guardai intensamente negli occhi. Erano gli occhi più belli che avessi mai visto, quasi neri. Dal suo sguardo vedevo quanto tenesse a me, quanto tenesse a noi e pensai che il nostro amore non sarebbe mai finito.

L'acqua diventò fredda, mi risvegliai dai ricordi e mi insaponai. Strofinai forte, come se potessi togliermi di dosso tutto ciò che avevo passato, come se potessi cancellare quello che era successo.

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Eravamo nella Fifth Avenue, la mia via preferita. Amavo far finta di potermi permettere tutto questo. Era da un po' che non venivo da queste parti e la mia carta di credito stava già piangendo al ricordo di quando ero un shopper compulsiva.

Non potevo farci niente, i vestiti mi chiamavano! Era un appuntamento fisso, il giovedì pomeriggio al centro commerciale, fortunatamente sono guarita. Ora uso la carta di credito solamente quando sono depressa e direi che oggi è il momento perfetto.

Come prima tappa entrammo da Chanel, provammo solo le scarpe, prendendo in giro le vecchiette piene di soldi che ci giravano intorno. Emma le imitava benissimo. -Vorrei le décolleté rosse, quelle in vetrina... no, ma sono troppo rosse!- dopo aver fatto impazzire le commesse ed esserci provate metà negozio non riuscivo a trattenere le risate. Prima di rovinare la messa in scena Emma intervenne: -Non posso perdere tempo in questo modo, andiamocene!- uscimmo sculettando con la schiena dritta e la borsa sul braccio.

-Mi è mancato tutto questo.- disse cercando di smettere di ridere. -Non riesco a respirare! Hai visto la sua faccia?- eravamo appena state cacciate dalla Luis Vuitton. -La direttrice era su tutte le furie!- la abbracciai. -Grazie di tutto.- ci dirigemmo verso Meci's.

Avevamo le braccia piene di sacchetti, la stanchezza si faceva sentire e avevo anche una certa fame. -Andiamo a prenderci un aperitivo?- proposi. -Sì, si può fare!- annuì. -Era da un po' che non dedicavamo del tempo solo per noi.-

L'amore è una malattiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora