23. Di bene in meglio!

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GIULIA

Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito. Rimasi con la bocca spalancata davanti a Andrew. -Ma sei sicuro?!- continuavo a chiedergli. Lui sorrideva malizioso, si divertiva a lanciare bombe del genere. -Lo sai che so tutto di tutti, sono un pettegolo. Basta chiedere.- Ma non poteva essere vero. Tutto ciò che avevo fatto.. perché lo avevo fatto? I sensi di colpa mi avrebbero uccisa.

-Ripetimelo un'ultima volta.- lo pregai. Lui sbuffò, ma poi mi accontentò. -Sophia e Mattew sono fratelli. Non hai notato una certa somiglianza? Lo sguardo, per esempio. Hanno gli stessi occhi.- cercavo di realizzare cosa comportasse ciò che aveva scoperto Andrew.

Andai sul retro a recuperare il cellulare e dopo aver ascoltato il messaggio in cui Mattew diceva che mi stava aspettando, credevo di stare per esplodere. Mi vestii di corsa e salutai Andrew. -Se non credi alle mie parole puoi chiedere direttamente a lei.- indicò la porta del bar mentre si richiudeva dietro a Sophia.

La assalii prima che potesse aprire bocca. -Mattew è tuo fratello, vero?- era perplessa e anche un po' spaventata. Mi fissava con quei grandi occhi azzurri. Si, erano per forza parenti. Me ne andai senza ascoltare la risposta. Mentre chiudevo la porta la sentii urlare. -Tiene molto a te!-

Ero distrutta. Le lacrime mi rigavano il volto. Sarei voluta andare nel mio appartamento chiudermi dentro e non uscire per almeno un mese, ma ero terrorizzata dal fatto che Mattew potesse essere ancora lì. Le probabilità erano poche, ma c'erano e non volevo rischiare di incontrarlo, non avrei avuto il coraggio nemmeno di rivolgergli la parola. Mi stavo comportando da vigliacca, ma non sarei mai riuscita ad avere una discussione con lui in questo momento.

Pioveva. Maledizione! Ero senza ombrello, tirai su il cappuccio e iniziai a camminare. Mi ritrovai a vagare per le strade di New York senza una meta, ma prima che potessi rendermi conto di quanta strada avessi fatto mi ritrovai davanti al portone del palazzo di Emma. Sperai che non ci fosse Ethan ed entrai, consapevole che avrei dovuto affrontare la furia della mia migliore amica.

Ero sola: Mattew se avesse mai scoperto la verità mi avrebbe odiata per sempre, ero andata a letto con Ethan per ripicca, a causa di una gelosia inesistente, basata su un fraintendimento; Emma amava Ethan, che però avrebbe fatto qualunque cosa pur di stare con me; Ethan era innamorato di me e io me n'ero approfittata. Brava, bel casino, le cose non possono andare peggio di così.

Non l'avessi mai pensato. Lasciai su il cappuccio e corsi per la hall cercando di passare inosservata, senza successo. -Giuliaaa!- sentii gridare. Era Ethan. -Ti prego non scappare!- Beccata. Si meritava delle spiegazioni, ma non era questo il momento giusto. -Mi dispiace, è l'unica cosa che so fare: scappare dai problemi.- dissi senza neanche girarmi. Ormai non piangevo più, ero rassegnata al disastro che avevo combinato. È inutile piangersi addosso.

Bussai con tutta la forza che avevo alla porta di Emma. Nessuno rispose. Stavo per andarmene quando sentii dei rumori provenire da dentro l'appartamento. -Apro io!- era la voce di Emma. Con chi era? Non sarei dovuta andare lì, avrei voluto sprofondare, scomparire, ma ormai dovevo affrontarla.

Non fu lei ad aprirmi la porta. -Fra..- Sarebbe stato molto meglio incontrare Mattew. Sbiancai, come se avessi visto un fantasma, cosa che non mi sarebbe affatto dispiaciuta in quel momento. -Fran...cesco?!- La mia mente diceva di girare i tacchi e correre il più lontano possibile, forse non mi aveva riconosciuta. Lo sperai.

-Sì, quello è il mio nome.- disse prendendosi gioco di me. Era a petto nudo con i pantaloni sbottonati. Gli addominali scolpiti erano in bella mostra e la "V" spuntava dall'elastico dei boxer. Non ero stupida, feci due più due, erano appena stati a letto insieme. C'era odore di sesso nell'aria e nella sua faccia. Era come me lo ricordavo stronzo, senza pudore e dannatamente sexy.

Non potevo permettermi di giudicare, ma mi facevano schifo. Entrambi. Non appena i nostri sguardi si erano incrociati aveva sorriso, quel sorriso misterioso che faceva spuntare quelle fossette maledette. Che rabbia! Perché è tornato?

Sarei potuta svenire da un momento all'altro, ma la delusione e la disperazione accumulata prevalsero. Lo spintonai e con tutta la forza che mi era rimasta gli tirai uno schiaffo. -Anch'io sono felice di vederti!- mi disse senza scomporsi. Gli avevo fatto male, almeno all'orgoglio, da me non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere. -Mi fai schifo!- riuscii a dire prima di superarlo. Gli avrei volentieri sputato in faccia, ma mi trattenni per mantenere un minimo di femminilità e di reputazione. Nel caso ne avessi avuta ancora.

Fulminai con lo sguardo Emma, sapendo che non ero nella posizione di poterla insultare. La tensione si poteva tagliare con un coltello. Indossava la sua maglietta, come qualche tempo fa facevo anch'io. Mi guardava a occhi sgranati, senza parole giuste da dire. Come se non avesse ancora realizzato ciò che era appena successo, lo sguardo vuoto perso su di me. Non provò neanche ad inventare delle scuse, lo apprezzai. Ero stata colpita alle spalle. Ce l'eravamo giocata, ma aveva vinto il premio come migliore amica dell'anno.

Buttai la giacca e la borsa sul divano e andai in bagno. Sbattei la porta dietro di me e girai la chiave. Volevo isolarmi dal mondo. Aprii il rubinetto al massimo e iniziai a piangere, singhiozzavo, mi sfogavo come mai avevo fatto prima d'ora. Avrei voluto gridare, eliminare il mio dolore, ma non uscì alcun suono dalle mie labbra. Una fitta mi perforava il petto. Mancava solo Mattew al quadretto infernale. Il pensiero mi fece ridere, era una risata isterica, stavo impazzendo. La delusione si stava mischiando con la rabbia, era frustrante.

Il vapore stava invadendo piano piano la piccola stanza, il calore mi faceva sentire meglio, più rilassata. Mi spogliai e andai sotto la doccia, l'acqua era bollente, cercavo di sfregare via i sensi di colpa e la tensione, in vano. La vita mi stava scorrendo davanti senza che me ne rendessi conto. Ho perso tutto, vorrei tornare a casa, in Italia, avere accanto la mia famiglia sarebbe d'aiuto. Quando mi sono trasferita volevo realizzare un sogno, ricominciare, azzerare la mia vita, ora sto vivendo un incubo senza fine e non c'è modo di uscirne indenne.

Non volevo dover affrontare il mondo fuori, sarei voluta rimanere lì dentro per sempre. Chiusa nella mia bolla di sapone, dove tutto va bene, come desidero. Non so per quanto rimasi chiusa lì dentro, ma nessuno venne a bussare. Meglio.

Sotto l'acqua corrente avevo preso una decisione. Avrei chiuso i rapporti con la vecchia me e con ciò che ero diventata. Ero riuscita a sopravvivere a molto peggio.
L'unica differenza è che adesso sono da sola contro tutto e tutti.

L'amore è una malattiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora