Tre.

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LOUIS POV

Quando misi piede dentro l'hotel, immediatamente percepii una strana sensazione. Ero convinto che sarebbe stato un posto freddo, e che mi sarebbe sembrato un luogo troppo grande e terrificante in cui alloggiare da solo. Avevo pensato che, una volta giunto lì, avrei girato i tacchi e sarei tornato a casa, sopraffatto ed oppresso dall'atmosfera di solitudine. Invece, appena entrai mi avvolse un calore inaspettato e, anche se non ne sapevo il perché, pensai subito che l'avrei considerato come una casa per tutto il tempo in cui ci sarei stato. Avevo come la sensazione che quel luogo mi avrebbe portato fortuna.

Mi diressi verso una ragazza bionda con una lunga coda di cavallo ed un rossetto troppo rosso appostata dietro un bancone.

'Mi dica' esclamó lei con un sorriso a trentadue denti.

'Ho bisogno delle chiavi della mia camera, mi chiamo Louis Tomlinson' le risposi. Lei annuí e digitó qualcosa sul computer, prima di 'Camera numero 28' informarmi.

Si abbassó e prese un paio di chiave, porgendomele.

'Appena giri a destra è una delle prime camere, la troverai subito' mi sorrise nuovamente. 'Si è liberata giusto ieri'

Io afferrai le chiavi e la ringraziai, dirigendomi verso la camera. Svoltai a destra e lessi a bassa voce tutti i numeri, prima di individuare la numero 28.

Girai la chiave nella serratura e spinsi la porta, entrando.

La camera era piuttosto semplice e accogliente. Al centro c'era un letto con delle lenzuola bianche, poi c'erano un comodino e un armadio. Tirai su la serranda per far entrare la luce. Il bagno era piccolo, così come la doccia. Ma, nel complesso, non potevo lamentarmi, dato che avevo pagato piuttosto poco.

Mi sedetti sfinito sul letto, e decisi di disfare la valigia. La cercai per tutta la stanza, poi feci mente locale e ricordai di non averla già da quando la ragazza mi diede le chiavi. Bene. Di sicuro l'avevo dimenticata fuori dall'hotel, quando quel ragazzo mi aveva fatto momentaneamente perdere la capacità di ragionare.

Mi arresi all'idea di aver perso per sempre la mia valigia e mi gettai sul materasso sbuffando.

Quella che stavo facendo era davvero una pazzia. La piú grande pazzia che avessi mai fatto, anzi, l'unica.

Quando parlai con mia zia del viaggio che avrei fatto con Niall lei si dimostró subito entusiasta, per questo il giorno prima non fu difficile convincerla a farmi partire quello stesso giorno. Certo, mi sentivo un pó in colpa per non averla avvisata che in realtà sarei partito da solo e non con il mio migliore amico, ma se glielo avessi detto mi avrebbe categoricamente vietato di partire.

Mi sfuggí una lacrima al pensiero dei miei genitori. Loro mi mancavano davvero molto, ma in fondo è stata una loro scelta quella di cacciarmi via di casa. Amavo mia zia, ma casa sua non riuscivo proprio a considerarla anche casa mia, per questo avevo deciso di partire. Vivere a Doncaster mi stava soffocando,e un pó di lontananza mi avrebbe fatto di certo bene. Inoltre, dopo il litigio con Niall non avevo più nessun motivo per rimanere lì. Anche lui mi mancava, ma a volte nella vita bisogna farsi forti e lasciarsi alle spalle chi non ci merita, anche se è una persona importante per noi.

Dopo qualche minuto mi ritrovai a pensare a quel ragazzo che mi aveva aiutato a rialzarmi.

Aveva gli occhi di una tonalità particolare, un verde speciale, che immaginai cambiasse sfumatura in base al tempo o al suo umore. Le sue labbra, invece, erano letteralmente la cosa più erotica che io avessi mai visto. Erano carnose e rossissime, e non potei evitare di immaginarle sulle mie o attorno... okay, adesso stavo decisamente esagerando.

A parte l'aspetto fisico, quel ragazzo aveva un non so ché di affascinante, e il suo sguardo dolce mi trasmetteva fiducia.

Decisi di andare a fare una doccia, lasciando che il getto d'acqua placasse i miei pensieri troppo romantici su quelli occhi e quelli troppo spinti su quelle labbra.

Sentí suonare il campanello.

Sotto il cielo di New York- Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora