Capitolo otto

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Socchiudo un occhio, per poi riaprirlo subito. Calcolo il mio equilibrio, divarico le gambe e tiro. Il coltello va a conficcarsi il centro del manichino, lasciandomi soddisfatta. Sposto il mio sguardo verso i Strateghi. Uno in particolare mi osserva.
-Brava! Spero che non userai questa nobile arte contro di me, nell'Arena- dice Molly, la ragazza che ormai è amica mia. Tende l'arco e, senza prendere la mira, scocca la freccia argentata, che colpisce il manichino, sfiorando il coltello.
-Credo di ricambiare il tuo desiderio, Molly-.
È due giorni che ci alleniamo e questo pomeriggio avremo le sessioni private con gli Strateghi, gli uomini che controllano l'Arena. Loro hanno il potere assoluto: con una leva potranno farmi esplodere. Anzi no, dubito che lo farebbero. Preferiscono intrattenere la Capitale con lo scorrimento del sangue lento. Chissà, magari mi faranno crollare addosso pioggia acida. Quello non di certo rasenta la noia.
Donna mi raccomanda di concentrarmi sulle lance e è quello che faccio. 
Alle due io e Hervey ci presentiamo nei sotterranei. Chiamano i tributi dei primi distretti, uno ad uno, e poi noi.
Le ragazze hanno la precedenza.
-Wendy Wilson- chiama l'autoparlante.

Alla sera, a tavola, non si parla d'altro.
-Come vi è andata la sessione? Avete fatto un'impressione buona?- chiede ansiosa Donna. Provo una tenerezza per lei, vuol dire che in qualche modo le importa di noi.
-La mia è stata noiosa. Ho fatto buoni numeri con la spada e alcuni coltelli, ma niente di eccitante- dice Hervey, mentre intacca un'altra forchettata di lasagne.
Dico loro che anche io mi sono limitata a tiri tranquilla, ma comunque efficaci. Gli Strateghi non parevano annoiati.
Quando è ora di andare a letto, non vado nella mia camera. Come ieri, vado in quella di Hervey.
Ordiniamo con il menù magnetico delle patate dolci, arrosto e fagiolini al sugo anche se abbiamo appena finito di cenare. È bene aumentare peso, nel tempo che ci rimane. Dopo aver mangiato tutto, lui si siede sul letto e si appoggia alla spalliera e chiude gli occhi. Mentre lo osservo la tristezza prende parte di me. Morirà? Molto probabilmente, mi costringo a pensare. Io di sicuro non vivrò.
È solo la situazione che mi induce a affezionarmi così a lui, forse. Beh, affezione non so se è abbastanza.
I miei pensieri si bloccano quando schiude la bocca e dice, senza aprire gli occhi:- Smettila di pensare-.
-No, non posso-.
-Lo so- dice, con la voce bassa.
Resta zitto per un po',  poi si picchia le gambe distese sul letto:- Vieni qui-.
Il mio cuore inizia a battere forte, ma mi alzo e lo raggiungo. Con cautela, mi apollaio sulle sue gambe.
-Rilassati, Wilson. Cavolo se sei...-ispira un attimo, con gli occhi ancora chiusi, le parole ferme sulle labbra -tesa-.
Mi rilasso quando la sua mano accarezza la mia schiena. Mi appoggio al suo petto.
-Cosa stiamo facendo, Hervey?-.
-Ci stiamo distruggendo. Solo distruggendo- mi passa le dita fra i capelli chiari.
Vorrei contraddirlo, ma non ha senso. Come sempre sa a cosa sto pensando.
-So che non sei stupida. So che sai che questo non è un libro. Non...- la sua voce si rompe.
Non ha senso dire altro. Non ce lo ha. Così, senza sapere cosa fare, chiudo gli occhi.

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