Capitolo 11

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ISA

Quando sono in strada, ferma ad un semaforo con una fila di macchine dietro e davanti la mia, un senso di vuoto inizia a pervadermi il corpo. Un bruciore si fa largo nel mio petto e gli occhi iniziano a bruciare.

«Calmati Isa.» Dico a me stessa. Provo a respirare e controllo il semaforo ancora rosso.

Mi manca. Mi manca tremendamente tanto. Posso far finta di niente, posso provare a sostituirlo, fingere di provare emozioni con qualcun altro, ma chiunque non sarà mai lui. Devo capire questo. Ma se anche lo capissi cosa cambierebbe? Nulla. Non cambierebbe proprio nulla e soffrire per lui  è l'ultima cosa che voglio.

Lancio un'occhiata alla mia immagine riflessa nello specchietto. Le lacrime sono ferme agli angoli degli occhi, pronte a scendere giù non appena sbatto le palpebre. No! Non piangerò più, mai più!

Cambio la marcia, faccio inversione e sgommando vado nella direzione opposta a quella di casa mia. Lascio quella strada tra imprecazioni delle persone alla guida e suoni assordanti di clacson. Senz'altro avrei potuto causare un incidente. Ma ora sono accecata. Accecata dall'orgoglio e dalla necessità di sentirmi libera, libera dalla sua costante presenza nella mia mente.

Senza accorgermene sono davanti allo Spritz. Di nuovo. Parcheggio e decisa, entro. Mi dirigo con determinazione verso il bancone ma Scott non c'è. Quindi inizio a guardarmi intorno, sperando che la sua figura sbuchi da un momento all'altro, ma nulla. Così chiedo di lui ad una ragazza che mi passa davanti con un vassoio in mano.

«Tu devi essere Isa.» Mi dice la brunetta. Come fa a sapere il mio nome? Scott ha parlato di me con i suoi colleghi? Perché?

«Si, sono io.» E le rivolgo un sorriso cordiale anche se il mio cervello è ancora intento a macinare una spiegazione a questa apparente confidenza. Che cosa sa lei di me? Spero nulla di imbarazzante. Si diverte la mia coscienza.

«Scott ha finito il turno da poco, se ti sbrighi riesci a raggiungerlo. Solitamente parcheggia la moto sul retro.» La ragazza di cui ignoro il nome mi dà tutte le informazioni necessarie e una volta fuori dal locale, inizio a correre lungo la via. Corro. Lo faccio fingendo che sia l'unica possibilità che mi rimane. Dirigermi a perdifiato verso Scott non significa nulla per me, ma vorrei che invece mi importasse qualcosa. Provare nuove emozioni, sensazioni forti con qualcuno che non sia Harry è il mio obbiettivo; l'unica speranza che ho di rimpiazzare il vero proprietario del mio cuore.

Quando credo di essere arrivata, mi fermo e con le mani sulle ginocchia, riprendo fiato. Alzo il viso. Per fortuna la luce del lampione al lato arriva fino nel vicolo e noto subito dei cassonetti. Sposto lo sguardo più a destra e un ragazzo mi dà le spalle, sta armeggiando con qualcosa.

«Scott.» Lo chiamo e lui si volta subito. Tra le mani ha un casco che mette rapidamente sotto il braccio nel momento esatto in cui gli rivolgo un debole sorriso.

«Isa ... che ci fai qui?» È imbarazzato.

Esatto! Cosa diavolo ci facciamo qui?  Mi chiede arrabbiata la mia vocina interiore, poggiandosi perentoria le mani sui fianchi.

«Sono passata al pub ma non ti ho visto e ... una cameriera mi ha detto che avevi finito di lavorare per stasera ...» non ne conosco la ragione, ma in questo momento la mia timidezza sta prendendo il sopravvento. «Mi chiedevo se ...» Se? Cosa vuoi Isa?  Il mio subconscio continua a torturarmi.

Lo vedo increspare le labbra in un sorriso e spero che abbia la brillante idea di prendere in mano la conversazione perché io sto per scavarmi la fossa.

«Stavo per tornarmene a casa, ma se vuoi possiamo andare al tuo appartamento.» Dal suo sguardo capisco che ha colto le mie intenzioni.

«Si ... ehm ... okay.» Sbiascico timidamente.

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