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Tamburello nervosamente con le dita sulle ginocchia. Sono irrequieto e lo notano tutti. Nessuno mi dà corda, si tengono a distanza e chiacchierano fra loro. Ogni tanto sento i loro sguardi analizzarmi. Come dargli torto, considerata la sfuriata di poco fa. Commentavano la partita nella hall dell'hotel e avrei potuto stare zitto se non fosse che alle osservazioni puramente tecniche si sono sostituiti commenti ironici e cattivi su ognuno di loro. Ho sentito il sangue ribollirmi nelle vene e quando poi hanno toccato lui non ci ho visto più. Penso che la pagherò cara, 'sta stronzata, ma non potevo fare diversamente.
Il volo parte tra mezz'ora e ad ogni minuto che passa sento il peso delle lancette che mi si spostano sulla pelle. Perché? Perché mi è così difficile pensare di andar via? Perché sento i piedi di piombo? È come se la forza di gravità mi tenesse più che mai incollato al suolo, a questo suolo. Come se avessi messo radici e la Terra mi stesse implorando di non strapparle via un'altra volta. 

Steso su questo grande letto continuo a torturarmi coi denti quel che resta delle mie unghie. Credo di aver perso la cognizione del tempo. Non so precisamente che ore siano, da quanto tempo sono chiuso qui dentro, da quanto non mangio o non mi faccio una doccia.
So che il servizio in camera è già passato due volte chiedendomi se desiderassi qualcosa.

Ho rifiutato entrambe le volte ma ora il mio stomaco inizia a farsi sentire.

Mi alzo e chiamo la reception, chiedendo se sia possibile recapitarmi qualcosa da mangiare.

Mi dicono che è molto tardi, che la cucina è chiusa ma che provvederanno ugualmente. Riattacco, prendo il mio telefono e leggo l'ora sul display. Sono le 3.21. Ironia della sorte.

Ignoro le chiamate perse, i messaggi in segreteria e le centinaia di notifiche ma un post attira la mia attenzione. Il mio nome in grassetto risalta sulla prima pagina di un giornale. Merda.

Devo prendere una decisione e devo farlo in fretta.

Bussano alla porta, ringrazio il cameriere che continua a scusarsi per non aver potuto fare di più, gli sorrido e gli assicuro che è più che sufficiente. Lui tentenna sulla porta, sembra non voler andar via. Mi chiede se può entrare, non fuma da stamattina e ha bisogno di fermarsi un attimo. E' un ragazzino, avrà massimo vent'anni. Mi assicura di non essere uno stalker, che non ruberà nessuna delle mie magliette sudate né nient'altro. Io rido e gli indico la veranda. Lui si appoggia alla ringhiera e si accende una sigaretta. La fiamma dell'accendino gli fa brillare due occhi ghiaccio. Un brivido mi attraversa la schiena.
Mi appoggio al letto e inizio a mangiare il mio hamburger. Ogni tanto mi volto a guardarlo e trovo il suo sguardo indagatore fisso su di me. Gli chiedo se ne vuole un po' ma lui mi fa cenno di no con la testa. Ha spento ciò che resta della sua sigaretta ed è rientrato. Mi ringrazia, dice che ha già dato abbastanza disturbo e che deve proprio andare. Si avvia verso la porta ma una volta aperta si blocca.

"Andrea, mi chiamo Andrea."

Lo guardo sorridermi dolcemente. "Buona notte, Andrea."

La porta fa click ed ho bisogno di un minuto per tornare in me. Per un minuto la mia mente ha vagato lontano, leggera per la prima volta dopo un anno.

Poi sono tornato con i piedi per terra e mi sono ricordato di quel post.

Devo prendere una decisione e devo farlo in fretta.


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