"Perché tu sei qui, di fronte a me e io non voglio che tu vada via. Non l'ho mai voluto e non avrei la forza di vederti uscire da quella porta, anche ora, nonostante tutto ciò che è successo. Sono un debole, tanto quanto te."
Tutto d'un fiato. Ammetto le mie colpe tutte d'un fiato. Per non avere il tempo di pensarci, per non avere il tempo di pentirmi. Ma il suo sguardo cambia improvvisamente e il velo cade ed io mi pento, mi pento immensamente delle parole che ho pronunciato. Mi maledico per la mia sincerità ora che il suo viso ha ritrovato tranquillità.
"Non farlo Àlvaro, non sorridere."
"Mi dispiace, io..."
"Non è vero, non ti dispiace. Non ti dispiace per niente. Sei lì che sorridi trionfante ed hai già dimenticato tutto. Credi che io abbia dimenticato tutto ma non è così. Io ti odio Àlvaro, ti odio talmente tanto da non riuscire a quantificarlo. E tu sei lì e sorridi e credi che le tue parole possano cancellare questi mesi di merda e il rancore e il dolore e la rabbia. Ma le tue parole non cancellano nulla. Non posso perdonarti. Io. Non. Posso. Perdonarti."
Lacrime amare mi accarezzano il volto in fiamme. Sento ogni centimetro di pelle tremare e vorrei sparire, vorrei svegliarmi e scoprire che è tutto un incubo.
Non posso sopportare tutto questo dolore, non di nuovo, non posso farcela.
Talmente preso dai miei pensieri non mi accorgo che ti sei fatto spaventosamente vicino. Me ne accorgo dal tuo profumo che mi colpisce come un secchio d'acqua gelida. Credevo di averlo dimenticato e invece sa ancora di colazioni a letto, finestrini aperti e musica ad alto volume, sa di lenzuola ed accappatoi, di pizza e divani, sa di ogni stanza d'albergo in cui puntualmente smetteva di essere il tuo profumo per diventare il nostro. E così sei di fronte a me e io tengo lo sguardo basso e fisso la trama dei tuoi jeans scuri perché non posso sostenere il tuo sguardo, perché i singhiozzi mi stremano ed io vorrei sparire. Ma non scompaio e all'improvviso un tocco impercettibile mi sfiora il viso. Un tocco impercettibile che si fa sempre più concreto. La tua mano è sul mio viso. Provo ad allontanarla.
"Paulo, smettila, ti prego."
"Lasciami."
"No, non ti lascio."
Provo ad allontanarlo. Mi afferra i polsi, non li lascia.
"Lasciami."
"Paulo."
"Ti odio."
"Lo so."
"No, non lo sai." La mia diventa un cantilena. Stringo i pugni sul tuo petto, continuo a ripeterti che ti odio e tu mi lasci fare ma non mi permetti di allontanarti neppure di un millimetro.
"Ti odio, ti odio, ti odio."
Mi prendi il volto tra le mani e mi costringi a guardarti.
"Ti prego."
Provo a divincolarmi.
"Paulo. Ti prego."
Non ci riesco. La sua presa è salda e le mie spalle al muro.
"Ti odio."
"Lo so. Ti prego."
"No."
Mi prende il volto tra le mani e mi costringe a guardarlo.
"Ti prego Paulo."
Poggia le sue labbra sulla mia fronte.
"Ti prego."
Si avvicina al mio orecchio.
"Ti prego." Sussurra.
È attorno alle mie labbra. Con le sue mi sfiora. Mi guarda un'ultima volta.
"Ti prego."
E le sento premere sulle mie. Le sue labbra sulle mie. Mio Dio, credevo di aver scordato il suo sapore. Credevo che non avrei più accarezzato il suo sapore e, invece, è ancora qui, più dolce che mai, più mio che mai. Ed ora le mie labbra premono sulle sue e le sue sulle mie e la stanza gira intorno a noi e le sue mani fredde sono ovunque e le mie mani incandescenti sono ovunque. Si carcano, si trovano, si stringono. Stringono carne e cotone e jeans e capelli. Si sbarazzano di tutto ciò che c'è tra i nostri corpi che si scontrano e si sfiorano e si cercano e si trovano. E d'improvviso tra i nostri corpi non c'è più nulla. Non ci sono chilometri, secondi, ore. Non c'è rancore, dolore, rabbia. Non c'è più nulla se non lacrime e sudore. Non c'è più nulla se non il tuo profumo e il mio e il nostro.
Mio Dio, il nostro. Mio Dio, noi.