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Una tenue luce filtra delle finestre della mia stanza scontrandosi con l'assordante richiamo della sveglia. L'ho impostata stanotte, appena un attimo prima di crollare. Ho bisogno di darmi un tono, farmi una doccia e rendermi presentabile prima di uscire da qui. 
Ho lo stomaco chiuso, non ho voglia di fare colazione per cui mi dirigo direttamente in bagno. Per un attimo fisso la mia immagine nello specchio e immagini spaventose riemergono dal buio. Sono passati due anni. Ora ho i capelli più corti, la barba più lunga, gli occhi più scuri. Mia mamma dice che sono un uomo, ora.
Quanto ti sbagli, mamma.
Distolgo lo sguardo da quegli occhi severi che mi scrutano persino l'anima e mi fiondo sotto la doccia. 
Torino sa. Sa che sono qui, che non ho preso quell'aereo che avrebbe dovuto riportarmi a Madrid, che da qualche parte io sono ancora qui.
E' in prima pagina. Torino sa ed io non ho più scuse. 
Mi asciugo in fretta e ringrazio mia mamma per avermi insegnato a portare sempre un cambio in più rispetto al necessario, per ogni evenienza.
Infilo i jeans, una t-shirt e le mie Adidas. Poi metto su un berretto scuro e un paio di occhiali da sole: non ho tempo per foto, autografi e quant'altro, né tanto meno ho voglia di apparire ancora sui giornali prima di aver chiarito tutto ciò che ho lasciato in sospeso per troppo tempo. 
Lascio la chiave della camera alla reception, prendo al volo il primo taxi e in un quarto d'ora sono di di fronte ad un portone fin troppo familiare. Sorrido per un attimo, poi suono. La porta si apre e due occhi assonnati e increduli mi si piazzano davanti.
"Allora è vero, bastardo."
"Così sembra."
Lo abbraccio forte e lui fa lo stesso.
Mi tira un pugno sulla spalla.
"Sei proprio un bastardo."
"Mi sei mancato anche tu, Simo."

Non potevo affrontare questa giornata senza prima vedere lui, senza sentirmi ripetere da chi, più di chiunque altro mi conosce, che sto facendo la cosa giusta. Conosce me, noi, il mio passato e il mio presente. È stata dura anche per lui perdonare la mia partenza, perdonare il fatto che sia andato via senza dirgli una parola, ma l'ha fatto. Dopo una settimana me lo sono ritrovato a Madrid, incazzato e deluso, pronto a vomitarmi addosso tutta la sua rabbia prima di ascoltarmi. L'ho lasciato fare, era una reazione comprensibile, la sua. Ha parlato per ore, poi è arrivato il mio turno. Era notte inoltrata quando mi sono reso conto di non avere più fiato e parole. Simone mi ha guardato e mi ha guardato con i suoi occhi, non con quelli con cui è arrivato qui.
"Spero che tu abbia una stanza per gli ospiti in questa casa e soprattutto qualcosa di commestibile nel frigo."
Mi ha chiesto solo questo Simone, quel giorno. Un letto, del cibo e una muta promessa.

"E quindi? Cazzo ci fai ancora qui?"
"Pensi di farmi entrare?"
"Rispondi alla mia domanda."
La casa è un disastro. Ci sono robe ovunque e bottiglie vuote sparse sul pavimento. Hanno fatto baldoria, come è giusto che sia. Noto la medaglia della scorsa notte brillare nel caos. L'afferro e me la rigiro tra le mani.
"Cos'è, sei geloso?"
"L'avete meritata, sono felice per voi."
"Sei un falso."
"Non è vero e lo sai anche tu."
"Come siamo permalosi. Pensi di dirmi perché sei qui o devo tirare ad indovinare?"
"Sai anche questo."
"È vero. Quello che non so è cosa vuoi sentirti dire."
Taccio. Cosa voglio sentirmi dire? Non lo so, non lo so davvero.
"Se mi avessi chiesto di lui quarantotto ore fa ti avrei detto che non si è mai ripreso completamente, da quando non ci sei tu, che non ha mai riacceso l'interruttore. Ti avrei detto "sai, ride, scherza e sul campo da tutto come sempre. Ma non è quello di sempre. Io l'ho visto con te, l'ho vissuto prima che tu andassi via e so che non è quello di sempre."
Ti avrei risposto così ma ieri ho rivisto il Paulo di due anni fa. L'ho visto felice e sarei falso se ti dicessi che probabilmente dipende solo dalla vittoria. La luce che aveva negli occhi era diversa e sono convinto che l'abbia vista anche tu e sono convinto che tu sia qui per questo."
"Stai dicendo che avrei dovuto prendere quell'aereo?"
"No, non sto dicendo questo. Sto dicendo che se non sei convinto di quello che vuoi, se non sei qui per restare, allora puoi prendere il prossimo. Sei il mio migliore amico e lo sai ma sono stato al suo fianco in quest'anno e tengo a lui e credo che abbia il diritto di essere felice. E se hai intenzione di bussare alla sua porta oggi per ripartire domani, allora ti chiedo di non farlo. Lascia stare."
"Ora devo andare."
"Non fare così, Àlvaro"
"Così come? Come dovrei reagire? Pensavo che fossi dalla mia parte, pensavo fossi il mio migliore amico."
"Non fare lo stronzo, sai che non è così. Sono dalla tua parte, lo sono sempre stato e non ti permetto di dire il contrario. Sono il tuo migliore amico per cui ho tutto il diritto di dirti come la penso, di chiederti di non pensare unicamente a te stesso, almeno questa volta ed essere sincero, con te stesso prima di tutto."
Mi sento svuotato. Credevo che venire qui mi avrebbe dato la spinta necessaria ad affrontare la situazione e invece ora mi sento più piccolo che mai. Non riesco a guardare Simone negli occhi per quanto mi sento piccolo. Ha ragione e mi fa male. Mi fa male sapere che ha ragione.
Non so che fare.
"Posso dirla un'ultima cosa?"
Sollevo lo sguardo dal pavimento. Annuisco.
"Tutto quello che ti ho detto lo penso davvero ma penso anche che tu debba andare da lui."
Mi alzo, lo abbraccio e vado via.

Mi tremano le gambe mentre il taxi sfreccia tra le strade di Torino. Sto facendo la cosa giusta, lo so, ma ciò non mi impedisce di avvertire il panico strisciarmi nello stomaco. Quando arrivo davanti a quella casa, poi, ho la sensazione che le gambe non mi reggano, ho bisogno di fermarmi un attimo e respirare. Allora respiro. Devo solo fare qualche passo e suonare quel campanello, nient'altro. Non so ancora cosa dirgli, non so neppure se vorrà parlarmi ma so che non voglio altri rimpianti. Sto facendo la cosa giusta. Faccio qualche passo, suono quel campanello e aspetto. Aspetto e aspetto ancora. Non avevo messo in conto questa possibilità, la possibilità che tu non ci fossi. È mattino, dove sei?
Un foglio ed una panna, scrivo poche parole e un numero di telefono. Lo piego e lo lascio passare sotto il portone.
Lascio tutto nelle tue mani, adesso sta a te.

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