eight

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Ho noleggiato un'auto ed ho girovagato per Torino per ore.
Ho cercato tra la gente qualcuno che somigliasse a te, ho cercato i tuoi occhi, i tuoi capelli, le tue spalle. Ho cercato a lungo e invano. Sono stato nei tuoi luoghi, li ho girati ad uno ad uno. Cercavo tracce di te senza pensare che tu non lasci tracce. Sono stato in centro, poi ho raggiunto Vinovo. Mi sono fermato davanti al cancello d'ingresso. Un tempo mi sarebbe bastato strisciare un badge  per poter entrare senza che nessuno si accorgesse di me. Ora, invece, dovrei premere un pulsante e in un attimo tutto il centro saprebbe che sono qui. Non posso farlo, se tu fossi qui non saprei come affrontarti, non qui. Allora risalgo in macchina, il parcheggio è dall'altra parte della struttura e la tua macchina non c'è. Potresti comunque essere qui, magari qualcuno è passato a prenderti. Ma la tua macchina non era neppure a casa. Continuo a chiamarla casa. La tua macchina non era neppure a casa tua. Vado via. Continuo a girare per ore, senza meta. Continuo a cercarti tra i passanti.
Magari sei partito, magari non sei a Torino. Ma Simone me l'avrebbe detto. Mi ha detto lui di venire da te. Non mi avrebbe detto di venire da te se te non fossi qui. Giro, giro, giro. Devo smetterla. Ho lasciato tutto a te. Ora devo avere pazienza, devo darti tempo.
Decido di mangiare qualcosa. Non mi importa più che si sappia che sono qui. Mi fermo di fronte ad un ipermercato. Il tempo sembra non passare mai. Entro nel primo fast food ed ordino al volo. Il cameriere mi squadra incredulo e come lui tutti quelli che sono in questo locale che sa di olio e leggerezza. Sono troppo pesante per un luogo come questo, io con attorno il mio alone di nostalgia, paura, tristezza.
Mangio lentamente perché i minuti passino più in fretta ma sembra che si prendano gioco di me, che si divertano a passeggiare lentamente, quanto più lentamente possono.
Faccio un giro per negozi. Non so per quanto mi fermerò. Compro qualche maglia e dei jeans sperando di dover tornare ancora e magari ancora e ancora.
È pomeriggio, pomeriggio inoltrato. Torno in albergo e tra tutte le strade che potrei fare, ne imbocco una in particolare. Me ne pento quando fuori da casa, da casa tua, ci vedo parcheggiata la tua macchina. Non sei andato via, non sei partito, non hai lasciato Torino. Sei a casa, a casa tua e sai di me. Ti immagino mentre calpesti distratto le mie speranze, mentre raccogli quel pezzo di carta, mentre riconosci la mia scrittura. E poi? Poi cosa hai fatto? L'hai distrutto, quel pezzo di carta? L'hai fatto in mille pezzi, l'hai bruciato? O l'hai chiuso sul fondo di un cassetto vuoto, quel cassetto che non usavamo mai? L'hai fissato, hai pianto, hai sbattuto i pugni al muro? Cos'hai fatto? Non riesco a immaginarlo cosa hai fatto. So che non mi hai chiamato, che non mi hai scritto, non so altro. Cosa dovrei sapere?
Devo calmarmi. Devo tornare in albergo. Devo farmi una doccia. Non devo pensarci, non devo pensare a niente. Perché ho lasciato tutto nelle tue mani e io mi fido di quelle mani. Devo essere paziente, devo darti tempo. Te lo devo.
Quando arrivo, però, sono tutt'altro che tranquillo. Un senso di inquietudine mi attraversa lo stomaco e spinge verso l'alto, come a voler uscire a tutti i costi. Nella hall c'è Andrea. Mi sorride con lo stesso sorriso dolce della notte scorsa.
Io distolgo lo sguardo, afferro la chiave della mia stanza e in un attimo mi ritrovo in bagno, a vomitare tutto ciò che ho in corpo. Dal cibo all'anima, alla paura, al rimorso, ai rimpianti. Bussano alla porta. Una, due, tre volte. A stento riesco ad alzarmi dal pavimento freddo. Lavo i denti, sciacquo la faccia, grido 'arrivo'.
"Volevo sapere se fosse tutto okay, ma dal tuo colorito posso immaginare la risposta. Che succede?"
"Ciao Andrea."
Non mi risponde, aspetta la mia di risposta.
"È tutto okay, devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male."
Non mi crede, glielo si legge in faccia, non finge nemmeno di credermi.
"Ho finito il mio turno e volevo chiederti di fare un giro ma non credo sia il caso, a questo punto."
"No, non credo."
"Hai bisogno di qualcosa?"
"No, grazie."
"Vuoi che ti lasci solo?"
Sì.
"No, puoi restare se ti va."
Chiude la porta alle sue spalle e sulla terrazza si accende una sigaretta. Non stacca gli occhi dai miei nemmeno pur un momento. Io, seduto sul letto, lo osservo. È molto bello, Andrea. Ha occhi belli ed un sorriso sincero, una dolce fossetta sulla guancia. Inizia a farmi domande, domande semplici. Su di me, sulla mia famiglia, sul calcio. Mi chiede se sono fidanzato. Non gli rispondo. Mi chiede se sono innamorato. Non rispondo neanche a questo. La suoneria del suo cellulare mi salva in calcio d'angolo. Si scusa e risponde. Io recupero il mio per ingannare l'attesa, per non ascoltare la sua telefonata. Sfoglio Facebook, rispondo a qualche messaggio e come al solito mi ritrovo su Instagram. Pessima idea Àlavaro, pessima idea. Mi colpisce come un pugno in pieno stomaco, come una lama affilata, dentro di me tutto in frantumi. Una fanpage ed una foto. È buia. Solo una luce verde, quella di una discoteca, ad illuminare il suo volto. I loro volti, vicini, su di giri, senza pudore. I corpi separati solo da un soffio di vento. Le mani tra i capelli.
È una doccia fredda quella che mi investe, o forse sono solo le lacrime di ghiaccio che mi inondano il viso. Mi ritrovo sommerso, sott'acqua. Poi una mano mi riporta a galla. Mi accarezza delicata il viso, si porta via un po' di quell'acqua salata. Mi accarezza i capelli, le mani. Mi sussurra parole che sanno di conforto ma che a nulla servono. Non riesco a smettere, a smettere di piangere, a smettere di naufragare. Lui se ne rende conto, che a nulla servono le sue parole, si siede accanto a me, porta la mia testa sulla sua spalla e in silenzio aspetta che passi la tempesta, che il vento si plachi, che la pioggia smetta di cadere copiosa. Passano minuti, forse ore e il mare si placa. Torno a respirare. Lui se ne rende conto, mi stringe più forte, mi solleva il viso e mi obbliga a guardarlo negli occhi. Nei suoi occhi il mare è calmo e caldo e dolce.
"È tutto okay."
Mi asciuga le ultime lacrime ed una gli sfugge, mi scivola sulle labbra. Lui fa lo stesso. Mi scivola sulle labbra e nelle sue labbra accoglie quell'ultima goccia di sale. Si allontana, aspetta una mia reazione. Si avvicina ancora, poggia ancora le sue labbra sulle mie. Così per alcuni secondi. Mi lascia il tempo di allontanarlo, di ribellarmi. Ma il mio corpo non vuole allontanarlo, non vuole ribellarsi. Continua a baciarmi e la sua dolcezza scalfisce ogni pezzo della mia corazza. Sotto le sue labbra il mio scudo, lentamente, crolla. Non mi allontano, mi avvicino. Questa volta sono io a cercare le sue labbra. Le trovo impreparate, quasi stupite. Un accenno di sorriso le colora. Mi bacia ancora, lo bacio ancora. Baci casti, delicati che ti disinfettano l'anima e il cuore. Si allontana ancora una volta come per chiedermi qualcosa. Dalla sua bocca non una parola, però. I suoi occhi parlano, i miei, inconsapevolmente, gli rispondono. Mi afferra la maglietta, me la sfila. Inizia ad accarezzarmi e il mio corpo trema ad ogni suo tocco. Ogni volta che le sue labbra sfiorano la mia pelle sento scomparire una vecchia cicatrice. Torno a galla solo per inchiodare i miei occhi nei suoi. Hanno una luce diversa ora e le sue guance sono arrossate. Le accarezzo. Lo aiuto a togliere la maglietta, bacio il suo collo nudo. Vorrei restare così per sempre ma al suo corpo non basta più. Preme prepotente su di me e lentamente sento che non basta più neppure al mio. Cresciamo insieme, lui tra le mie mani, io tra le sue. Sempre di più. Dentro di me, dentro di lui. Sempre di più. I nostri respiri si fanno sempre più corti. Il suo si spegne un attimo prima del mio. Resisto ancora un istante, giusto il tempo di sentire il suo calore esplodere in me. Poi crollo sul suo petto. Sfinito, distrutto eppure totalmente completo, in un modo che avevo dimenticato. Lo bacio ancora, mi  sfiora ancora. E tra le sue carezze mi addormento. Dicono che per ogni fine ci sia un nuovo inizio. E non so se questa sia una fine o un inizio. So che questa notte il buio mi sembra bellissimo.

Mi sveglia un formicolio al braccio. Lui dorme sul mio petto. Ho paura di svegliarlo ma devo sfilarlo. Faccio attenzione. Si stiracchia un po', ma i suoi occhi restano chiusi. Resto immobile a guardarlo. È così bello, Andrea. Anche ora, che non posso vedere il mare, anche con la bocca schiusa e i capelli spettinati. È davvero bello. Fare l'amore con lui è stato bello, stringere le sue mani, non lasciarle neppure un attimo, è stato bello. È stato bello sentirlo respirare sempre più forte, vederlo mordersi le labbra per non fare rumore, stringere il cuscino per non impazzire. È stato così bello. Avrei voluto che il sole non sorgesse, stamattina, che oggi non arrivasse. Invece è qui. Il sole è alto in cielo e il mio telefono vibra per un messaggio. È la realtà che torna a bussare alla mia porta dopo una notte irreale e io vorrei non aprirla quella porta, vorrei lasciare il mondo fuori da questa stanza dove sono solo un ragazzo che ha amato ed è stato amato per un'interminabile notte irreale. Ma fuori, fuori da questa stanza sono il solito coglione, che scappa, torna e per una notte ama un altro. E allora devo aprire quella porta e devo aprire quel messaggio. Devo affrontare la situazione e prendermi le mie responsabilità. Devo smetterla di sperare che non sia suo, devo smetterla di sperare che se fosse suo ci sia scritto di sparire, devo smetterla.
Devo smetterla perché il messaggio è tuo. Devo smetterla perché mi dici di raggiungerti a casa. Non a casa tua. Semplicemente a casa.
Lo guardo un'ultima volta ma non lo sveglio. Per lui questa meravigliosa notte non deve necessariamente finire. La mia porta è aperta, non deve esserlo anche la sua.
Lascio un biglietto sul cuscino, gli bacio la fronte e vado via.

Per voi:
Capitolo interminabile, lo so. Non avevo mai scritto così tanto in una sola volta. Arrivata a questo punto della storia, però, ho bisogno di voi e dei vostri consigli. Ho tante idee in mente e sono combattuta. Per cui scrivetemi, se vi va, e fatemi sapere che strada volete che prenda la storia, che cosa vi piacerebbe leggere, come vi aspettate che vadano le cose da ora in poi. Aspetto le vostre idee. Nel frattempo vi mando un bacio.

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