C'è qualcosa di spaventosamente affascinante nel palcoscenico.
Quando sei sopra tremano le mani, tremano le ginocchia, trema tutto il corpo, tanto che trema anche il cuore.
Con il tempo, con quell'esperienza giovane che mi ha travolta nei primi vent'anni della mia vita, ho imparato che ci sono diverse emozioni che fanno tremare il cuore.
L'ansia da prestazione, l'amore, la tristezza.
Ma nulla fa tremare il cuore come il ricordo.
È strano, strano e buffo, strano ed ironico.
Ricordo perfettamente la prima volta che sono stata su un palcoscenico.
Le persone mi guardavano, mi studiavano, mi criticavano e mi giudicavano mentre, nel mio abito di velluto verde bottiglia, suonavo quei pezzi classici che hanno riempito per anni e anni le mie orecchie ed il mio cuore.
Per tutto il tempo, il mio cuore sembrava battere a ritmo con la musica dolce eppure violenta, finchè non ho staccato definitivamente l'archetto dalle corde, e per un attimo sembrava essersi fermato, cosí, immobile, sospeso nell'aria, finchè non ha ripreso a battere ad un ritmo tutto nuovo.
Quello degli applausi.***
Rivedo un po' di me in questo momento in quella bambina dalle lunghe trecce scure come la notte senza stelle mentre, in un vestito che sicuramente Sydney boccerebbe, continuo a camminare avanti e indietro nelle quinte, la mia mano leggermente sudata stringe il violino mentre l'altra segue un ritmo tutto suo contro la mia gamba.
"Hey, finiamo sempre per incontrarci cosí" esclama la stessa ragazza paffuta della scorsa volta, i suoi zigomi alti ancora più pronuciati dal sorriso genuino che indossa, calmo e sincero come se non sentisse minimamente la tensione della situazione.
Una risatina lascia le mie labbra a quel commento prima che annuisca: "credo sia destino...".
"Amèlie, chiamami Amèlie" aggiunge, sistemando fuori dalla custodia il suo violino, simile al mio ma di legno più scuro.
"Sai, credo che tu sia l'unica che non debba preoccuparsi affatto del palcoscenico. Sei una delle migliori là fuori, e te lo dice una che sa perfettamente di essere una schiappa davanti ad un pubblico" continua, pulendo il suo archetto e facendomi corrugare le sopracciglia.
"Perchè dici questo di te stessa?" Domando, sinceramente, e Amèlie sta per rispondere quando viene annunciata la band di cui, purtroppo, continuo a fare parte, ed immediatamente la ragazza sorride.
"In bocca al lupo" sussurra, proprio come l'ultima volta, e lanciandole un sorriso grato esco dalle pesanti tende nere, non vedendo il pubblico, non riconoscendo volti tra il buio della platea, sentendo lo strumento tra le mie mani quasi vibrare dalla voglia di essere toccato, quasi come un gatto che fa le fusa per essere coccolato.
Mi posiziono poco dietro alla chitarra, e gli altri membri si rivolgono verso di me che, ignorando tutto e tutti, chiudo gli occhi e senza aspettare altro, mi lascio trasportare da quella musica che comincio proprio io a creare.
Strano e buffo, strano e ironico.
È una delle mie canzoni preferite in assoluto, questa, eppure la percepisco lontana, quasi strana fatta con il violino.
Sarà perchè, nonostante le prove, non mi sia connessa ad essa in modo intimo o personale, o sarà per l'agitazione, eppure mentre eseguo Heart Out (una dolcissima coincidenza) mi ritrovo a vedere davanti agli occhi un ricordo ben preciso.
Sydney ama questa canzone, ed è stata la prima che abbiamo ascoltato una volta preso l'appartamento.
La nostra canzone, il nostro posto, il nostro nuovo inizio.
It's just you and I, tonight.
Eravamo solo io lei, quella sera, a disfare scatoloni, a ballare sugli ultimi successi, sulle canzoni meno ballabili in assoluto, ad agitare la testa in modo sconsiderato sulle note di Bigger Boys And Stolen Sweethearts, a goderci quella libertà che sapeva di novità.
Una novità che avevamo promesso di goderci insieme.
Il senso di colpa fa nuovamente capolino, ma strizzando gli occhi lo ignoro, concentrandomi sul mio strumento e sulla voce della cantante, cosí diversa da quella di Matty Healy.
Why don't you figure my heart out?
La canzone si conclude cosí, con il vibrato della chitarra che si mescola con l'ultima nota del mio violino, un mix particolare, che non so se Matty apprezzerebbe.
Come la volta precedente, rimango sola su quel palco troppo grande, io ed il mio violino, finchè il professore non mi presenta con il classico sorriso sornione che si mette sulle labbra davanti ad un grande pubblico.
Il pezzo da me creato questa volta è diverso rispetto a quello precedente, tanto che anche il titolo è riverso.
Décadence.
Decadenza.
Un po' quella che sto provando ora da quando Sydney ha scoperta e da quando non mi parla più.
Chiudo nuovamente gli occhi, sistemando il violino sulla spalla, sentendolo in ogni modo in cui uno strumento si possa sentire, e lentamente, con quella dolcezza melliflua che ha la nostalgia, comincio.
Parla di tante cose.
Parla di due bambine.
Due bambine conosciute per caso, rimaste per abitudine, amiche per affinità e sorelle per scelta.
Parla di due ragazzine idiote, con troppi grilli per la testa e mille e uno progetti.
Una sonata per la malinconia, una sonata per la melancolia.
Parla di due ragazze che sono andare al ballo dell'ultimo anno mano nella mano, per dimostrare che non avevano bisogno di un ragazzo per essere felici.
Una sonata che parla di tante cose, di tanti ricordi, di tanti squarci di vita vissuta.
L'inizio dolce, l'andamento allegro, quando arriva.
Sfocia nella violenza, nel litigio, nella sofferenza.
Quelle parole che...
"Sai qual è il problema? È che te ne voglio anche io".
Quelle parole che hanno colpito nel profondo, ferendo non l'orgoglio, ma qualcosa di ben più grande.
La promessa.
La promessa di donare parte del cuore a qualcuno che l'avrebbe custodita e protetta per sempre, senza riserve, nonostante l'andamento della vita.
Una sonata che parla di noi.
Una sonata che si conclude con il silenzio generale e con le mie guance rigate di lacrime.
Una sonata che parla di qualcosa di ben più grande di un amore finito.
Una sonata che parla di un'amicizia distrutta.***
In qualche modo riesco a sorridere a tutti gli studenti che si congratulano con me, ricambiando affettuosamente, cercando dinon mostrare nuovamente quella friabilità e quella debolezza mostrata suonando.
Sono troppo orgogliosa per piangere di nuovo o per farmi vedere scossa.
Senza aspettare oltre, una volta che le luci si sono accese in platea, scendo dalle quinte, con la custodia del mio violino in mano, pronta a correre verso l'uscita, quando una mano, un tocco che conosco troppo bene mi ferma, ma è quando riconosco l'anello al dito della mano che mi giro.
Le ho regalato io quell'anello.
"Je suis l'empire à la fin de la décadence" mormora Sydney, guardandomi con un leggero sorriso, facendone comparire uno anche sulle mie labbra.
"Solo tu saresti stata in grado di inserire Verlaine in una sonata" aggiunge, ridacchiando leggermente, e nei suoi occhi, finalmente, noto un bagliore familiare, una luce che mi era mancata da morire.
Un sentimento che ho temuto di non vedere mai più.
L'affetto.Ho una brutta notizia: il prossimo capitolo sarà l'epilogo.
Ma ovviamente non posso lasciar andare le mie ragazze ed i miei ragazzi in questo modo, perció appena pubblicheró l'epilogo pubblicheró anche il primo capitolo del sequel, The Bro Code.
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The Sis Code || Calum Hood
FanfictionTra amiche ci sono delle regole non scritte. La prima: se una sta male, l'altra deve starle accanto nonostante tutto. La seconda: in caso di delusione amorosa, non rivolgere più la parola all'ex dell'amica. La terza e più importante: mai e poi mai i...