La batteria SOSTIS. Novembre 1943

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Ci portarono a circa 10km da Argostoli, in una batteria vicino al mare, che doveva essere recintata con campi di mine e reticolato. Quelli che restarono al campo li imbarcarono su mezzi navali, per portarli prigionieri in terra ferma. Durante la navigazione i mezzi passarono su un tratto di mare pieno di mine magnetiche, saltarono in aria e gran parte dei nostri, ammassati come bestie nelle stive, non si poterono salvare e furono costretti a questo brutto destino, con loro anche molti Tedeschi a bordo. In seguito il Cappellano Militare veniva a celebrare la messa, e ci teneva informati su tutto ciò che avveniva in Italia e in Grecia, ci disse che i Tedeschi stavano perdendo su tutti i fronti, questo era motivo di speranza per tutti. Verso Pasqua nel 1944 fui operato di urgenza per appendicite acuta, mi portarono nell'ospedale di Argostoli, e dopo soli pochi giorni dall'operazione mi riportarono nella batteria. Ultimamente i Greci ci informarono che l'Italia era stata invasa e i Tedeschi ripiegavano a Nord, con altri due marinai per non lavorare con pala e piccone come faceva l'esercito, decidemmo di unirci a coloro che erano destinati nel campo minato. Era un lavoro di sincronizzazione ; mentre ai lati completavano il ferro spinato per la recinzione, l'esercito ci preparava le buche e noi con cautela piazzavamo le mine, caricavamo l'ordigno esplosivo e lo ricoprivamo con cautela per poi chiudere il coperchio e la buca. Terminata questa operazione facevamo tutti un passo avanti contemporaneamente e così via. Un ragazzo sulla mia sinistra stava parlando con qualcuno, e non ricordandosi esattamente dove aveva ricoperto la mina, mise il piede erroneamente sopra ad una di queste causando un esplosione, trovandomi a pochi metri da lui fui investito da terra e polvere, rimasi immobile mentre mi coprivo il viso, lo trovammo poco dopo a terra in una pozza di sangue, fortunatamente gli mancava solo mezza gamba e fu portato in tempo all'ospedale. Con il passare dei giorni le notizie che ci arrivarono promettevano bene, i Tedeschi continuavano ad arretrare su tutti i fronti, così preparammo un piano per vendicare tutta quella carneficina che avevano causato, e per tutte le perdite della gloriosa Divisione Acqui, con la partecipazione dei Partigiani, che erano sempre in contatto con noi. Il rancio non era sufficiente per cui durante la notte uscivamo nei campi vicini, mettevamo le coperte sotto gli alberi degli ulivi e ci rifornivamo, scambiando con i Greci il nostro raccolto per la farina di granoturco, mangiammo polenta per qualche giorno, ma quel posto non mi convinceva e gli altri miei amici se ne accorsero, così quando dissi di aver preso la decisione di scappare per raggiungere i Partigiani mi seguirono. Ahimè questo periodo non mi diede tutte le vendette che speravo, i Tedeschi ci attaccavano spesso in montagna, ma erano molto scogliose e piene di grotte, e noi dall'alto ci difendevamo benissimo. Dopo pochi giorni sentii da qualcuno che in un villaggio non molto lontano, c'erano delle ragazze "di vita", con il mio solito amico decidemmo di andarle a trovare, una volta arrivati ci divertimmo fino a sera, ci offrirono della verdura cotta che avevano trovato nei campi, e mentre cenavamo un ragazzino arrivò di corsa per avvisarci che stavano arrivando dei mezzi Tedeschi, saltammo da una finestra, poi il muretto dietro casa, e facemmo a gara a chi correva più veloce, quella notte percorremmo molti chilometri per rientrare nei nostri rifugi,  ma rientrammo soddisfatti della giornata passata, dopo giorni di paura, fame, dolore, non riuscivo a credere di poter ridere così tanto con un amico. in seguito facemmo dei rastrellamenti di Greci che avevano aiutato i Tedeschi. La mattina dopo arrivarono le truppe di liberazione, trovarono molte difficoltà per imbarcarci, perché molti si erano sposati con le ragazze che in quel brutto periodo li avevano aiutati, anche con la loro religione Ortodossa, molti matrimoni furono celebrati dal Cappellano Militare. Le ragazze furono affidate alle suore che rimpatriavano con noi, la traversa con il mare calmo la passammo ansiosi di rivedere l'Italia e tornare finalmente a casa, all'alba rientrammo nel porto di Taranto, e ci portarono nel campo di concentramento << S. Andrea >> verso Buffoluto. Ci disinfettarono e dopo un interrogatorio accurato di quanto avevamo fatto sull'Isola, ci smistarono nei vari corpi di appartenenza, con un mezzo della marina ci portarono al deposito, per permetterci di rivestirci, e subito dopo ci mandarono a casa con una licenza di 20 giorni, ero così ansioso di tornare a casa, non avevano mie notizie da un anno e non sapevano del mio arrivo. La stazione di Roma era un viavai di militari che partivano e arrivavano, guardando i loro pesanti zaini le mie labbra si piegarono in un sorriso, quello zaino era la cosa più fastidiosa da portare, e sistemare ogni volta in treno. Quando uscii dalla stazione il cielo era illuminato dai colori caldi e accoglienti dell'alba, tirava un forte vento di tramontana mentre aspettavo il mezzo che percorreva la zona di casa. Durante il tragitto un misto di emozioni padroneggiavano il mio stato d'animo, passavo dalla gioia alla speranza angosciante di trovarli tutti vivi e in buona salute. Suonai ripetutamente il campanello ma non venne ad aprirmi nessuno, così mentre stavo andando via, il rumore della porta che si apriva mi fece sobbalzare, era mio padre, mi disse che stavano tutti bene ma che il resto della famiglia era a Bagnaia in cerca di un po' di viveri, essendo l'unico a mancare benché stanco, presi nello stesso giorno il treno della Roma-Nord e li raggiunsi.

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