Imbarco Sull'Incrociatore Duca Degli Abruzzi. Napoli

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Al termine della licenza raggiunsi la nave di base a Napoli, fui destinato come puntatore di quei grossi cannoni da 381. In serata andai ad aspettare Rita davanti al locale dove lavorava, nell'attesa un misto di emozioni mi pervasero, chissà se lavorava ancora lì, chissà se si ricordava di me, se non era fidanzata. Rita uscì di corsa e finalmente il destino ci aveva riuniti, strada facendo le raccontai come mi ero salvato dall'isola della morte. Mi condusse in chiesa davanti alla statua della Madonna, dove mi fece notare che alla sua base c'era una mia fotografia, non era fidanzata e sperava sempre nel mio ritorno. Viaggiammo per il rimpatrio dei prigionieri da Porto Said in Egitto, a Casablanca in Marocco, dove facemmo diverse soste, quella più lunga fú a Porto Said. Durante un uscita con il mio collega Sergente, fummo fermati da due ragazze Italiane, che guardavano con ammirazione la nostra divisa. Ci raccontarono di avere un fratello a Roma, che faceva il direttore d'orchestra, dopo qualche chiacchiera facemmo subito amicizia, e le sorelle ci invitarono a casa per presentarci alla madre. Una signora non troppo alta con i capelli raccolti in una crocchia, ci accolse in una casa bellissima, ci accomodammo nel salotto e mentre raccontavamo dei nostri viaggi, una cameriera di colore ci servì del caffè Italiano. La sorella più piccola mi mangiava con gli occhi, lanciandomi occhiate continuamente e facendomi sentire un po' a disagio, conosceva 4 lingue e parlammo molto di Roma e della sua bellezza. Arrivata l'ora di pranzo la sua mamma ci invitó cordialmente a restare per pranzo, la ragazza ne era entusiasta. Una volta a tavola si sedette prontamente di fronte a me, e fummo subito serviti dalla stessa cameriera con delle ottime pietanze, non riuscivo a smettere di guardarmi intorno, la camera da pranzo era così accogliente e si respirava aria di cordialità e tranquillità in quell'ambiente, era da tempo che non provavo quella sensazione. La madre mi raccontò molto del suo primogenito che abitava a Roma da qualche anno, la coincidenza volle che nella via in cui viveva, quando ci abitavo anche io, facevo spesso quella strada per varie commissioni, e la ricordavo ben volentieri percorrendola nella mia mente. La ragazza interruppe i miei ricordi chiedendo il consenso alla sua mamma sul portarci al mare, dove avevano una cabina sulla spiaggia, così passiamo il pomeriggio lì. Ricordo ancora quanto era bella nel suo costume, ma ogni volta che la guardavo i miei pensieri andavano a Rita. Con il passare del tempo i nostri incontri diventavano frequenti, la signora Viola mi consegnava spesso delle lettere per il figlio, che impostavo ogni volta che potevo, così ogni volta che spediva una risposta, la consegnavo personalmente. Ad ogni nostro arrivo era una festa, ci venivano a prendere con un motoscafo in quanto eravamo ormeggiati in rada. Da bordo i miei amici osservavano l'arrivo di queste due bellissime ragazze, una volta mentre scendevo notai che anche l'Ammiraglio Tollarico ci aveva notato. Lei si chiamava Aurora, i giorni passavano e la nostra amicizia si stava trasformando in qualcosa di più, Aurora si stava innamorando pazzamente di me, tanto che lo notò anche sua madre, la signora Viola. Nel mio cuore però c'era solo Rita, così tutte le volte che ritornavo a Napoli, andavo a trovarla portando con me dei regalini per lei. Una volta tornati come consuetudine eravamo invitati a pranzo dalla signora Viola, e con tutte le "etichette" a cui erano abituati, mi ritrovai ad imitarli. Un giorno la signora Viola dopo pranzo, mi chiese con un filo di voce di seguirla nella stanza accanto, prese le mie mani dicendo di avere molta fiducia in me, riponendovi una busta con dei soldi da portare a suo figlio, <<per fare dei regali ai miei nipoti>> giustificò. Così da Napoli chiesi un permesso e andai a Roma, suo figlio e la moglie mi accolsero con signorile cordialità, mi portarono nella loro modesta abitazione, e una volta in salotto consegnai la busta con i soldi. Mi offrirono una buona tazza di caffè caldo e parlammo molto della mia permanenza a porto Said. Dopo poco mi chiese con insistenza di recarmi con sua moglie la sera stessa ad un suo concerto a teatro, così non potendo rifiutare, tornai a casa da mio padre e provai uno dei suoi vestiti da sera molto eleganti, accorgendomi con aria orgogliosa che avevamo la stessa corporatura. Il vestito mi calzava a pennello, così la sera mi recai al concerto, vestito di tutto punto, quella sera fui notato molto. Per tutta la serata mi presentarono molte persone, e dopo il concerto li ringraziai per la bella serata e tornai a casa, fiero di aver fatto una bella figura <<con il vestito di papà>>.  L'ultimo giorno dalla partenza, dopo aver passato la giornata con Aurora, mentre ero a bordo, verso tarda serata arrivò un motoscafo che aveva affittato, e mi consegnò una lunga lettera, dove mi ricordava tutto il suo amore e la sofferenza per la mia partenza, quella sera prima del nostro ultimo saluto ci promettemmo di rivederci a Roma. All'arrivo ad Algeri capitai di guardia, si prevedeva una sosta di un giorno e gli amici più fortunati scesero a terra, io mi rassegnai dal vedere quella città che tanto avevo desiderato visitare. Passai la serata su una torretta, con un binocolo osservai la parte della casba, il quartiere che era il rifugio di molti ricercati. Il giorno dopo ripartimmo e in serata attraversammo lo stretto di Gibilterra, l'oceano Atlantico ci accolse con un forte vento e mare agitato. Al mattino attraccammo nella banchina ormeggiati di fianco, le sentinelle Marocchine montarono di guardia lungo il molo, per controllare l'imbarco dei nostri prigionieri con accuratezza per il numero prescritto, quando qualcuna di queste si trovava sotto gli oblò si usava rovesciare dell'acqua sporca in testa, perché i nostri li avevano fatto fare la cura di carote dopo averli maltrattati. Sulla banchina vi erano centinaia di fusti di benzina e altro materiale, a noi non era proibito passeggiare, di conseguenza scendemmo indossando delle tute da lavoro, e quando fummo sicuri di non essere visti, ci infilammo tra questi fusti trovando nascosti altri Italiani, a cui fornimmo con discrezione tute e cappelli per farli salire a bordo. Per tutta la giornata fù una gara a chi riusciva a imbarcarne di più usando questo metodo, molti di loro erano scappati dai campi di concentramento nelle zone interne del Marocco, erano affamati e sfiniti, da anni attendevano il rientro a casa e senza il nostro aiuto avrebbero sicuramente atteso ancora per molto, erano dei momenti di vera commozione per tutti noi. Il Comando di bordo fece finta di non accorgersi di tutto il nostro traffico e delle facce nuove, non molto tardi arrivò l'ordine di prepararci a partire, la passerella venne ritirata e così lasciammo il porto. Nei locali sentivo cantare l'inno degli Alpini, avevamo imbarcato di nascosto molti prigionieri della Divisione Julia, e restai commosso nel sentirla cantare per la prima volta in coro, cantavano fieri del giorno in cui sarebbero ritornati a vendicarne i morti. Al ritorno trovammo il mare in burrasca, le ondate da prora accompagnate dal forte vento ci facevano sbandare paurosamente, i corridoi erano affollati da prigionieri che dormivano a terra e altri che passeggiavano sofferenti per il mal di mare, tanto che era quasi impossibile percorrerli. Altri gruppetti si formavano fuori in coperta per prendere un po' d'aria fresca, una forte ondata investì alcuni di loro facendoli finire in mare e la nostra nave subì dei danni, l'allarme venne dato con ritardo e ci proibirono di uscire in coperta fino all'arrivo a Napoli, fù così impossibile per noi salvarli. Lungo il resto del viaggio ce la prendemmo col destino, che aveva giocato questa carta proprio adesso che finalmente stavano tornando a casa. Quella notte ricordai un'altra missione per Cagliari, in pieno inverno durante la notte a causa del mare agitato, riportammo molti danni, i lanciasiluri di dritta si spezzarono dal sostegno e con lo sbandamento finirono in mare, le lamiere scricchiolavano, quelle che sembravano montagne d'acqua si riversavano inesorabilmente da prora a poppa, sembrava la fine del mondo.  Dalla mia cuccetta riuscivo a sentire le ondate che sbattevano contro la nave, per fortuna l'incrociatore manteneva bene e non avevo paura. Quando ritornammo a Napoli scesi a terra ancora stordito, ma felice di essere sulla terraferma, mi incamminai subito verso il salone dove lavorava Rita, raccontando di come avevo passato la notte. Arrivò l'ordine di tenerci pronti a partire, per dove era un mistero e tutti i permessi furono sospesi. Ero l'addetto al noleggio di alcuni film che si potevano guardare durante la navigazione, quella sera dovevo riconsegnare il film "Carmen" perciò ero autorizzato ad uscire, approfittai ad avvisare subito Rita. In nottata dopo il mio rientro arrivarono molte macchine, tra cui quella del Principe accompagnato dalla Principessa che salirono a bordo con numeroso seguito. Il Re sbarcò ad Alessandria e in seguito facemmo rotta per Lisbona.

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