Io e Anna riuscimmo a mettere da parte un modesto gruzzolo di risparmi, con la quale decidemmo di partire per Napoli recandoci nell'Orfanotrofio della Madonna dell'arco, collocato in un piccolo paesino ai piedi del Vesuvio. La madre superiora Enrica De Bartolo, alla quale avevo scritto, ci accolse nel suo studio meravigliata della nostra giovinezza. Ci informò con dispiacere che non poteva aiutarci, in quanto per legge dovevamo avere minimo 45 anni per l'adozione di un bambino. Notando il nostro desiderio ci accennò di una ragazza madre che aveva già un maschietto, e aveva partorito una bambina che aveva compiuto da poco qualche mese, era povera e l'orfanotrofio la aiutava come poteva offrendo di tanto in tanto un po' di latte. Dopo averci fatto un resoconto accurato delle condizioni in cui viveva questa donna, io e Anna ci offrimmo di prendere in custodia la piccola, dando anche un aiuto alla madre per agevolarla. La madre superiora entusiasta del nostro contributo andò subito a chiamarla chiedendoci di attenderla lì, approfittammo per fare un giro nel cortile dove trovammo tanti bambini che giocavano, guardandomi con aria incuriosita per via della mia divisa. Una suora di sorveglianza dopo averci parlato un po' dell'orfanotrofio ci fece vedere molti bambini, tra cui alcuni che avevano già in corso pratiche di adozioni, io e Anna ci guardammo senza dirci niente, in situazioni simili ci capivamo senza proferir parola, e dai nostri occhi trapelava un senso di dispiacere misto a impotenza. Ad interrompere i nostri pensieri fù l'arrivo della ragazza con in braccio la bambina in fasce, era malnutrita dalla carnagione scura e indossava degli abiti usati. Anna scoppiò in lacrime, quel giorno il suo animo fragile aveva visto troppo, così dopo l'incontro parlai con la madre superiora, dicendole che saremmo tornati l'indomani, per prendere una decisione adeguata consultandoci privatamente. Trovammo un albergo a Napoli, e dopo cena esausti dal viaggio, crollammo immediatamente. Il mattino dopo io e Anna ci raccontammo di aver sognato la bambina, sorpresi di averla sognata entrambe un po' cresciuta mentre saltava su e giù dal nostro letto, senza dirci nulla di più ci preparammo accuratamente, appena aprirono i negozi le comprammo tutto il necessario per vestirla, in seguito ci ritrovammo con gli occhi pieni di speranza sul treno per l'orfanotrofio. Arrivammo con il pacco di vestiti e ad accoglierci fù la madre superiora, guardando la busta ci disse con un sorriso grato che la bambina non poteva aver trovato famiglia migliore, non potendo contenere l'entusiasmo le raccontammo del nostro sogno fatto la notte stessa, in risposta ci disse che il Signore l'aveva destinata a noi. Mentre fece chiamare la ragazza da una suora, le ore passavano lente insieme alla nostra speranza di vederla arrivare, io e Anna pensammo che forse la madre naturale ci avesse ripensato, anche le suore guardavano freneticamente lungo il viale in attesa del suo arrivo, il giorno dopo sarei dovuto rientrare dal mio permesso, non potendo aspettare ancora salutammo tutti recandoci in stazione, strada facendo guardavamo sempre verso l'orfanotrofio con la speranza di incontrare quella bambina che sentivamo già nostra. Nell'attesa eravamo assolti nei pensieri, tanto da sembrare in una bolla invisibile, fissavamo immobili il cancello dell'orfanotrofio, quando arrivò il treno restò per pochi minuti in attesa dei passeggeri, non ci accorgemmo di nulla perdendolo. A spezzare l'incantesimo fù una suora, che con un cenno ci disse di ritornare, ci guardammo increduli e sorpresi, presi la mano di Anna e con passo svelto tornammo in orfanotrofio, felici di aver perso il treno. Ci attendevano in ufficio, dove conoscemmo anche il suo papà, dopo i consigli accurati della madre superiora facemmo un accordo, e regalammo quello che ci era rimasto alla madre di quella che ormai era nostra figlia, in quanto aveva anche un maschietto di due anni, sperando che potesse bastarle per un po'. Guardammo per un tempo indefinito quella creatura nelle nostre braccia, avvolta da misere fasce sporche, i suoi occhietti ci guardavano curiosi, avevamo un sorriso stampato in faccia che non riuscivamo a togliere, consapevoli del grande passo. Una suora ci guidò per lunghi corridoi, che facevano eco ai nostri passi, fino ai dormitori e i bagni dei bambini, prese la piccola insieme alla busta di vestiti, quando tornò con la bambina pulita e vestita stentammo a riconoscerla, non credemmo ai nostri occhi, era completamente diversa. Le suore intorno a noi fecero festa ringraziando il Signore di averla mandata nelle nostre mani, facendoci sognare e perdere il treno. Decidemmo di darle il nome di mia madre, Celestina.
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Le Mie Memorie
Historical Fiction> Benito un ragazzino cresciuto troppo in fretta, dedito alla patria decide di arruolarsi come volontario di guerra a soli 17 anni. Inizia così i suoi viaggi per il mondo, affrontando le devastanti vicissitudini della guerra. Un racconto che ci perm...