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La prossima luna piena.
Esattamente tra tre settimane, stando ai calcoli di Ermine. Ho una folle voglia di morire, di fuggire. Già, scappare. Ma come?
Evan è costantemente presente, nonostante non lo veda ed Ermine si è dimostrata incredibilmente forte.
Inoltre, la residenza si trova nel bel mezzo del nulla e non sarebbe di certo difficile ritrovarmi.
Mi sento tremendamente sola e spaesata, ho bisogno di qualcuno con cui parlare. Come Clara. Lei pareva aver mantenuto un minimo di umanità nei miei confronti e per questo ha dovuto pagare. Stringo i pugni per evitare di scoppiare in lacrime, al suo ricordo. Ho bisogno di una confidente, di una amica. Qualcuno come Alice. Oh, Alice....così dolce e materna con me. Chissà cosa starà facendo adesso? Se di nascosto, al buio della sua stanzetta starà piangendo la mia mancanza? Voglio farle sapere che anche a me manca, che non voglio restare prigioniera di un mostro per uno stupido patto così antico che di esso non si ricordano nemmeno le origini.
Sono così frustrata, mi sento così impotente, ed una rabbia fredda mista al rancore inizia a farsi strada in me. Come ha potuto mia madre farmi una cosa simile? Perché ha scelto di concedermi ad un essere come Evan Woods, nonostante fosse a conoscenza della sua natura? Senza parlarne con me, senza mettermi in guardia. Come ha potuto dopo i lutti nella nostra famiglia? Una lacrima di rabbia mi scende lungo la guancia ed io l'asciugo via con impeto. Ho voglia di agire, di lottare, di urlare. Non voglio più rimanere qui inerte, ad aspettare di vedere cosa ne sarà del mio destino.
- Dove state andando, miss? - chiede Ermine venendo verso di me. È sbucata come un'ombra, da un angolo buio del corridoio principale.
- Ho bisogno di una boccata d'aria fresca, esco in giardino.
- Il signor Woods non vuole che usciate da sola nel labirinto. Potreste perdervi.
- Se stai insinuando di voler venire con me, saresti solo una seccatura. Ho bisogno di aria e di solitudine per riflettere - taglio corto.
Ermine fa per ribattere, ma la batto sul tempo: - Non mi addentrerò nel labirinto. Il signor Woods può concedermi almeno del tempo all'aria aperta, no?
Detto questo, esco fuori, e vengo subito investita dal calore piacevole del sole. Strizzo gli occhi un paio di volte per la forte luce, poi mi avvicino alle folte siepi.
Cammino un po' fra di esse, osservando ammirata le foglie incredibilmente verdi. Dopodiché, certa di essere sola, imbocco l'entrata dell'immenso labirinto.
È vero, potrei perdermi, ma gli anni della mia infanzia trascorsa a giocare nel mio labirinto, sono serviti allo sviluppo di un notevole senso dell'orientamento. Sono sicura delle mie capacità. E poi, desidero ardentemente di scoprire la ragione per cui Evan mi proibisce di addentrarmi tra queste siepi, ma so che qualunque sia il motivo, è lo stesso che faceva  sudare freddo Clara, per cui poi ha pagato con la stessa vita.
Deve pur essere così.
Dopo aver svoltato una serie di corridoi di siepi di un verde quasi splendente, ora lo scenario cambia notevolmente: il verde è più sbiadito, e mano a mano che vado avanti, esso sparisce completamente, per lasciare spazio al marrone ed al grigio del groviglio di rovi che le siepi ordinate sono diventate. Non mi ricordo di aver notato questo scenario così tetro quando sono venuta qui per la prima volta, in compagnia di Evan. Rabbrividisco istintivamente, ma mi rifiuto di tornare indietro e mollare tutto.
Delle foglie secche ricoprono il pavimento in marmo. Il rumore dei miei passi che le calpestano è quasi assordante, così cerco di essere il più silenziosa possibile. Mi sento osservata, ed il brivido che mi scuote la schiena mi fa voltare di scatto, per paura di essere scoperta.
Svolto l'angolo ed eccola qui. Di fronte a me si staglia la fontana rappresentante la scena disperata che Evan mi ha voluto mostrare.
Mi avvicino timorosa e sollevo lo sguardo sul volto dell'uomo. Qualcosa nei suoi tratti mi colpisce, così come per la donna, in un modo stranamente familiare. Stringo gli occhi e poi capisco. Evan è l'uomo tanto disperato e la ragazza che gli tende la rosa...sono io. Le ginocchia cedono ed ho un mancamento per lo sconcerto. Seppur lievemente accennati, la statua della donna possiede i miei lineamenti. Come ho fatto a non accorgermene prima? Eppure sono sicura che non aveva questo volto, altrimenti me ne sarei resa conto. Indietreggio, confusa, e vado a sbattere con la schiena contro la siepe dietro di me. Poggio le mani su di essa, e sento sotto le mie dita la delicatezza delle rose. Mi volto per osservarle meglio, e quasi resto paralizzata per la sorpresa. I miei palmi sono di un rosso denso e scuro e due rose bianche spuntano in mezzo ad una siepe di rose rosse. Del colore scarlatto è rimasto su un petalo di una delle due, ed io mi guardo le mani, meravigliata. È come se avessi risucchiato loro il colore. Che siano dipinte? Evan aveva ragione, quindi, a dire che nel suo giardino vi sono unicamente rose bianche.
Ne tocco un'altra, e subito il suo colore sembra trasferirsi alle mie mani, trasformando i petali, in modo che sia una candida rosa.
Provo con una quarta e poi una quinta, ed ecco che accade la stessa, strana, magia.
Eccitata, provo il desiderio irrefrenabile di trasformarle tutte e portarle al loro stato originale. Ma perché Evan mi ha proibito di venire qui? Forse per la fontana? E per quale motivo, poi, Evan avrebbe dovuto dipingere centinaia, forse addirittura migliaia di rose?
Osservo le mie mani, pensierosa, e noto che il colore non è più di un rosso acceso, ma è più denso e scuro, ora che mi si è seccato sui palmi. Il mio sorriso si spegne, quando capisco di cosa si tratta, e l'odore metallico ne è la conferma: sangue. L'urlo mi esce dalla gola prima che possa fermarlo, per paura che possa essere scoperta.
Mi allontano di botto dalla siepe e corro verso la fontana per lavarmi le mani nella poca acqua rimasta, anch'essa tempestata di rose rosse galleggianti, che conferiscono all'acqua lo stesso colore scarlatto. Respiro affannosamente mentre tento di scrostarmi il sangue di dosso a tutti i costi.
- Oh Dio, oh Dio...- mormoro, peggiorando la situazione. Ormai l'acqua della vasca ha perso la sua limpidezza, e l'odore inconfondibile del sangue impregna l'aria, appiccicandosi ai miei vestiti, alla mia pelle, perfino.
Un sussurro mi fa voltare di scatto. Non c'è nessuno. Mi alzo lentamente in piedi, e scruto attentamente ciò che mi circonda. Il silenzio è di nuovo padrone di questo posto, d'un tratto macabro.
Con la coda dell'occhio, scorgo un movimento e poi sento un fruscio. Con il cuore in gola, mi volto verso l'accesso a tale spazio, da cui io stessa sono venuta. Mi avvicino lentamente. Sono stata scoperta, ed ora Evan si sta divertendo un po', spaventandomi a morte prima di darmi il colpo di grazia.
Avanzo ancora, cauta.
- Evan? - lo chiamo. So che è lui, inutile quindi rimandare l'inevitabile.
Un altro fruscio, stavolta alle mie spalle. Mi irrigidisco, poi mi giro lentamente. Di nuovo la sensazione di essere osservata. Sono pronta ad affrontare Evan, ma di lui non c'è traccia.
- Smettetela di giocare a questo malsano gioco! - grido, mentre il panico e la paura affiorano nella mia voce. Mi maledico mentalmente.
Un sussurro. Flebile, ma nitido allo stesso tempo. Mi chiama.
- Evan? - balbetto, incerta. Proviene dalle siepi, ed io mi avvicino.
- Eleanor...
Sembra quasi un sospiro.
Mi avvicino ancora di più, così tanto che riesco a scorgere i rami tra le foglie. E lì, proprio nel mezzo del fitto dei rami, un occhio vitreo compare all'improvviso.
Urlo terrorizzata, poi sento di nuovo qualcuno chiamarmi, ma stavolta non è un flebile sospiro: è un grido.
- Eleanor!
Mi volto ancora impaurita, trovandomi Evan davanti. I suoi occhi nascondono la sua ira, ma non me ne importa nulla. Mi lancio contro di lui, rannicchiandomi contro il suo petto. - Evan - singhiozzo.
Il suo corpo è rigido. - Ti ho proibito di venire qui. Non...- si blocca, poi mi afferra le mani, volgendo i palmi verso l'alto.
Inspira di scatto, ed io cerco di ritrarli temendo che la vista del sangue possa risvegliare la sua natura. Invece, i suoi occhi rimangono normali e il suo sguardo resta immutato.
- Hai toccato le rose? - chiede, ma ho l'impressione che sia una domanda retorica.
Annuisco. - Io...credevo fossero dipinte, non...e poi quelle voci...
- Dipinte? - Evan ride, mostrando un canino. Poi torna serio. - Hai visto, sentito qualcosa?
- Delle voci, ombre e fruscii. Credevo foste voi, ma poi ho visto un occhio, là in mezzo - indico tremante la siepe.
- Nient'altro? - Evan lancia un'occhiata fugace alla fontana.
- Ha le nostre sembianze. Rabbrividisco ancora.
Evan mi guarda. - Già. Fa parte del naturale ordine delle cose per il patto di cui ti ho accennato. Non saresti dovuta venire qui da sola - dice serrando la mascella per esprimere il suo disappunto.
- Quelle rose sono coperte di sangue! - esclamo, ritrovando il senno ed allontanandomi da lui di qualche passo.
Evan rimane in silenzio. Lo sa già. Ma certo. È per questo che mi ha proibito di venire qui.
- Perché non me lo avete detto?
- Perché avrei dovuto farlo, miss Donato? Mi reputate già un mostro, e se sapeste la verità, sono certo che non avrete il coraggio di incrociare il mio sguardo.

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