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Un rumore improvviso mi sveglia di soprassalto. Qualcuno sta graffiando la porta da fuori.
Lo strusciare metodico e rapido delle unghie contro il legno mi fa rabbrividire, e mi stringo nella coperta. - Chi è? - chiedo, non ricevendo alcuna risposta. Mi alzo dal letto per dirigermi verso la porta. - Chi è? - ripeto, e stavolta il rumore cessa. Apro la porta della mia stanza, credendo di trovare Evan. Non c'è nessuno ed il buio del lungo corridoio è più pesto che mai. Afferro la candela accesa dal mio comodino ed esco dalla camera, addentrandomi nell'oscurità scarsamente rischiarata dalla luce. Il pesante silenzio viene interrotto da sussurri. Gli stessi del labirinto. Tremando e raccogliendo il mio coraggio, li seguo, per capire la loro provenienza. Un urlo disumano squarcia la notte, mentre un qualcosa di freddo passa accanto a me ad una velocità sovrumana. Barcollo per tentare di riprendere l'equilibrio e la candela mi cade dalle mani, spegnendosi. C'è qualcuno qui con me, e per la terza volta, ho la sensazione di essere osservata.
- Chi siete? - balbetto.
Una risatina. - Chi siete? - ripeto.
- Scappa finché sei in tempo...- un flebile sibilo di una donna mi fa voltare di scatto. Il freddo mi pervade. - Scappa, Eleanor o andrai in contro alla tua rovina, alla tua morte...scappa!
Il suo volto appare a pochi millimetri dal mio. È incredibilmente pallido e dalla bocca sottile partono delle crepe che si dirigono verso le due cavità nere in cui un tempo vi erano gli occhi. Grido, prima di svenire dalla paura.
- Miss Donato? Signorina, svegliatevi - qualcuno mi scuote.
Apro piano gli occhi, e mi accorgo di essere distesa sul pavimento. Indosso ancora la camicia da notte, e non capisco come mai io mi trovi qui. Poi ricordo. Devo aver perso i sensi dopo aver visto quel volto così...orribile e terrificante. Rabbrividisco ed  inizio a tremare, mentre un forte senso di nausea mi scuote, ricordandomi ancora il disgusto provato.
- Finalmente. Cosa vi è successo? - chiede Ermine, china su di me. Sono stata così presa a ricordare ciò che è successo, che non mi sono resa conto che dietro di lei, in piedi, c'è Evan. Ha un'espressione seria dipinta in viso e le braccia incrociate sul petto. Indossa una camicia bianca di cui ha arrotolato le maniche fino ai gomiti. Con le braccia ben in vista, scorgo i segni già lievi di un morso, da cui scendono rivoli di sangue. - Cosa vi è successo? - esclamo, scattando in piedi.
- Non sembravate stare molto bene, quindi ho pensato di darvi il mio sangue - dice coprendo il morso con una mano. - Sta già guarendo.
In effetti sta sbiadendo, ma non è il fatto che una ferita del genere stia sparendo come se niente fosse a gelarmi.
- Mi avete fatto bere il vostro sangue? - balbetto, inorridita.
Lui sembra alzare gli occhi al cielo, in un gesto esasperato.
- No. Pensavo di fartelo bere, ma ti sei svegliata appena in tempo.
Toglie la mano dal braccio e lecca via le poche gocce di sangue rimaste sulle sue dita. Qualsiasi segno riconducibile al morso è già svanito.
- È terribilmente triste bere il proprio sangue... - mormora Evan fra sé, studiandosi la mano, forse alla ricerca di eventuali tracce di sangue rimaste. Distolgo lo sguardo, mentre mi si forma un nodo alla bocca dello stomaco.
- Desiderate qualcosa, Miss? - Ermine richiama la mia attenzione. Scuoto leggermente la testa. - No, grazie. Sono ancora scossa...- mi lascio sfuggire. Lo sguardo di fuoco di Evan saetta su di me, penetrandomi e facendomi sentire trasparente e tremendamente vulnerabile, più di quanto io non lo sia già.
- Ermine, puoi andare. Me ne occupo io, adesso - intima perentorio, ed un brivido freddo mi percorre la schiena. Dovrebbe essere una frase rassicurante, ma non detta da lui. Queste parole hanno sempre l'effetto contrario su di me. Ermine si congeda con un piccolo inchino, ed io mi ritrovo da sola in corridoio con il mio aguzzino.
- Cosa è successo esattamente, questa notte? - chiede. Provo l'irrefrenabile impulso di mentirgli, ma so che sarebbe inpossibile negare davanti l'evidenza. E poi, la mia mancanza di collaborazione lo farebbe sicuramente infuriare. Ed un Evan in questo stato d'animo è l'ultima cosa di cui ho bisogno, adesso.
- La porta della tua stanza era chiusa a chiave, mi sbaglio?
Rabbrividisco. È passato al "tu". Capisco che è il suo modo di dimostrare il suo possesso nei miei confronti. La cosa mi infastidisce estremamente, ma so di non potere nulla contro tutto questo, contro di lui, contro il mio infame destino.
Annuisco. - E allora, come mai Ermine ti ha trovata svenuta qui, questa mattina?
Prendo un respiro profondo.
- Perché sono uscita io. Durante la notte sono stata svegliata da dei rumori contro la porta, così ho aperto e sono uscita in corridio per scoprire chi ne fosse l'artefice,-spiegai. Perfetto. Sarei dovuta sembrare coraggiosa, ma tutto ciò che riesco a pensare ora, è come sia stata incredibilmente sciocca ed irragionevole. Una persona sana di mente non avrebbe aperto la porta.
Evan non perde tempo a confermare le mie idee:
- E quindi, hai pensato bene di abbandonare il tuo posto sicuro. Cosa hai visto?
Spalanco la bocca. Come fa a saperlo?
Ci metto troppo tempo a rispondere, ed Evan serra i pugni.
- Una...donna.
Un pugno colpisce il muro, ed il colpo rimbomba fra le pareti, risultando amplificato nel fondo del corridoio immerso nella penombra.
- Che aspetto aveva?
- Orribile...era pallida, aveva dei lunghi capelli scuri e due buchi neri al posto degli occhi - singhiozzo.
- Ti ha parlato?
- Io...non lo so, è stato così terribile...- mento, in parte. Non posso riferirgli ciò che mi ha detto.
Evan sospira. - Vieni qui.
Sgrano gli occhi. Cosa? Ho capito bene? Evan mi guarda con un lampo di fastidio negli occhi.
- Avanti. Vuoi restare tutto il tempo a fissarmi?
Non mi muovo, ed in una frazione di secondo si allunga su di me e mi afferra il polso, facendomi andare a sbattere contro il suo petto. Mi sta forse abbracciando? Il mio cuore si scalda un po', ma questo momento di umanità da parte sua dura poco. Mentre mi tiene stretta a lui, lo sento pronunciare un nome a denti stretti: Eveline.
È il nome della donna che ho visto?
- Come fate a sapere il suo nome? Vi ho solo descritto l'aspetto.
Che sia stata una delle giovani Donato promesse? Rabbrividisco istintivamente. Mi ha detto di scappare per preservarmi dal suo stesso destino ignobile.
Lo sento ridacchiare sommessamente, e la cosa non mi piace per niente.
- Lo so perché, avendola uccisa io, mi ricordo perfettamente come ho ridotto il suo corpo. Il suo aspetto da fantasma è lo stesso del cadavere sul quale ho banchettato.
Mi scosto immediatamente da lui, provando un forte senso di nausea. Come può dire certe cose con una naturalezza tale?
Ammettendo le sue colpe non sembra per nulla pentito, nè pare provare rimorso. La sua anima è persa, ormai. Non ha alcuna speranza di salvarsi dal buio eterno.
Evan ghigna. Poi, come se mi leggesse nel pensiero, dice:
- Oh, non guardatemi così, Miss Donato. La mia anima è persa già da tempo. Molto, molto, tempo.

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