Capitolo 7

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  Magnus si era offerto di accompagnarlo a casa, ma Alexander aveva gentilmente declinato il suo aiuto. Maryse era una donna delicata, nemmeno lui sapeva esattamente come comportarsi con la sua stessa madre.
Magnus aveva salutato il ragazzo con un bacio, avvolgendolo tra le sue braccia, e Alexander fu quasi tentato di non andarsene più da quella calda stretta. Però fu costretto, così aveva abbandonato quel lussuoso appartamento ed era corso verso Brooklyn, sperando di raggiungere la sorella per darle soccorso il più velocemente possibile. Maryse era una donna piuttosto autoritaria e lo era sempre stata, sin da quando lui era piccolo. Non era una cattiva madre, ma aveva sempre un'aria imponente che li intimidiva leggermente. Li aveva educati in modo rigiro e composto, nonostante poi Isabelle avesse preso una strada un po' libertina. Ma Maryse era sempre stata molto critica con i figli, sembrava che lei, per loro, avesse già dei progetti prestabiliti e quindi non potevano prendere altri. Alexander però aveva un altro progetto di vita, dentro di sé custodiva un segreto che solo la sorella conosceva. Maryse e Robert avevano prestabilito che lui diventasse il braccio destro del padre nell'azienda di famiglia, mentre per Isabelle avevano stabilito una carriera politica. Nessuno dei due, però, aveva seguito il loro destino già segnato. Alexander perseguiva il sogno di poter pubblicare un libro, mentre Isabelle sognava di diventare una modella di fama mondiale. Entrambi si erano trasferiti dalla California a New York per seguire ciò che il cuore diceva loro, nonché per allontanarsi dai drammi famigliari. Maryse e Robert non erano mai andati a trovarli né loro erano mai tornati a casa, le videochiamate su Skype erano bastate in quegli anni. Alexander si passò una mano sul volto, mentre scendeva velocemente le scale della metropolitana. Si chiese a cosa dovesse il piacere della visita della madre, ma sapeva già rispondersi: le fotografie della sorella. Evidentemente la notizia era già giunta alle orecchie dei genitori e quindi era questione di tempo, Robert sarebbe arrivato a New York. I drammi famigliari sarebbero iniziati di lì a poco e sicuramente lui avrebbe litigato con suo padre.
Alexander salì sulla metropolitana e si sedette su in posto libero, a quell'ora della notte tutte le linee erano pressoché vuote. Poggiò i gomiti sulle gambe e si prese la testa tra le mani, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo. In quel momento avrebbe voluto che Magnus fosse seduto accanto a lui, magari gli avrebbe preso la mano e gli avrebbe sorriso. Riaprì gli occhi e si mise a sedere composto, poggiando la schiena e osservando il vagone semi-vuoto. Su quella linea, a quell'ora, c'erano gran poche persone: un uomo anziano con dei vestiti mal messi, i capelli brizzolati e sudaticci attaccati alla fronte; una ragazzina dark, dai capelli corti neri con delle meches multicolor e jeans strappati, che masticava la cicca con la bocca aperta. Alexander li osservo e pensò a loro, a quali vite potessero vivere, a cosa li aveva spinti a prendere quella metro a quell'ora. Il vecchio, secondo lui, era un vecchio uomo d'affari che aveva perso tutto pian piano: famiglia, salute e soldi, così ora si ritrovava ad elemosinare denaro in giro per la città e a vivere di stenti. La ragazza, invece, viveva in una tranquilla villettina ai margini della città, con due genitori che si amavano e amavano lei a loro volta; a quella ragazzina, però, la vita andava stretta e nessuno la capiva, il suo dolore interiore lei lo manifestava in quel modo, con quei vestiti gridava che voleva essere aiutata. E lui cosa era? Lui era un ragazzo che aveva paura di realizzare il suo sogno, che era appena tornato da un appuntamento con un ragazzo fantastico, che rientrava a casa per affrontare la madre al posto della sorella e rimettere ogni tassello del puzzle al suo posto. Come ogni volta. Come faceva da sempre. Non si era portato Magnus con sé non perché avrebbe dovuto presentarlo alla madre, ma perché la sua famiglia aveva una certa abilità nei litigi e di farlo assistere, di umiliarsi in quel modo al loro primo appuntamento non ne aveva voglia. Ci sarebbe stato tempo, magari più avanti, per far conoscere a Magnus quel lato di sé e farlo spaventare al punto da farlo scappare. Prima voleva goderselo per un po'. 
La sua fermata arrivò presto, troppo presto, così dovette abbandonare l'anziano senzatetto e la ragazza dark. Arrivato sentì un nodo alla gola, perché non vedeva la madre da anni e non sapeva se era pronto a quel passo. Ogni critica, ogni parola cattiva, ogni sguardo deluso sarebbero stati come una coltellata nel petto. Maryse, però, era comunque sua madre e lui la amava nonostante tutto. Si decise a salire le scale e infilò le chiavi nella porta di casa, accorgendosi poi che era aperta. Le tolse e aprì la porta, fingendo un sorriso rilassato.
«Sono a casa!»
Isabelle era seduta sul divano, con le braccia conserte al petto, lo sguardo fisso verso il vuoto. Sentendo la voce calda del fratello, si alzò e lo raggiunse, visibilmente turbata e scossa. Alexander pensò che il litigio aveva già avuto inizio. Stava per dirle qualcosa, qualsiasi cosa che l'avrebbe tranquillizzata, quando vide sua madre in piedi accanto alla libreria. Maryse era sempre stata una donna bellissima e tutti quegli anni di lontananza non l'avevano cambiata, era certamente invecchiata, ma restava estremamente elegante e affascinante. Era alta, dal fisico sodo e snello. Lunghi capelli corvini le ricadevano sulle spalle e sulla schiena, pizzicandole leggermente il collo. I suoi occhi neri lo stavano fissando impassibili, la bocca era contratta in una smorfia, le braccia conserte al petto. Alexander sorrise debolmente e le si avvicinò, bisbigliando.
«Ciao, mamma.»
Maryse sciolse le braccia e strinse il figlio in un abbraccio veloce, con una pacca finale sulla schiena. Alexander pensò che preferiva sicuramente gli abbracci di Magnus.
«Alec, dove eri? Pensavo che tu e tua sorella passaste insieme ogni serata. E' piccola, sai che è tuo dovere tenerla d'occhio.»
«Mamma!» intervenne Isabelle, stringendo i pugni. «Ti ho già detto che non sono più così piccola e sono cinque anni che viviamo qui, ho imparato a cavarmela da sola. Smettila di volermi controllare sempre»
Maryse lasciò il figlio, facendo un passo avanti verso Isabelle e la guardò con severità.
«Sei così brava a cavartela da sola che New York City è tappezzata di tue foto nuda, con le cicatrici in bella mostra. E' così che tu te la cavi da sola? E' così che ringrazi tuo padre e me per averti permesso di vivere qui con tuo fratello? Cosa dirà la gente su quelle cicatrici?»
«Non me ne frega niente di quello che dice la gente, per quel che mi riguarda possono parlare quanto vogliono. Il corpo è mio e decido io cosa farne. Ho scelto di essere fotografata da un famosissimo e bravissimo fotografo di moda, che ha pubblicato quelle foto come denuncia verso un mondo che predilige l'aspetto esteriore perfetto. Io non sono perfetta, tutti gli esseri umani sono frammentati, hanno cicatrici e imperfezioni. Il mio corpo è segnato, ma segna la mia storia, la storia di quella che ero e di quella che sono diventata. E' incoraggiare le persone a mostrare il proprio dolore e a condividerlo, perché solo in questo modo possiamo superarlo. E' incoraggiare le persone a non aver paura a essere se stesse.»
Isabelle aveva parlato d'un fiato, senza fermarsi un secondo, tant'è che aveva il fiatone e sembrava leggermente sconvolta. Alexander l'aveva ascoltata e si era sentito tremendamente orgoglioso, come non lo era quasi mai stato prima. Lui conosceva bene la sorella e sapeva che non si sarebbe mai fatta fotografare in quel modo solo per una mera pubblicità, così aveva deciso di fidarsi, anche se in un primo momento ne era rimasto sconvolto. Il messaggio che sua sorella voleva lanciare era bello e giusto e lui non poteva far altro che appoggiarla. Alexander le sorrise e si avvicinò a Isabelle, prendendole la mano e guardando poi la madre.
«Mamma, penso che il messaggio di Isabelle e del fotografo sia giusto, non trovi? Isabelle non è una poco di buono, lo sappiamo.»
Maryse era scossa, ma cercava di non darlo a vedere. Tutto quello che voleva, che aveva sempre voluto, era che i figli rinsavissero e tornassero a casa. Maryse sperava che loro avessero avuto ancora bisogno di lei, ma era ormai evidente che potevano cavarsela da soli. Alexander, soprattutto, ormai era un uomo maturo.
«Noi lo sappiamo, ma al mondo esistono sempre le persone che criticheranno e vi odieranno per quello che siete. Io voglio solo proteggervi, sono vostra madre e ho il dovere di farlo. Quindi quelle foto vanno tolte, non vanno bene. Credete che vostro padre già non sia al corrente? Lo hanno ovviamente informato. Ora sta arrivando a New York, dice che va a parlare direttamente con il fotografo.»
Alexander sbiancò, sbattendo velocemente le ciglia incredulo.
«Cosa?»
La sua voce era bassa e flebile, quasi non l'aveva sentita nemmeno lui.
«Dice che risolverà la cosa direttamente e subito.»
Alexander lasciò la mano della sorella e sentì l'agitazione fremere dentro di lui. Era sicuro che Robert avrebbe urlato e cercato di corrompere Magnus in qualsiasi modo, ma se un minimo lo conosceva (o comunque aveva capito che tipo fosse), Magnus non si sarebbe fatto corrompere in alcun modo.
«Vado! Scusate ma... vado!»
Senza dire niente, le sue gambe si mossero automaticamente verso la porta di casa, scesero velocemente le scale e si ritrovarono in strada. Il cervello era completamente scollegato, Alexander aveva iniziato a correre a perdifiato verso il centro della città, verso il loft di Magnus. Doveva evitare che suo padre creasse casini, doveva evitare che Robert scoprisse qualcosa di lui che ancora non sapeva. I suoi genitori erano all'oscuro della sua sessualità e Alexander non era ancora pronto a rivelargliela, i suoi genitori non erano ancora pronti ad ascoltarlo. Soprattutto in un momento di crisi famigliare come quella, dove già per un paio di foto osé avevano mosso mari e monti. Se Robert avesse scoperto l'omosessualità del suo unico figlio maschio rimasto... Alexander ebbe un brivido, non era sicuro di voler sapere cosa sarebbe esattamente successo.

Autumn in New York | Malec AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora