Capitolo 8

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«Capisci, Catarina? È una catastrofe!»
Catarina sbuffò, giocando con una ciocca dei suoi capelli blu distrattamente. Magnus l'aveva chiamata un paio d'ore prima in preda alla disperazione, chiedendole di raggiungerlo il più velocemente possibile nel suo appartamento. Magnus non andava al lavoro da un paio di giorni, aveva preferito restare in pigiama -per pigiama intendeva un paio di pantaloni felpati azzurro spento, un paio di pantofole bianche e la vestaglia di seta nera sulle spalle, aperta sul torso nudo- a ciondolare per casa. Catarina si era seriamente preoccupata e si era precipitata dall'amico, salvo poi pentirsene quasi subito. Magnus l'aveva accolta e spinta in cucina, così lei si era seduta su una sedia e l'aveva osservato mentre preparava un cocktail. Alle quattro del pomeriggio.
«Non sento e non vedo Alec da due giorni, è come se fosse sparito! Dici che non mi vuole più vedere?»
Catarina roteò gli occhi, smettendo di giocare con i suoi capelli e incrociando le mani sul tavolo.
«Magnus, tu e lui non avete litigato. Lasciagli un po' di tempo, no? Alla fine i suoi genitori sono ancora qui, ripartiranno domani come ti ha detto Isabelle. Se tu fossi nei panni di Alec, un ragazzo che i genitori usano come... giubbotto antiproiettile delle loro stronzate, cosa faresti? Io scapperei.»
L'uomo sospirò teatralmente, allungando una coppa con del liquido rosso all'amica e sorseggiando dalla sua.
«Io non ho i genitori, Catarina, quindi non so come mi comporterei. Per me è davvero difficile mettermi nei suoi panni. Forse dovremmo smetterla di vederci, infondo è stato solo un appuntamento e... qualche bacio.»
Magnus prese un generoso sorso del suo drink, avvicinandosi alla finestra e osservando la città che si stagliava davanti a lui. Era inspiegabile come la sua anima si sentiva tranquilla da quando aveva conosciuto Alexander, una cosa strana contando che avevano avuto un solo appuntamento. Prima di provare qualcosa per qualcuno solitamente lo frequentava da un po', ma sin dalla prima volta che lo aveva visto ogni cellula del suo corpo si comportava come se finalmente avesse trovato la pace. Magnus aveva avuto diverse storie, ma mai gli avevano suggerito una tale purezza come lo stare con Alexander. Durante il loro primo appuntamento si sentiva giusto. Non c'era altro termine per definire quella sensazione, perché ogni gesto fatto e ogni parola detta in sua presenza era... giusto così. Catarina osservò i tratti tesi e contratti del suo volto, sorridendo dolcemente. In vita sua non aveva quasi mai visto Magnus così pensieroso per un partner e non sapeva se sarebbe mai accaduto. Non perché Magnus non ne fosse capace, ma perché aveva un animo puro e fragile, qualcosa che non tutti potevano capire. Catarina però pensava che forse questo Alexander avrebbe potuto toccare quell'anima con tatto e zelo.
«Magnus, perché dovresti rinunciare a quel ragazzo che ti fa sentire così bene?
Magnus si voltò verso di lei, sorridendo amaramente.
«Perché siamo diversi, completamente diversi. Io sono un uomo complicato, lui ha una famiglia complicata... Cosa ne verrebbe fuori di buono? Nulla, perché io gli complicherei di più la vita.»
«Per me ti sbagli.» proseguì l'amica «Per me siete sì diversi, ma anche simili. Avete due lavori diversi, due stili di vita di versi, ma il cuore di entrambi è genuino e batte allo stesso ritmo, come se voi due foste una cosa sola. Quante volte nella vita capita che due persone, nel momento in cui i loro sguardi si incrociano, sentano una connessione viscerale? È raro che qualcuni possa provare quella meravigliosa sensazione. Tu e lui siete così fortunati: come puoi non vederlo? Il tempo che passate separati lo state sprecando.»
Magnus smise di sorridere, restando fermo a ripensare a quelle parole. Aveva amato in passato e non poteva negarlo, non avrebbe mai rinnegato i suoi amanti passati, ma Alexander era diverso. Quel ragazzo era aria fresca dopo l'apnea. Si conoscevano da poco, eppure si appartenevano. In quel momento, Magnus seppe ciò che avrebbe dovuto fare.
«Io devo andare, Catarina, perdonami!»
 
 
* * * * * * *
 
Alexander aveva passato il minor tempo possibile nel suo appartamento, dove la madre si era stabilita per quei giorni. Fortunatamente il padre aveva preferito soggiornare in un hotel di lusso piuttosto che stare in un piccolo buco di Brooklyn, era troppo sofisticato per quella vita. In quei due giorni non aveva fatto altro che sentire la madre parlare e parlare, senza mai restare in silenzio per più di cinque minuti. Maryse aveva molto da criticare, soprattutto il luogo dove lui e la sorella risiedevano da cinque anni. Era piccolo, era mal arredato, la vista non era delle migliori, faceva troppo freddo. Alexander era riuscito, come sempre, a sopportare tutte quelle chiacchiere e fu grato di avere un lavoro che lo tenesse occupato anche nelle ore più assurde della giornata.
Quella mattina, prima di uscire di casa per andare in Università, salutò la madre che sarebbe ripartita per Turlock quel pomeriggio, mentre il padre era già ripartito la sera precedente con il suo aereo privato. Finalmente la sua oppressiva famiglia lo avrebbe lasciato da solo, facendolo tornare alla sua normalità. In quei due giorni aveva quasi pensato fosse arrivato il momento di dire ai suoi genitori della sua omosessualità, ma non si sentiva abbastanza forte per reggere i loro sguardi di disapprovazione e le loro aspre parole. Li aveva lasciati partire senza conoscere il vero Alexander, chiedendosi se i genitori se lo meritassero davvero.
In Università aveva chiacchierato con il professor Stabler, che conosceva perfettamente la situazione famigliare.
«Alec, se continui così finirai per avere un esaurimento e impazzirai. Le tue spalle stanno reggendo un peso troppo grande, cederanno e io sono preoccupato per te. Sei un ragazzo d'oro, meriti una vita tranquilla.»
Alexander era seduto alla sua scrivania, con un mal di testa che lo attanagliava da quasi un'ora.
«Professore, se potessi l'avrei già fatto. I miei genitori sono due enormi spine nel fianco, ma comunque li amo e non riuscirei mai a voltare loro le spalle.»
«Non si tratta di voltare le spalle, si tratta di scegliere la felicità e la serenità.»
Alexander si ammutolì, tornando a concentrarsi sul suo lavoro. Felicità e serenità erano quelle cose che disperatamente aveva cercato trasferendosi in un altro Stato e che quasi aveva trovato: i suoi genitori in due giorni erano riusciti a spazzare via la tranquillità che a fatica si era conquistato. A tutto quello si aggiungeva l'enorme senso di colpa verso Magnus, che aveva ignorato da quella sera nel suo appartamento, quando se ne era andato lasciandolo in balia del padre. Chissà cosa si erano detti. In quei due giorni, la notte, disteso nel suo letto, non aveva fatto altro che pensare a lui. Si sentiva male per il suo silenzio stampa, ma lo aveva fatto solo per proteggerlo. Se lo avesse visto o sentito sarebbe stato scontroso tutto il tempo e Magnus non se lo meritava, doveva restare estraneo a tutta quella situazione. Alexander si chiese in che modo quel loro rapporto poteva continuare. Il problema non riguardava solo la sua famiglia, ma anche lui in prima persona. Sentiva su di sé un enorme peso che faticava giorno dopo giorno a sorreggere, una relazione non avrebbe fatto altro che aumentare quella massa che lo soffocava. Magnus era una persona speciale, stare in sua compagnia lo rendeva sereno, i suoi baci lo facevano fremere. Eppure pensava che non avrebbe funzionato, che la loro storia era destinata a naufragare dopo pochi metri in mare. Alexander non si sentiva adatto per lui, ma non era colpa di Magnus. Era colpa sua, perché era solo un ragazzino e Magnus aveva bisogno di qualcuno decisamente più maturo.
 
* * * * * * *
 
Catarina lo aveva lasciato solo, sperando che rinsavisse e facesse qualcosa per non rinunciare ad Alexander, finalmente una cosa bella nella sua vita. Magnus si era convinto di dover agire subito e di non dover perdere più tempo a commiserarsi, doveva andare da Alexander e capire cosa era successo, in qualche modo rimediare. Si era vestito velocemente e nel frattempo aveva chiamato Isabelle, che gli aveva mandato un sms con l'indirizzo dell'Università di Alexander. Vi si era diretto a piedi, in modo da schiarirsi le idee e pensare lucidamente al da farsi. Non sapeva se quella sua visita inaspettata avrebbe potuto far piacere al ragazzo, ma dentro di sé Magnus sentiva che era la cosa giusta da fare e poco importava quanto fosse giusto o sbagliato al momento. Quella era una cosa che andava fatta, nel bene o nel male, in qualunque modo sarebbe andata quella cosa.
Arrivato all'Università, si fermò davanti al cancello d'ingresso e guardò la struttura che si ergeva imponente davanti a lui. Qualche studente era seduto all'esterno su vecchie panchine di pietra a chiacchierare, mentre un via vai di ragazzi passava per l'ingresso. Magnus fermò uno di loro e gli chiese dove avrebbe potuto trovare l'assistente Lightwood. Lo studente in un primo momento lo guardò confuso, ma poi gli spiegò la strada che avrebbe dovuto percorrere. Magnus lo ringraziò, ma non si mosse di un solo millimetro. Non perché avesse paura, ma perché non era sicuro della reazione di Alexander. Non tutti amavano le sorprese, soprattutto sul luogo di lavoro. Magnus sapeva quanto il ragazzo ci tenesse, così decise di lasciar perdere la corsa per le scale e sedersi sull'ultimo gradino di quella all'ingresso. Lo avrebbe pazientemente aspettato lì, mentre la sua mente continuava a chiedersi perché. Non riusciva completamente a spiegarsi i suoi stessi sentimenti, non riusciva a trovare una ragione. Il suo sguardo cadde su due studenti che si tenevano per mano, seduti su una panchina, con gli zaini a terra. Stavano chiacchierando in modo fitto, fermandosi di tanto in tanto per darsi qualche bacio. Anche Magnus avrebbe voluto prendere per mano Alexander, chiacchierare con lui mentre attraversavano Central Park e baciarlo ogni volta che ne aveva voglia.; Ma quello stupido contratto con Camille lo fermava dal poter sentirsi totalmente libero, avrebbe dovuto vivere Alexander all'ombra di un appartamento. Era davvero una relazione se doveva essere tenuta nascosta? Non gli importava, in quel momento Magnus decise che non contava il posto, l'ora, il perché. Tutto quello che contava era poter baciare Alexander ogni qual volta ne avesse sentito il bisogno, stringerlo tra le sue braccia e inebriarsi del suo profumo.
Chiuse gli occhi immaginandosi quella sensazione, sussultando quando sentì la mano di qualcuno poggiarsi sulla sua spalla. Aprì gli occhi di scatto e alzò il volto, puntando i suoi occhi verso un paio di occhi blu.
«Alexander!»
Non se lo aspettava, Alexander non si sarebbe mai aspettato di finire il lavoro e trovare Magnus in fondo alle scale. Non si aspettava di sentirsi le gambe sciogliersi sentendo la sua voce, che gli era tremendamente mancata in due giorni.
«Cosa... Cosa ci fai qui?»
Magnus si alzò, mettendosi davanti a lui e raggiungendo la sua stessa altezza solo grazie al gradino diverso su cui stavano.
«Sono venuto per parlarti, Alec. In questi due giorni ho riflettuto molto!»
Alexander sospirò, abbassando il capo.
«Incamminiamoci, non voglio restare qui con gli studenti.»
Magnus annuì e lo assecondò, camminando insieme silenziosamente fuori dall'edificio, mischiandosi con i cittadini.
«Anche io ho pensato molto, Magnus.» l'uomo lo guardò con la coda dell'occhio, infilando le mani nelle tasche del cappotto mentre Alexander continuava a parlare. «Mi dispiace essere sparito senza dir nulla, soprattutto dopo la mia uscita da pazzoide con mio padre. Ti sarò sembrato completamente suonato!»
Alexander si mise a ridere scuotendo il capo, con il volto verso il basso. Magnus non proferì parola, ma si voltò a guardarlo e sorrise, trovandolo tremendamente dolce.
«Magnus, io... Io sono un casino completo, non sono una persona stabile. La mia famiglia è complicata e io, IO, sono complicato a mia volta. Troppo complicato, ti giuro: non ti conviene stare con me, davvero, perché ti incasinerei. E... E... Tu non te lo meriti. Ognuno ha i propri casini, immagino che nemmeno la tua vita sia semplice, non hai bisogno di qualcuno che te la incasini di più. Poi ho il lavoro che mi tiene sempre occupato, mia sorella ha bisogno di me... Non è giusto, non te lo meriti.»
Magnus sospirò, leccandosi le labbra leggermente secche. Pensò che Alexander fosse tenero a preoccuparsi così per lui, voleva dire che ci teneva. Continuarono a camminare in silenzio per un po', osservando distrattamente qualche vetrina e trovandosi gomito contro gomito a causa delle persone che affollavano il marciapiede. Spazientito per il poco spazio e la scarsa libertà di agire, come un fulmine Magnus afferrò il ragazzo per un polso e lo trascinò con sé in un vicolo buio. Gli fece sbattere la schiena contro il muro freddo e gli si parò davanti, poggiando entrambe le mani sulle sue guance.
«Sono lusingato che tu ti stia preoccupando per me, questo vuol dire che ci tieni, proprio come io tengo a te. Però, Alexander, senza offesa, io non sono un Lightwood. È vero, ogni persona ha i propri casini, io compreso, ma io non farò affidamento su di te per risolverli, non mi getterò come un peso morto sulle tue spalle.»
Magnus poggiò la fronte contro quella di Alexander, entrambi chiusero gli occhi e inspirarono a fondo.
«Alec, se tu non fossi una persona incasinata, staresti con me? Se non fossi incasinato non mi avresti scelto, tu ed io siamo nati per cercarci casini.»
Alexander riaprì gli occhi, poggiando la punta del naso contro quella di Magnus. Entrambi erano freddi.
«Se la mia famiglia non fosse proprio quella che è sì, non rinuncerei mai a te.»
Magnus sorrise, poggiando delicatamente le labbra contro quelle del ragazzo in un delicato bacio a stampo.
«Allora non farlo, Alexander, ti prego. Stare con una persona non è farsi carico dei suoi problemi, perché io non ti addosserei mai i miei. Ci prenderemo cura l'uno dell'altro, se tu cadi io ti rialzerò. Se tu piangerai io asciugherò le tue lacrime con un bacio. Se tu ti sentirai invincibile io ti aiuterò a salire ancora più in alto.»
Alexander chiuse gli occhi, allungando una mano dietro il collo di Magnus.
«Se ti sentirai triste farò in modo di farti ridere. Se ti sentirai solo ti basterà voltarti e mi troverai al tuo fianco. Se ti sentirai deluso dalla vita ti ricorderò tutte le cose meravigliose che abbiamo fatto insieme.»
Entrambi sorrisero, stringendosi di più l'uno contro l'altro. Le inquietudini dei due giorni precedenti sembravano essere state spazzate via, lasciando spazio solo a loro due e ai sentimenti forti che li legavano. I dubbi erano spariti, la città era deserta: solo Alexander e Magnus erano i suoi abitanti, il resto del mondo non esisteva, non li riguardava più. Erano solo loro due, da quel momento in poi.
Magnus fece sfiorare le loro bocche, per poi passare la lingua sul labbro inferiore del ragazzo. Alexander dischiuse leggermente le labbra e i due si ritrovarono coinvolti in un bacio passionale, in una forma d'arte pura e liberatoria. Magnus si staccò appena da quella meravigliosa e morbida bocca.
«Non scappare mai più, Alexander, perché io tornerò sempre a riprenderti.»
 
 
 
 
 
 
 
Eccomi già di ritorno con un altro capitolo! In questi giorni avevo Magnus nella testa che mi assillava, così mi sono sentita costretta a scrivere.
(Non prendetemi per pazza!)
Vi ho dato un po’ di dolcezza, Alec e Magnus se la meritavano!
 
 
Vi auguro buon anno <3
 

Autumn in New York | Malec AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora