14. Come una volta

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                            Andrei

Presi il telefono.
Mi grattai la testa.
Che cosa potevo mai scriverle per farmi perdonare?
Alla fine aveva ragione lei. Praticamente in quel periodo non l'avevo proprio calcolata. Ero passato dal dirli tutto al niente.
Ma forse era molto meglio se ci fossimo chiariti di persona. Dopo anni di amicizia un messaggio con delle scuse non era il massimo.
Mi ricordavo ancora i video che avevano fatto i miei genitori di me e lei da bambini.
Una sera, una di quelle dove eravamo ancora una vera famiglia, presero delle vecchie cassette ed un registratore che sembrava essere uscito dalla preistoria. E si sedettero sul divano accanto a me e Sofia.
Schiacciò un tastino di quella che doveva essere la videocamera e, con un tick, partì un filmato.
La prima scena che vedemmo in primo piano erano stati i miei capelli biondi tutti in disordine, un vero caos.
<Andrei guarda! Da piccolo avevi i riccioli sulla testa> esclamò mia madre. E in effetti era vero, c'erano anche foto in casa che lo comfermavano, ma con la crescita si erano voluti sciogliere.
Nel secondo video che partì c'eravamo io e Sofia mentre la imboccavo. Mi imbarazzai subito, e di certo nessuno dei due ricordava il perché. Ma mia mamma ci risolse quel dubbio.
<Praticamente, tu And, avevi baciato sulla guancia un'altra bambina, e Sofi si era arrabbiata. Così hai preso le tue patatine che avevi portato per merenda e hai cominciato a inboccarla per farti perdonare.>, e finì scoppiando in una risata, mentre io ero sconvolto. Ero proprio un bambino stupido. Ma pensandoci ora, avrei rifatto volentieri mille volte quel gesto, se serviva.
Quella serata andò avanti tutta così. Fra risate isteriche di mia madre e le mie guance che andavano a fuoco.
Ma ancora niente. Mi serviva una scusa per farla uscire con me, sapevo che chiedendoglielo e basta mi avrebbe risposto un no secco. Quando era arrabbiata era più dura di un muro.
E mentre pensavo, mi chiesi in quale periodo esatto fosse diventata la mia migliore amica.
Poi ricordai, e mi misi a ridere.
Tutto era iniziato con l'inizio dell'estate dei nostri quattordici anni. Era la prima volta che andavamo al mare solo noi, senza i nostri genitori a farci da badante.
Non avrei mai pensato, o voluto, di dirglielo che mi piacevano i ragazzi in quel modo. Ma a quanto pareva lo avevo fatto indirettamente.
Ci sdraiammo sulla spiaggia, e mentre lei prendeva il sole in silenzio io mi annoiavo. Mi misi a spulciare un ragazzo, alto, palestrato e biondissimo, che stava venendo verso la nostra direzione. Ero appena entrato nella fase adolescenziale e i miei ormoni si muovevano a ogni piccolo stimolo.
Il ragazzo aprì l'ombrellone che aveva con sé e lo conficcò nella sabbia con molta rudezza, quasi gemetti a quel colpo come se lo avesse dato a me.
Slacciò la borsa che aveva intorno alla vita e la posò a terra.
Stese le braccia al cielo e si tolse la canotta bianca, subito dopo anche i pantaloncini, rimanendo con il costume a slip. Aggregò gli indumenti alle staffe dell'ombrellone e si piegò sullo zainetto a prendere la crema solare. Quando lo fece si piegò quasi a novanta verso di me, e quello al mio corpo piacque molto, perché senza che me ne accorgessi il mio bacino si era alzato di un po'.
Lo stavo fissando con così tanta brama da vergognarmi, e il viso mi andò ancora più a fuoco quando notai che Sofia mi stava guardando. Mentre lui si spalmava la crema addosso, gli occhi di lei passavano da me a lui in un nano secondo. E quando me ne accorsi mi alzai di tutta fretta dal mio posto.
<Forza! Andiamo a farci il bagno.> esclamai troppo agitato da attirare l'attenzione di quello stesso ragazzo.
Ma Sofia sembrava più paonazza di me, e quando spostai lo sguardo su quello sconosciuto mi parse di vedere un ghigno divertito.
<And...> fece lei, ma non riuscendo a parlare indicò il mio costume. Abbassai subito la testa e, se possobile, diventai ancora più rosso. Avevo un'erezione ben visibile, il costume a quel punto era inutile!
Mi gettai allarmato in acqua, incurante se fosse troppo fredda per gettarsi in un colpo solo. E quando riemersi con la testa trovai Sofia che si stava lentamente avvicinandosi a me. A quanto pareva per lei l'acqua era fredda, ma io ero così caldo dalla vergogna che non ne sentivo il minimo fastidio.
Non parlai. Preferii starmi in silenzio. Non per quello che mi era successo nei bermuda, ma più per il fatto che aveva visto i miei sguardi poco casti lanciati ad un uomo che avrebbe avuto sì e no trentacinque anni.
Invece parlò prima lei, salvandomi da quel nervosismo di iniziare io la conversazione.
<Allora, c'è  qualcosa che mi devi dire?>
Avrei dovuto parlarne ora? Non avevo neppure pensato a come rivelarle questa parte di me che volevo restasse nascosta. Un po' perché lo avevo capito da poco tempo che mi piacevano i ragazzi, e un po' per il fatto che non mi ci trovassi molto bene con questa cosa.
<Che ne dici se stasera andiamo in pizzeria?> Cercai di sviare il discorso, ma i suoi occhi puntati nei miei, fissi, mi fecero rendere conto che non avrebbe mollato così facilmente.
Stavo per aprire bocca, e lei avanzò per paura di non sentire bene, ma esitai. Non ero ancora pronto. Oppure, avevo solo paura. Paura che non mi avesse accettato. Ci sarei passato sopra se fosse stato qualcun'altro, ma non potevo perdere proprio lei.
<Beh, a giudicare da quello che ho visto -ed ho visto abbastanza- credo che: o a te piace quel ragazzo o ti piaccio io>, intervenne senza lasciarmi scampo.
Alzò un sopracciglio, non aveva ancora finito.
<E non credo di essere Miss bellezza dell'anno tanto da provocarti una...> e lasciò cadere la frase alla fine. Ma il concetto era sufficientemente esplicito senza dirlo.
Mi gettai piano dietro con la schiena, galleggiando e facendo il finto morto, ma in quel momento avrei voluto tanto esserlo davvero.
Sentii Sofi sbuffare. Per la prima volta, incominciai ad odiarla, voleva a tutti i costi farmi sputare il rospo.
Pensandoci, non credevo che avrebbe fatto tanta differenza a lei; forse avrebbe fatto di più ai suoi e ai miei genitori, che dicevano sempre che un giorno ci saremmo sposati. Peccato per le loro fantasie, che sarebbero rimaste tale per sempre.
<Forse> sputai dalla bocca l'unica parola che mi venne in mente. Né troppo esplicita e né troppo vaga, né sì né no, perfettamente in mezzo.
Ma quando il tempo passava e non sentii nessuna risposta, spalancai gli occhi con il timore che se ne fosse andata schifata. Ma invece era lì, con un'espressione tra il dolce e l'amaro, come se avesse capito che dirlo apertamente per me fosse una cosa troppo dura.
Si avvicinò veloce a me, e mi strinse in un abbraccio.
<E perché hai così tanta paura di dirmelo, And!>, iniziò, <sai che non avrei mai nulla da ridire su di te. E poi scusa, non sai che io shippo tutti i ragazzi delle band che ascolto?!>
La guardai con un sopracciglio alzato. Non capivo.
<Non fare quella faccia! Te ne ho parlato, non ricordi i Larry, i Nialler, i Muke, i Cashton e i Niam?!> quasi sbraitò.
Ora ricordavo. Mi aveva detto che era una fangirl di qualcosa, ma a quanto pareva non l'ascoltai molto quel giorno.
Beh, almeno tutto sommato l'aveva presa bene, molto bene visto che non smetteva di sorridere ogni volta che mi guardava e che si ricordava che il suo amico più caro era gay.
E dopo quel giorno la nostra amicizia andò sempre a progredire.

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