capitolo 7

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Solo il mignolo sinistro toccava la mano di Marisa, il resto del corpo era disteso sull'enorme letto matrimoniale come una preda intimorita, terrorizzata, chiusa su se stessa.
A Venezia rimasero poco, come partirono dimenticarono i pochi giorni di felicità, annullando fotografie, baci, sorrisi e sguardi che avevano posato solo su loro stessi.
Il ricordo di quella città, tanto desiderata da Marisa, riposava in lei come una scritta cancellata, da cui però si riuscivano a intuire i contorni.
Fu in quel momento che tutti, spaventati, si misero sulle loro tracce.

Sandra era innamorata. Profondamente, irresistibilmente innamorata dell'uomo che aveva smesso di vedere da qualche settimana. Che sia chiaro, non per sua scelta.
Portava in grembo un sentimento di ansia e di colpa, sia per il marito che per l'uomo che veniva a farle visita, Paolo, che credendo che le sue pene fossero per il povero amico, la consolava ogni volta che lei spediva una di quelle lettere. Da poco, quelle buste bianche avevano preso una sfumatura diversa nel cuore della donna: scriveva scuse per i suoi stati d'animo e trattava il marito defunto come un amico stretto, a cui poteva confidare tutto.

Quando il secondo uomo della sua vita sparì, dopo il primo, lei iniziò a uscire più spesso, a cercarlo nei volti delle persone, a provare a indovinare il suo odore. Ma non denunciò la scomparsa. Credendola anche a causa sua, e trovandola assolutamente ordinaria.

Del resto, nemmeno Mauro, sulle tracce della moglie ormai da qualche tempo , aveva denunciato il fatto, un po' per paura, un po' per pigrizia. Anche se Mauro non amava Marisa, vederla andare via con un altro uomo aveva fatto scattare tanta rabbia dentro il suo cuore che aveva cacciato la ragazza ancora in intimo che giocava con le lenzuola del letto.

Le situazioni dei due adulti erano differenti, assolutamente incoerenti l'una con l'altra, ma sarebbero giunti ad un punto tanto vicino da scontrarsi e tanto lontano da evitarsi.

Per prima cosa Sandra chiese del ragazzo al suo datore di lavoro, il proprietario del bar, ricevendo in risposta semplicemente che aveva preso qualche giorno di malattia e che sarebbe tornato presto a servire al bancone.
Sulle prime si tranquillizzò, poi però, passata una settimana, tornò al bar.
-Buongiorno..
-Buongiorno signora! Cosa desidera?
La giovane barista era tanto allegra che la donna per un momento si dimenticò il motivo del suo arrivo.
-Mmh... un caffè, per favore.
-Subito!
-Come ti chiami? Sei nuova? Non ti ho mai vista.
Sandra non frequentava il locale tanto spesso da ricordare i dipendenti, ma sperava di scoprire qualcosa sul misterioso barista.
-Marta, signora... sì, un ragazzo non si è più presentato, così hanno assunto me.
La alta coda di cavallo faceva risaltare il disegno del viso della giovane ragazza, esaltandole le labbra. Questo fu tutto quello che Sandra notò di lei, prima di sparire, lasciando un euro rimbalzare fino a fermarsi, sul lungo bancone di legno.
Corse, pianse, sbarrò più volte gli occhi rossi, fino a cadere a terra, o meglio, addosso a un signore che aveva la sua stessa fretta.
La testa sbatté forte sul marciapiede, fino a sanguinare e Sandra non vide più niente, sebbene avesse gli occhi aperti, sbarrati, rossi, che guardavano le luci del semaforo cambiare colore.
L'uomo, spaventato, le prese il telefono dalla tasca, chiamò l'ambulanza, la guardò negli occhi, le accarezzò la testa, come se la conoscesse, poi sparì nella folla che si stava radunando attorno al corpo della donna.

Quando Sandra si svegliò, era tutto bianco, perciò sbattè le palpebre più volte fino ad abituare gli occhi, poi sentì un dolore lancinante alla tempia, appoggiò la testa a un cuscino e capì che si trovava in una stanza di ospedale. Una ragazza sorridente si avvicinò e coprì con la testa la luce che Sandra stava fissando involontariamente.
-Non è successo niente... starà bene. Sorrise ancora, fino a far spuntare una smorfia di dolore e gratitudine sul viso della donna. Lei, a quel punto, si accorse che era la seconda volta che sorrideva a quella ragazza, e finalmente capì che era la stessa ragazza che era stata assunta al bar.
-Ma...
-Sì signora, sono io. Ma non si alzi, le porto un tè, lo vuole?
La donna annuì semplicemente, riconoscente.

Quando, con una tazza fumante tra le mani, fece il suo ingresso nella stanza, il vecchio nel letto di fianco aggrottò le sopracciglia e l'infermiera rise
-Signor Martino, ora porto anche a lei una tazza di tè, stia tranquillo!
Il vecchio sbuffò e tornò a dormire. Marta rise di nuovo, poi porse a Sandra la tazza bollente.
-Bene, signora, abbiamo molto di cui parlare.

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