sette

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Per il momento ero salvo. I coatti non mi avevano inseguito: stavano troppo comodi nella loro posizione privilegiata, a bordo piscina. Adesso dovevo solo trovare un posto tranquillo dove passare le successive quattro ore.

Ma com'è possibile che sto qui solo da quindici minuti? pensai, guardandomi intorno per evitare di incrociare qualche altra conoscenza sgradita. Avrei giurato che era almeno un'ora.

Mi passò per la testa di chiamare a casa e farmi venire a prendere, ma rinunciai subito: una figura del genere davanti a mia madre non l'avrei fatta. Tornare indietro per conto mio? Non sapevo quali autobus prendere, non avevo i soldi per un taxi, ed ero lontanissimo da casa. Senza contare che la signora Pignatelli si aspettava di riportare indietro sia me che Federico. E se mia madre l'avesse scoperto? Figura di merda doppia.

Mi bloccai: i miei passi stavano per ricondurmi in soggiorno, dove era riunita la gente a mangiare, bere e divertirsi, dove le coppie pomiciavano, dove si mangiava e beveva e dove non c'era posto per me, a meno che non volessi fungere ancora una volta da giullare di corte, cosa che preferivo evitare. Mi voltai verso le scale e presi la via del piano di sopra.

Per fortuna che questa casa è così grande, pensai. C'è un sacco di spazio per stare da soli. "Stare da soli" era un modo diverso per dire "nascondersi", lo sapevo benissimo: ma che altro potevo fare, con tutti quei truzzi e quelle stronze vipere e quella gente che non conoscevo, magari pure più grande di me? Potevo sentirmi un vigliacco, ma almeno ero al sicuro. Per prima cosa, decisi che avrei trovato un bagno e mi ci sarei chiuso a chiave. Nessuno si sorprende se un bagno è occupato, e quando in una casa ce ne sono altri due non ha motivo di piazzarsi davanti alla porta ad aspettare che si liberi. Una volta dentro, avrei potuto far passare un po' di tempo, e riflettere su come uscire da quella situazione.

Passai accanto a una porta chiusa e mi fermai dov'ero. Flaminia ci aveva detto, poco prima (o meglio: aveva detto a Federico, ignorando me) che quella era la sua camera. Aveva aperto la porta per farci vedere quant'era grande e ben arredata, e avevo visto di sfuggita un letto a una piazza e mezza, qualche poster di figoni muscolosi e imbronciati, tendine colorate; poi Flaminia aveva richiuso e ci eravamo allontanati. Adesso che ero di nuovo lì, da solo, non potei fare a meno di pensare che non avevo mai messo piede in camera di una ragazza.

Mi guardai intorno per assicurarmi che il corridoio fosse deserto, poi socchiusi la porta e scivolai dentro.

Due ragazzi che stavano frugando nella cassettiera di Flaminia si voltarono di scatto verso di me.

"Ma porca troia," imprecò uno dei due, un tizio alto, secco e lentigginoso che, sapevo, frequentava la II D, "a momenti ci restavo. Cazzo fai qua?"

"Cazzo fate voi qua?" replicai io, pronto a battere in ritirata se i due avessero mostrato voglia di litigare.

"L'impresa del secolo, facciamo; e abbassa la voce!" esclamò l'altro, che portava i capelli biondi lunghi fino alle spalle e sfoggiava una maglietta dei Manowar con un demone fiammeggiante attorniato da amplificatori, pipistrelli e prosperose donne nude in evidente stato di eccitazione sessuale. Questo lo conoscevo di nome: Aureliano Rogo. Concorderete che un nome così è difficile scordarselo.

"Chiudi la porta, daje!" sibilò il secco, facendomi cenno di venire vicino.

Sorpreso che non mi avessero cacciato via, feci come mi era stato detto, poi andai in punta di piedi a raggiungere il duo. Entrambi avevano ricominciato a frugare fra le cose di Flaminia, spostandole con grande cautela e rimettendole a posto esattamente dov'erano prima.

"Tu non ci hai mai visto, eh," disse Aureliano. "Mi raccomando."

Si spostò i capelli dalla fronte, dove una fioritura di brufoli gli stava dando chiaramente un gran fastidio, e aprì un altro cassetto.

"Ma si può sapere che state facendo?" domandai.

"Dobbiamo trovare il diario segreto di Flaminia," disse il secco, con una serietà che era quasi solenne.

"Cosa?" esclamai. "Ragazzi, non penso che dovremmo stare qua a frugare nella roba di Flaminia. Se qualcuno ci becca..."

"Dobbiamo correre il rischio! È la nostra unica occasione!" disse Aureliano, in un sussurro concitato. I suoi occhi mandavano lampi. "Se troviamo quel diario, sapremo tutti i cazzi di Flaminia."

"Ma che vi frega?"

"Come che ci frega?" ribatté Aureliano, rischiando di alzare la voce nella foga. Riprese a parlare con un tono più basso: "Non hai mai sentito dire conosci il tuo nemico? Flaminia può fare il bello e il cattivo tempo a scuola; muove un dito e tutti sono ai suoi piedi. Se riveliamo i suoi segreti, possiamo fregarla noi!"

"Ma tu non stai in classe con Flaminia? In II C?" intervenne il secco.

"Ehm... sì," risposi, preparandomi a quello che sarebbe venuto dopo: tu sei il secchione della classe, vero? Tu sei quello che lo prendono a calci in culo nei corridoi, vero? Non c'era scampo.

"Noi stiamo in D," mi informò il fan dei Manowar. "Io sono Aureliano, lui è Sandro."

La sorpresa mi fece rimanere zitto per qualche secondo più del necessario. Ero convinto che la mia fama di sfigato avesse raggiunto tutti gli angoli della scuola.

"...Davide," dissi, riscuotendomi. "Mi chiamo Davide. Ciao. Piacere."

I due avevano ripreso a rovistare. Del diario, nessuna traccia.

"Un amico mio m'ha detto che Flaminia c'ha gli impicci con La Torre," disse Sandro. "È vero?"

"Che tipo di impicci, scusa?"

"Impicci pesanti," risposero entrambi, in perfetto unisono.

"Mah, non mi sembra. L'ultima volta che ho sentito, Flaminia stava ancora con Solfiti."

"Se so' lasciati," disse Aureliano. "Certo però, che culo Solfiti. Almeno per un mesetto con Flaminia c'è stato. Chissà la roba che hanno fatto."

Rimasi in silenzio. Non potevo fare a meno di pensare alle vicende sentimentali di Flaminia come a qualcosa che si vede in un documentario, completamente staccato dalle mie esperienze quotidiane. Facevo fatica a credere che qualcuno potesse averla baciata, magari con la lingua. Se Flaminia mi avesse toccato con un dito, probabilmente sarei morto fulminato.

Sandro si spostò alla scrivania, aprì il primo cassetto, smosse qualcosa, e rimase a bocca aperta.

"A rega', l'ho trovato," esalò con un filo di voce.

Lo raggiungemmo all'istante. Sandro stringeva tra le mani un libretto color rosa zuccheroso, con un cuore in copertina e la scritta secrets. Era chiuso da un lucchetto. Restammo qualche secondo in silenzio ad ammirarlo, increduli della sua esistenza ed attoniti davanti ai segreti che poteva nascondere. Immaginai che Indiana Jones dovesse essersi sentito così, dopo aver aperto l'urna che conteneva l'Arca dell'Alleanza.

"Va bene," disse Aureliano. "Io mi occupo del lucchetto. Sandro, fotografa le pagine."

Sandro si frugò nelle tasche degli shorts. Un'espressione di sgomento gli si dipinse sul volto.

"Merda, ho lasciato il cell nel giacchetto!"

"Vallo a prende, cazzo!" ringhiò Aureliano.

"Aspe', non puoi fare le foto col tuo?"

"No che non posso, lo sai! Vallo a prende, dai!"

"Ma vallo a prende te!"

"Ma perché io, è il cellulare tuo, nel giacchetto tuo, vallo a prende te!"

Imprecando, Sandro prese la porta a tutta velocità.

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