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Io e Aureliano, schiacciati uno contro l'altro nella penombra, senza quasi il coraggio di respirare, ci voltammo lentamente fino a guardarci in faccia. Ci fu un attimo di serietà incredula, poi l'assurdità di quella situazione si fece chiara e cominciammo a ridacchiare a bocca chiusa.

Sopra le nostre teste, la coppietta produceva suoni di ventosa umida così forti che potevamo sentirli come se i due fossero stati distesi lì accanto a noi. Una piccola pernacchia mi sfuggì dalla labbra e dovetti schiacciarmi una mano sulla bocca. Aureliano mi imitò un secondo dopo: aveva gli occhi sbarrati, il viso rosso e le spalle che sussultavano come quelle di un uomo che sta piangendo disperatamente.

Feci di no con la testa. Aureliano poté solo scuotere il capo a sua volta. Stavo esplodendo. Sentivo il diaframma che si contraeva e bruciava, non riuscivo più a respirare, ma avere davanti Aureliano era come guardarsi allo specchio, e quello che vedevo era talmente ridicolo che ogni secondo mi veniva sempre più da scompisciarmi.

Mi era appena venuto da pensare bella sorpresa che avrà Sandro quando torna, che la porta si aprì e i due cominciarono a strepitare.

"Cazzo te guardi, fòri dai cojoni!" sbraitò Nike Argentate. Non mi sembrava di riconoscere la sua voce, forse era un imbucato. Non che me ne importasse, perché nel momento in cui la mia mente aveva visualizzato la faccia entusiasta di Sandro che faceva il suo ingresso nella stanza con il cellulare in pugno, per poi essere costretto a battere in ritirata, la voglia di ridere si era centuplicata e adesso dovevo premermi la mano in faccia fino a farmi male, con le lacrime che mi colavano sulle guance e i crampi che mi stringevano la pancia. Aureliano mi guardava con gli occhi pieni di ilarità e disperazione; lentamente, si raggomitolò in posizione fetale, ancora scosso da spasmi di risate trattenute.

"Ammazza quanto sei bbona," mormorò Nike Argentate nella sua versione di una voce sexy, che sembrava più che altro quella di uno che s'è appena fatto una grossa canna. Le risate cominciarono a sfuggirmi dal naso, con un suono di grugniti porcini. Mi resi conto che era tutto inutile: di lì a pochi secondi saremmo esplosi, e Nike Argentate ci avrebbe beccato, e si sarebbe incazzato a bestia perché eravamo lì ad ascoltare e ridere mentre lui pomiciava con la sua tipa, e ci avrebbe tirato fuori da sotto il letto a forza mentre la ragazza ci chiamava zozzoni e maniaci, e magari ci sarebbero scappati un paio di cazzotti e almeno un calcio in culo di sicuro, e mioddìo non me ne importava niente, era uno spasso, lo spasso più grande della mia vita.

Aureliano, che ormai si dibatteva come un pesce fuor d'acqua, fece scattare una mano ed impugnò il telecomando dello stereo, che avevo lasciato cadere. Strisciando sul pavimento, con i capelli mezzi davanti alla faccia, raggiunse il bordo del letto, mise fuori il braccio e tenne premuto il pulsante del volume. A giudicare dal rumore di lingue attorcigliate che continuava a provenire dal letto, i due non si erano accorti di nulla.

Aureliano aveva alzato il volume a cannone; mi guardò con una scintilla di follia negli occhi, si cacciò i pollici nelle orecchie e mi fece cenno di fare lo stesso. Poi schiacciò il tasto play.

Lo stereo di Flaminia esplose. Anche con le dita ficcate nelle orecchie fin quasi ai timpani, il fragore del riff d'acciaio che squassava la stanza come il galoppo di una locomotiva era quasi insopportabile. Aureliano aveva abbandonato anche la più piccola traccia di autocontrollo e rideva convulsamente, gli occhi che roteavano come quelli di un pazzo. Io mi ero messo a urlare per controbilanciare la musica, ma quando nel mio campo visivo comparve Nike Argentate, che con una mano cercava di coprirsi entrambe le orecchie insieme (fallendo miseramente) e con l'altra colpiva alla disperata lo stereo, nel tentativo di premere stop o almeno di abbassare il volume, quello fu troppo per me e cominciai ad ululare dalle risate. Il coatto – a proposito del quale avevo avuto ragione: non era di scuola nostra ed era più grande di noi, quattordici anni di sicuro – imprecava e bestemmiava a voce alta, ma niente arrivava alle mie orecchie; con quella bocca che sbatacchiava, sembrava il più grosso e idiota pesce rosso sulla faccia della terra.

Aureliano, recuperando la sua presenza di spirito, strisciò verso illato opposto del letto e mi resi conto che quello era il momento ideale per lafuga. Rotolammo da sotto il materasso, ci alzammo in piedi e scattammo verso laporta. Proprio in quell'istante, Nike Argentate riuscì ad abbassare il volume,si girò e ci vide; la ragazza – un'altra sconosciuta più grande di noi –strillò e ci tirò addosso una scarpa di Flaminia. Troppo tardi: io e Aurelianoeravamo già scappati lungo il corridoio, urlando e ridendo di felicità etrionfo.

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