diciannove

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Dopo il tramonto, il caldo si era trasformato nel piacevole freschetto ventilato della tarda primavera romana; il cielo era sereno, una falce di luna sorrideva immobile e bonaria, e fra gli alberi e i cespugli cantavano le cicale.

Fuori dal cancello di casa dei Righetti, trenta e passa ragazzini erano riuniti in gruppetti animati. Molti stavano attaccati al cellulare e chiedevano ai genitori di venirli a prendere; altri facevano la spola fra due o più gruppi, portando le novità o raccontando per l'ennesima volta cose che tutti già sapevano. Quelli che non riuscivano a stare fermi si aggrappavano ai lampioni, saltavano a tradimento sulle spalle degli amici, lanciavano esclamazioni da un lato all'altro della strada, si tiravano pezzi di cibo avanzati dalla festa e poi rincorrevano chi glieli aveva tirati.

L'eccitazione faceva vibrare l'aria come il ronzio di uno sciame d'api.

"Secondo te mandano davvero il conto ai nostri genitori?"

"A quelli di Gandini sicuro!"

"Ma avete visto Flaminia? Poraccia..."

"E se chiamano la polizia davvero?"

"Macché, voleva farci paura quello..."

"Oddio mi sono scordato il giacchetto in casa!"

"E chiedije al padre di Flaminia di ridartelo, vedi com'è contento!"

Federico era al telefono e stava cercando di spiegare a sua madre la situazione senza menzionare dettagli compromettenti, ma il suo proposito veniva complicato da Aureliano e Sandro, che gli giravano intorno e gli davano sulla voce:

"Signora qui c'è vomito, vomito dappertutto!" strepitò Sandro. "Presto, ci venga a prendere!"

"I genitori di Flaminia vogliono farci arrestare, ci salvi!" gridò Aureliano dall'altro lato.

"E manderanno a Federico un conto di ventordicimila euri per i danni alla villa, signora!"

"A 'mbecilli, ma ve state un po' zitti?" esclamò Federico, coprendo il telefono.

Sandro gli spettinò i capelli strillando in falsetto, mentre Aureliano si piazzava in mezzo alla strada, con una mano sul ginocchio e l'altra che faceva le corna, e cominciava a scapocciare al ritmo di una canzone che aveva in testa, scandendo a ritmo: "Hail, hail, hail and kill! Hail, hail, hail and kill!"

Nel trambusto generale io e Casey avevamo smesso di tenerci per mano, e adesso stavamo in piedi fianco a fianco, contenti di essere vicini e di poter chiacchierare un po' e ridere delle scemenze dei nostri amici. Non sapevo bene quale fosse il passo successivo da compiere nel nostro "stare insieme" (o nemmeno se "stavamo insieme", in realtà), ma non mi sentivo in imbarazzo o sotto pressione; al contrario, non mi ricordavo l'ultima volta che ero stato così bene.

Dopo qualche minuto, Casey tirò fuori il cellulare, racchiuso in una custodia rosa e nera con i teschietti, e accennò al mio.

"Mi dai il tuo numero?" chiese.

La accontentai di buon grado. Casey digitò qualcosa, il mio telefono ronzò, e un attimo dopo una sfilza di lucidi cuoricini rosa erano apparsi sul mio schermo. Salvai il numero nella memoria del cellulare, sorridendo come un babbeo.

Casey guardava il suo telefono con aspettativa. Ci misi qualche secondo a connettere, poi mi resi conto che dovevo mandarle una risposta. Certo che ne avevo di pratica da fare sui rapporti di coppia!

Stavo per inviare a mia volta una serie di cuoricini, ma fui colto da un'ispirazione e decisi di seguirla. Pensai d'istinto e se fai la figura del cretino? Ma, almeno quella sera, mi ero stancato di avere dubbi su tutto. Digitai di corsa qualche verso di una canzone dei Maiden, sperando di ricordarla bene, e chiusi con un cuore — color verde acido, tanto per essere originale.

All my feelings cannot be held, I'm happy in my new strange world
Shades of green grasses twine, girls drinking plasma wine
A look at love, a dream unfolds, living here, you'll never grow old

Casey lesse e il suo viso si aprì in uno di quei sorrisi che partivano dalle labbra e si allargavano fino alla lentiggine più piccola e al capello più sottile. Fece un saltello nella mia direzione, mi mise le braccia al collo con uno strillo e mi baciò a stampo sulla bocca.

Grazie Iron Maiden, pensai. Siete sempre voi i migliori.

Federico fece il gesto di ficcarsi due dita in gola e imitare l'impresa vomitatoria di Gandini. Aureliano e Sandro ci fissarono come se a me e Casey fossero spuntati tre nuovi occhi a testa, poi cominciarono a strepitare, puntarci gli indici addosso e fare finta di svenire; conclusero prendendosi sottobraccio e cantando a squarciagola: "All you need is looove, looove, love is all you neeed!"

A quel punto ci guardavano tutti. Io ero diventato vermiglio e sperai che quel continuo arrossire non mi facesse male alla circolazione sanguigna.

Casey alzò gli occhi al cielo e sospirò con aria di magnanima sopportazione.

"Tredici anni è una età molto difficile," sentenziò.

Un suono di clacson alle mie spalle mi fece sobbalzare.

"A stronzi, levateve da mezzo la strada!" disse un coatto in sella a un motorino. Seduto dietro di lui, casco con adesivo di Casapound in testa, c'era Spadoni. Il guidatore, a giudicare dall'età e dalla somiglianza, doveva essere il suo celebre fratello Danilo. Ma non era in prigione per aver rapinato un Euronics? Forse l'avevano messo in libertà vigilata.

Mi feci da parte e il motorino mi passò accanto. Spadoni mi rivolse una smorfia di scherno.

"A Bargallo, ma dove l'hai trovata una che te se pija?" disse. "Meglio che lo molli questo," aggiunse, rivolgendosi a Casey con finta confidenza. "Tanto c'ha er cazzetto."

"Daje, annamo," borbottò Danilo, ingranando la marcia.

Io stavo soffocando per la rabbia, ma Casey sembrava più esasperata davanti alla stupidità di Spadoni che offesa per le sue parole. Sospirò fra i denti, poi si rivolse a me.

"Conto a tre, e lo mandiamo a fanculo, ok?" mi sussurrò all'orecchio.

Poche ore prima, avrei considerato una simile proposta come un suicidio e sarei corso a casa a piedi piuttosto che accettare. Ma dopo gli eventi di quella sera, mi sembrava di aver varcato la soglia di un mondo nel quale ogni cosa era possibile. Guardai verso Aureliano, vidi il livido che gli circondava l'occhio e la mia paura si affilò in una determinazione appuntita come una freccia. Annuii. Casey contò.

Al tre, gridammo insieme: "Spadoni!" e quando il truzzo si girò, gli puntammo addosso quattro dita medie. Aureliano digrignò i denti e ne aggiunse subito altre due. Sandro cercò di mimetizzarsi fra la folla.

Spadoni disse qualcosa al fratello e mi preparai ad una fuga precipitosa, ma quello scosse la testa e il motorino non si fermò. Spadoni si voltò di nuovo, mi piantò gli occhi addosso e si passò lentamente l'indice sulla gola.

"A Bargallo, se vedemo lunedì a scòla!" esclamò, con una mano a coppa intorno alla bocca.

Il motorino sparì in lontananza. Intorno a me, tutti erano rimasti ammutoliti.

Casey annuì soddisfatta. Io abbassai le braccia e ritrassi i medi, con il cuore che rimbalzava nel petto, incredulo per il gesto che avevo appena compiuto e per le possibili ripercussioni sul mio futuro. Aureliano, serissimo, mi si parò davanti e mi mise una mano sulla spalla.

"La guerra è cominciata," dichiarò.

Federico comparve al suo fianco, faticando a trattenere l'ilarità.

"Anacapìto zio, lunedì Spadoni t'ammazza proprio!"

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