Prima di quel momento, non avevo mai avuto davvero paura in vita mia.
Certo, lo stomaco mi si stringeva e iniziavo a sudare freddo ogni volta che La Torre o uno dei suoi compari mi si piazzavano davanti con quel sorrisetto che annunciava l'arrivo di una nuova prepotenza.
Avevo fatto un bel salto quando lo schnauzer della vedova Peruzzi, certo il cane con il peggior carattere del condominio, aveva cercato di mordermi senza motivo e la padrona l'aveva trattenuto a fatica.
Qualche estate prima avevo visto Lo Squalo 2 in televisione e per tre giorni non avevo voluto fare il bagno.
Tutte quelle esperienze, e le altre che avevo vissuto e che fino a quel momento avevo considerato spaventose, non erano niente al confronto con l'esplosione di adrenalina che si propagò nel mio corpo un centesimo di secondo dopo l'apparizione di quel viso nello specchio.
Prima di poter urlare, prima di poter pensare, ero già saltato verso la porta del bagno grazie allo stesso istinto che un milione di anni prima aveva salvato i miei antenati cavernicoli dalle tigri dai denti a sciabola.
Ogni razionalità era stata sovrascritta dalle leggi della sopravvivenza.
Il mio salto fu interrotto a mezz'aria dallo scontro con una creatura vivente, che stava annidata nell'ombra proprio dietro di me. Sentii i suoi arti toccarmi e fui consapevole di aver sbattuto la mia testa alla sua, ma non provai alcun dolore.
Mi allontanai come se avessi fatto un passo tra le fiamme, mi trovai incastrato fra il bidet e la tazza e stavolta urlai, urlai davvero, con le braccia incrociate davanti al viso.
"Ow! Shit!" esclamò la forma nascosta nel buio.
La candela mi era caduta di mano e si era spenta, ma abbastanza luce filtrava dal corridoio per permettermi di vedere Casey, schiacciata contro il muro con una mano sulla fronte. Si lasciò scivolare fino a sedersi per terra, poi annaspò con la mano libera, trovò l'interruttore, accese la luce.
Restammo a guardarci attoniti, seduti ai due lati della tazza. Gli occhi di Casey erano due dischi azzurri nel suo viso pallido e lentigginoso. Il dolore per la testata che le avevo dato cominciò a farsi strada nel mio cranio, mentre la nebbia del panico si dissipava.
Senza staccarmi gli occhi di dosso, Casey tolse la mano dalla fronte con una smorfia indolenzita, si abbracciò le gambe e posò il mento sulle sue ginocchia spigolose, da cicogna. Notai che si era tolta le scarpe, per arrivarmi alle spalle senza fare rumore. Poi, cominciò a ridacchiare.
"Ma che cazzo!" urlai. "Sei matta? Ho perso diec'anni di vita!"
"Sorry... scusa..." disse lei, cercando di trattenere gli sghignazzi. "È che... omigod... la tua faccia!"
Casey serrò le labbra, resistette un secondo, poi esplose in una risata fragorosa, che spruzzò goccioline di saliva fin dove mi trovavo. Rovesciò la testa all'indietro, ma finì per sbattere la nuca contro il muro; questo la fece ridere ancora di più e dovette nascondere il viso fra le ginocchia.
Mi alzai in piedi, senza parole. Non potevo credere a come quella ragazza era riuscita a farmi fesso. Gonfiai il petto, aprii la bocca per dirgliene quattro...
Scoppiai a ridere pure io.
Casey alzò lo sguardo su di me, con le guance color ravanello e gli occhi che nuotavano nelle lacrime. Cercò di dire qualcosa, ma riuscì solo a balbettare, senza che nemmeno si capisse se era italiano o inglese. Le gambe non mi ressero e mi accasciai sulla tazza del water.
Continuammo a ridere finché ci bastò il fiato.
Poi ridemmo in apnea per un altro minuto.
Poi dovemmo smettere per il rischio di svenire.
"Ok, lo ammetto: mi hai proprio fregato alla grande," dissi, dopo essermi un minimo ricomposto. Mi rialzai, con la testa che girava e gli addominali tutti doloranti.
"E tu mi hai dato un bel headbutt," rispose Casey. "Ehm... colpo di testa?"
"Qui a Roma diremmo 'capocciata'," suggerii.
"Capociata, mi piace!" ridacchiò lei. "Proverò a ricordarmi-lo."
Eravamo rimasti a guardarci, in piedi in mezzo al bagno. Casey tirò fuori un elastico dalla tasca degli shorts e con pochi movimenti agili raccolse i capelli in una coda alta. Dal piano di sotto sentivo arrivare di nuovo musica e voci. Per qualche secondo non parlammo e sentii l'imbarazzo insinuarsi fra di noi.
"Beh, andiamo a dire agli altri che ho vinto la sfida," dissi, "e che sono ancora vivo."
"È vero, sei sopra-vissuto a Bloody Mary," sorrise Casey. "Dopo questo, niente ti fa più paura, nemmeno La Torre e Spadoni, giusto?"
"Ehi, non è che ho paura di loro," mentii senza ritegno. "È che... ehm..."
Qualsiasi cosa avessi intenzione di dire, fu interrotta nel momento in cui Casey, senza preavviso, scattò in avanti, mi prese per le spalle e mi baciò sulla bocca così forte che i nostri denti cozzarono con un sonoro clac!
Rimasi paralizzato, con gli occhi sbarrati e le labbra tiepide di Casey premute sulle mie. Poi feci un salto indietro.
"Cosa...?" disse Casey, perplessa. Mi sentii subito in colpa, perché anche con la mia scarsa esperienza in fatto di ragazze, potevo vedere che ci era rimasta male.
"Eeehm... è solo che, io ecco..." arrancai, imbarazzato in maniera penosa. Tutta la faccia mi scottava: dovevo essere diventato di un colore improponibile. "Aspetta, ma a te non piace Federico?" fu tutto quello che mi venne in mente di dire. Mi sentivo il re degli imbecilli, e provai l'impulso di gettarmi nella tazza del cesso e tirare lo sciacquone.
Casey, per fortuna, si rilassò e sorrise.
"No," replicò, con una piccola smorfia. "I mean, è carino, è simpatico. Non mi piace però. Chi ti ha detto che mi piace?"
"Io..." iniziai a dire, e nella mia mente riapparvero tutte le occasioni nelle quali avevo visto Casey girare intorno a me e Federico mentre eravamo insieme, osservandoci con quei suoi occhi di un pallido blu (che a dire il vero non mi sembravano più tanto sporgenti; anzi, erano proprio belli!).
Girare intorno a me e Federico.
Mai a Federico da solo.
Era me che Casey guardava. Me, perché le piacevo.
Nel momento in cui quella rivelazione mi folgorò dovetti fare una faccia assurda, perché il sorriso di Casey si allargò. Notai, per la prima volta, il modo in cui il suo sorriso partiva dalle labbra per diffondersi in tutto il viso: Casey sorrideva con gli occhi, con la fronte, con le guance, con le orecchie, con tutte le piccole lentiggini che le ricoprivano il naso e gli zigomi.
"Scusa se mi sono scansato," dissi. "È che, mi hai preso un po'... ehm..."
Casey fece spallucce. "Andiamo di sotto," propose, e si girò per prendere la porta.
"Aspetta!" esclamai, con una nota di disperazione nella voce.
Casey si girò, incerta ma ancora sorridente.
"Se vuoi..." mi sembrava di estrarre le parole dalla bocca con una tenaglia. Sulla mia faccia si potevano cuocere le uova. "Se vuoi, ah... possiamo... possiamo ehm ancora. Se vuoi."
Nonostante le mie capacità linguistiche ormai azzerate, Casey doveva aver capito cosa intendessi con quel verso a metà fra un mugugno e un colpo di tosse.
"Ok," disse solo, e il suo sguardo lampeggiava di allegria.
Chiuse la porta, si aggiustò la coda e si protese verso di me con gli occhi socchiusi.
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Brufolazzi
Teen FictionDavide vive a Roma, ha tredici anni e un enorme problema: è appena stato invitato alla festa di compleanno di Flaminia, la ragazza più bella e popolare della scuola. Davide è timido, imbranato e studioso, e preferirebbe di gran lunga starsene a casa...